FINALMENTE!
La Conferenza unificata del 18 dicembre 2014 ha approvato i moduli unificati nazionali di Comunicazione al Comune (CIL) e Comunicazione al Comune asseverata (CILA) per gli interventi di attività di edilizia libera. Anticipando i tempi rispetto a quanto previsto dall’Agenda per la semplificazione 2015-2017, il Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha comunicato l’avvenuta approvazione dei due nuovi modelli unici:
• CIL (Comunicazione di inizio lavori). Potrà essere utilizzato per realizzare gli interventi indicati all’articolo 6, comma 2, lettere b, c, d ed e, del Testo unico edilizia (Dpr 380/2001):
1. le opere temporanee e da rimuovere entro novanta giorni;
2. le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni;
3. i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A (decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444);
4. le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici;
5. l’installazione di singoli generatori eolici con altezza non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro.
• CILA (Comunicazione di inizio lavori asseverata). Potrà essere utilizzato per realizzare gli interventi indicati all’articolo 6, comma 2, lettere a ed e-bis, del Testo unico edilizia (Dpr 380/2001):
1. gli interventi di manutenzione straordinaria che non riguardano le parti strutturali degli edifici, compresa l’apertura di porte interne e lo spostamento di pareti interne, il frazionamento o accorpamento di unità immobiliari senza modifiche della volumetria complessiva dell’edificio e senza modifiche di destinazione d’uso;
2. le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa.
Le Regioni e i Comuni avranno tempo fino al 16 febbraio 2015 per adeguare la modulistica.
Al di là delle innegabili semplificazioni che potranno derivare dall’adozione dei due nuovi moduli su tutto il territorio nazionale, segnaliamo però l’ennesimo caso di mancato coordinamento normativo che ancora una volta va a detrimento del comparto delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.
Infatti, a tutt’oggi manca ancora all’appello il modello unico semplificato di Comunicazione al Comune, previsto dall’articolo 30 del decreto-legge 91/2014 e che doveva essere approvato entro il 1° ottobre 2014 dal Ministero dello Sviluppo; un modello semplificato, specifico per l’installazione, la connessione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e di microcogenerazione (cioè impianti di cogenerazione di potenza elettrica inferiore a 50 kW).
L’approvazione dei nuovi moduli di CIL e CILA, che come abbiamo visto riguardano anche l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, poteva essere l’occasione ideale per informare operatori e cittadini sullo stato di implementazione dell’atteso modello unico di Comunicazione per fer e microcogenerazione. Ma così, evidentemente, non è stato.
L’osservatorio dei cittadini protagonista di cinque progetti finanziati dal 7° Programma Quadro dell’UE
CITI-SENSE è uno dei 5 progetti della UE attualmente in corso, insieme a COBWEB per il monitoraggio delle riserve ambientali (Arpatnews n. ); OMNISCIENTIS per il monitoraggio degli odori (Arpatnews n. 247/2014); CITCLOPS per il monitoraggio delle acque oceaniche e costiere; WeSenseIt per il monitoraggio delle acque interne. Si tratta di progetti basati sugli Osservatori dei cittadini che in modo attivo collaborano al monitoraggio dell’ambiente inviando dai propri territori i dati raccolti attraverso i dispositivi portatili, smartphone, tablet o microsensori muniti di applicazioni dedicate. Un monitoraggio sostenibile, dunque, difficilmente realizzabile con le strutture e le risorse tradizionalmente disponibili. Questo Progetto per il monitoraggio dell’aria si basa su un sensore portatile, sviluppato dall’Università di San Diego, California, in grado di fornire in tempo reale i dati di lettura della qualità dell’aria e comunicarli direttamente allo smartphone del cittadino osservatore. Noto come CitiSense, il dispositivo è in grado di misurare concentrazioni locali di ozono, biossido di azoto e monossido di carbonio, i maggiori inquinanti emessi dai veicoli a combustione interna. Al progetto partecipano le città di Barcellona (Spagna), Belgrado (Serbia), Edinburgh (Regno Unito), Haifa (Israele), Lubiana (Slovenia), Oslo (Norvegia), Vienna (Austria), Ostrava Bartovice (Repubblica Ceca) e Vitoria-Gasteiz (Spagna).
Due le principali novità: abolizione del piano interprovinciale rifiuti e ri-attribuzione di competenze alla Regione Toscana
La legge regionale 61 del 28 ottobre 2014, pubblicata sul BURT n. 52 del 5 novembre 2014, ha modificato sia la legge regionale 25/1998 “Norme per la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati” sia la legge regionale 10/2010 “Norme in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione di incidenza”. Per quanto riguarda la disciplina in materia di rifiuti, la legge regionale 61/2014 introduce alcune importanti novità. In primo luogo elimina il piano interprovinciale in materia di rifiuti previsto dalla precedente legge regionale 25/1998 (programmazione articolata su tre livelli – regionale, interprovinciale e di ambito), poi ripartisce nuovamente le competenze in materia di rifiuti tra Regione e Provincia anche alla luce della legge 56/2014 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, in vigore dall’8 aprile 2014). Rimangono quindi due livelli di programmazione, da cui scaturiscono il piano regionale ed il piano di ambito. Il piano regionale di gestione dei rifiuti, per quanto riguarda la gestione integrata dei rifiuti urbani, individua i fabbisogni, la tipologia e il complesso degli impianti di smaltimento e recupero, nonché gli obiettivi, gli indirizzi e i criteri per la gestione integrata dei rifiuti urbani, a cui i piani di ambito dovranno dare attuazione. Vengono, poi, come detto, nuovamente attribuite alla Regione le funzioni amministrative in materia di rifiuti attribuite dal legislatore statale alla Regione e trasferite in precedenza alle province con la legge regionale 25/1998. In particolare, tra le funzioni ri-allocate troviamo le procedure per il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione ed esercizio degli impianti di gestione dei rifiuti, nonché la valutazione di impatto ambientale e la verifica di assoggettabilità sui relativi progetti. Alle Province rimangono tutte le funzioni amministrative ad esse attribuite dalla legge statale e che, in base alla sentenze della Corte Costituzionale n. 187/2011 e 159/2012, rientrano tra le funzioni fondamentali di tali enti. Il trasferimento delle funzioni alla Regione decorre dall’entrata in vigore della legge unicamente per le autorizzazioni relative alle discariche per rifiuti pericolosi e non pericolosi, agli impianti di termovalorizzazione con recupero energetico e agli impianti di compostaggio e di digestione anaerobica, in considerazione del fatto che si tratta di impianti strategici per garantire la riduzione della movimentazione dei rifiuti e l’attuazione del principio di prossimità. Scendendo nel dettaglio, con la nuova normativa regionale, competono alla Regione tutte le funzioni amministrative attribuite a questi enti in materia di gestione dei rifiuti, nonché relative allo spandimento dei fanghi in agricoltura che non siano espressamente riservate a comuni e province dalla normativa nazionale, in particolare:
approvazione del piano regionale di gestione rifiuti (già previsto nella precedente disciplina)approvazione dei piani di raccolta dei rifiuti prodotti da navi e dei residui di carico (funzione di competenza provinciale nella precedente disciplina normativa)rilascio autorizzazioni per la realizzazione, esercizio e chiusura degli impianti di gestione dei rifiuti e lo svolgimento delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti, anche pericolosi ai sensi degli art. 208 (autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti), 209 (Rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale), 211 (Autorizzazione di impianti di ricerca e sperimentazione ), 213 (Autorizzazioni integrate ambientali – AIA ) del TUA, nonché, ove applicabili, delle disposizioni di cui alla parte II – titolo III bis (Autorizzazione integrata Ambientale) comprese le autorizzazioni relative agli impianti di cui all’art 21 ( Definizione dei contenuto dello studio di impatto ambientale)emanazione di atti straordinari per sopperire a situazioni di necessità ed urgenza ai sensi dell’art 191 del TUA, (già previsto nella precedente disciplina normativa)esercizio di poteri sostitutivi, (già previsto nella precedente disciplina normativa)approvazione di norme regolamentari per la disciplina delle attività di gestione dei rifiuti, nel rispetto della normativa nazionaleerogazione di finanziamenti e concessione di finanziamenti per specifiche attività,(già previsto nella precedente disciplina normativa)le funzioni in materia di spedizioni transfrontaliere di rifiuti attribuite alle autorità competenti dal Regolamento CE n. 1013/2006, ivi comprese le comunicazioni di cui all’art. 194 co 7 (dati relativi all’anno precedente) del TUA.
In base alla nuova legge, che sostituisce l’art. 6 della l.r. 25/98, competono, invece, alle Province le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, in particolare:
controllo periodico su tutte le attività di gestione, intermediazione e commercio rifiuti, nonché il controllo sulle attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento fanghiverifica e controllo dei requisiti previsti per l’applicazione delle procedure semplificate previste dagli artt. 214 (Determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure semplificate), 215 (Autosmaltimento), 216 (Operazioni di recupero) del TUAindividuazione delle zone idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, tenendo conto del piano territoriale di coordinamento provinciale e delle previsioni contenute nel piano regionale di gestione rifiutiemanazione di atti straordinari per sopperire a situazioni di necessità ed urgenza ai sensi dell’art. 191 del TUA, (già contenuto nella precedente disciplina normativa)rilascio dell’AUA (autorizzazione unica ambientale) per l’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura.
Rimane invariata rispetto alla precedente normativa la previsione secondo la quale le province esercitano le funzioni di vigilanza e controllo avvalendosi di ARPAT.
Ogni famiglia spende per l’energia in media 1.600 € all’anno
La nuova fotografia Istat dei consumi energetici delle famiglie: nel 2013 hanno speso oltre 42 miliardi di euro. Incide molto soprattutto il riscaldamento nel quale il metano resta la fonte più diffusa. Lampadine ad alta efficienza sono già tre quarti di quelle in uso. Il rapporto “I consumi energetici delle famiglie” realizzato da Istat con Enea e MiSE. Nel 2013, le famiglie italiane hanno speso oltre 42 miliardi di euro per l’energia di casa. Incide molto soprattutto il riscaldamento e gran parte delle famiglie nell’ultimo anno ha investito un po’ per tagliare le bollette, anche se molto spesso ci si limita solo a sostituire le lampadine tradizionali con quelle ad alta efficienza. Lo mostra il rapporto “I consumi energetici delle famiglie” realizzato da Istat con Enea e MiSE (allegato in basso). Le famiglie italiane nel 2013 hanno speso in media 1.635 € ciascuna in energia. A pesare di più è il riscaldamento – specie se ci si affida al gasolio o al metano – un dato che dimostra perché le famiglie del Nord spendono in bollette energetiche in media sui 1.800 euro contro i circa 1.400 di quelle meridionali. Considerando solo le spese medie effettive (calcolate rapportando la spesa totale delle famiglie per ciascuna fonte energetica al numero delle famiglie che l’hanno effettivamente acquistata), è il gasolio la fonte energetica che determina una più elevata spesa media per famiglia, quasi 1.400 euro l’anno (vedi grafico sotto), una cifra superiore a quella destinata al metano (circa 1.000 euro di spesa per le famiglie che lo usano) e all’energia elettrica (581 euro all’anno in media).
Con l’auto elettrica 70% in meno di morti per inquinamento, ma solo se l’elettricità è verde
Ogni litro di benzina usato nelle auto convenzionali comporta oltre 11 centesimi di euro di costi sanitari e quasi 10 di danni legati al cambiamento climatico. Ma, con il mix elettrico sbagliato, i veicoli elettrici possono essere anche più dannosi. Anche certi biocarburanti come l’etanolo da mais hanno impatti peggiori di gasolio e benzina. Uno studio della University of Minnesota. Sostituire le automobili a benzina con veicoli elettrici potrebbe far crollare del 70% le morti legate all’inquinamento atmosferico e dare notevoli benefici anche in termini di lotta al global warming. Ma attenzione: questo solo se ad alimentare le batterie delle auto fosse energia pulita, prodotta dalle rinnovabili o – con benefici minori – se l’elettricità venisse dal gas.Se invece si ricorresse ad un mix elettrico in cui c’è molto carbone, faremmo meglio a tenerci le auto a benzina o a gasolio. Anche sui biocarburanti le controindicazioni non mancano: l’etanolo da mais ad esempio è peggio per salute e clima dei derivati del petrolio; per ridurre gli impatti servono biofuel più sostenibili come quelli di seconda generazione da scarti agricoli. È questo, in sintesi, quanto emerge da un nuovo studio appena pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (allegato in basso). Nella ricerca, realizzata da studiosi della University of Minnesota, si analizzano gli impatti per l’inquinamento atmosferico e le emissioni climalteranti di diversi scenari, in ciascuno dei quali si assume che il parco veicoli leggeri statunitensi funzioni con alimentazioni diverse.
Italia e auto a gas: sono il 14% del mercato e possono far bene a occupazione e ambiente
Mentre le auto tradizionali hanno conosciuto un drastico calo delle immatricolazioni, le auto a gas hanno continuato a crescere. Secondo un report di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Assogasliquidi Federchimica e Consorzio Ecogas, questa tecnologia “ponte” potrebbe dare notevoli vantaggi economici e ambientali. ll miliardo di veicoli che circolano nel mondo è responsabile dei consumi del 28% di energia e di un quarto delle emissioni di CO2. Soluzioni tecnologiche alternative possono aiutare la transizione verso l’auto a emissioni zero e l’auto a gas, una tecnologia made in Italy, costituisce uno dei possibili volani di sviluppo in direzione della green economy con importanti ricadute economiche e occupazionali: tra 22.700 e 66.000 posti di lavoro aggiuntivi nel 2030. Alle potenzialità “green” dello sviluppo dei veicoli a combustibili gassosi in Italia è dedicata la ricerca “Green economy e veicoli stradali: una via italiana” realizzata dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, con la collaborazione di Assogasliquidi Federchimica e del Consorzio Ecogas (allegato in basso). Sono proprio i numeri a dimostrare le potenzialità del settore; negli anni della crisi, mentre le auto tradizionali hanno conosciuto un drastico calo delle immatricolazioni, le auto a gas hanno continuato a crescere (tra il 2011 e il 2012 le immatricolazioni sono quasi triplicate passando dal 5,55% al 13%) e nel 2013 la quota di mercato della auto a gas è arrivata al 14,1% (8,9% GPL e 5,2% metano). L’attuale stock di auto a gas circolante in Italia è in termini assoluti il più rilevante d’Europa, rappresentando il 76,8% del parco europeo per le auto a metano e il 26% per quelle a GPL. Inoltre in Italia oltre al produttore (Fiat) c’è una piccola e grande industria dell’ auto a gas che va dalla produzione di impianti per la conversione a GPL e metano, con una rete di trasformazione e assistenza di più di 6.000 officine, al rifornimento stradale (più di 3000 distributori di GPL e 1000 di metano). Nella ricerca sono esaminate tutte le ricadute ambientali ed economiche dello sviluppo del settore. In uno scenario di elevata penetrazione delle auto a gas in Italia da oggi al 2030, con la progressiva sostituzione di una parte delle auto a combustibili liquidi del parco circolante italiano, dovuta sia ad acquisto di nuove auto sia ad interventi di retrofit, si arriverebbe al 2030 ad oltre 3,5 milioni di t CO2 in meno rispetto a uno scenario di non intervento, a 67 tonnellate di particolato e 21 mila tonnellate di ossidi di azoto in meno. La riduzione di particolato prevista al 2030 equivale alle emissioni che sarebbero generate mediamente in un anno da 4 milioni di automobili diesel. Per migliorare le prestazioni ambientali delle auto a gas ci sono poi dei promettenti sviluppi nel campo delle alimentazioni ibride sia GPL-elettrico che metano-elettrico oltre a sistemi dual fuel metano-gasolio o GPL–gasolio. Ma una delle prospettive più interessanti per le auto a gas è senza dubbio quella del biometano. Il biometano può essere efficientemente prodotto da diverse fonti, tanto da rifiuti come da coltivazioni dedicate. La sua composizione è la stessa del gas proveniente dall’estrazione di gas naturale consentendo dunque miscele a qualsiasi percentuale senza problemi per i motori dei veicoli. Inoltre il biometano può essere trasportato e distribuito convenientemente nelle reti del gas naturale.