Depurazione, la Toscana finanzia 10 interventi per evitare le procedure di infrazione Ue C’è anche il collettore fognario di molin nuovo di Foiano della Chiana
L’accordo di accordo di programma tra Regione Toscana, ministero dell’Ambiente e dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica porterà in Toscana 8,6 milioni di euro per velocizzare gli interventi prioritari e rilevanti in materia di depurazione con opere che riguarderanno «centri urbani che potrebbero essere oggetto di procedure di infrazione da parte dell’Unione Europea.
Lo schema di accordo prevede di spingere 10 interventi dei 56 previsti per risolvere tutte le situazioni di difformità dalla Direttiva europea 91/271 ancora presenti in Toscana, il cui costo assomma a complessivi 120 milioni di euro, finanziamenti in parte statali, in parte regionali, in parte provenienti da tariffa ma già tutti programmati. Con gli 8,6 milioni di euro stanziati si punta ad arrivare ad investimenti complessivi per circa 40 milioni di euro. Il più costoso dei 10 interventi è l’adeguamento Impianto di depurazione dei liquami della Centrale di Pistoia il cui progetto definitivo prevede un costo totale di 8,65 milioni di euro. Gli altri interventi riguardano il depuratore di Arcidosso (progetto esecutivo . 6,8 milioni); il depuratore di Manciano (progetto definitivo – 4,3 milioni); il depuratore sul Rio Chitarrino a Barga (progetto preliminare – quasi 4 milioni) completamento delle fognature a Cascina (progetto preliminare – 3,35 milioni); stralcio dei collettori fognari verso il depuratore Molin Nuovo a Foiano della Chiana (progetto definitivo – 917.000 euro); completamento dei collettori fognari di Ponte a Poppi (progetto definitivo – 494.000 euro)
Porta a porta ad Arezzo: grande partecipazione agli incontri pubblici organizzati da Comune e SEI Toscana. Anche a Valpiana al via il nuovo servizio di raccolta domiciliare.
Si è concluso, al Circolo Acli di Venere, il ciclo di incontri pubblici sull’estensione del porta a porta ad Arezzo organizzati da SEI Toscana e dall’amministrazione comunale di palazzo Cavallo. Dieci appuntamenti in cui il gestore unico delle province di Arezzo, Grosseto e Siena ha illustrato ai cittadini le nuove modalità del servizio e ha risposto alle domande delle tante persone che hanno partecipato con interesse e curiosità alle riunioni. Gli incontri pubblici promossi da SEI e Comune sul territorio, che hanno visto la partecipazione anche dell’assessore all’ambiente del comune di Arezzo, Franco Dringoli, hanno visto la partecipazione di quasi mille persone, in uno scambio proficuo di idee e impressioni che permetteranno agli utenti di iniziare il nuovo servizio di raccolta con una coscienza più piena delle nuove modalità di conferimento dei propri rifiuti. Dopo la positiva esperienza realizzata nelle frazioni della Valdichiana che in pochi mesi ha consentito di raggiungere il 65% di materiali avviati a riciclo, con un incremento rispetto al passato, l’amministrazione comunale di Arezzo, in accordo con SEI Toscana, ha deciso di estendere il servizio nelle frazioni a nord della città. L’obiettivo è quello di aumentare la percentuale di raccolta differenziata delle varie frazioni merceologiche, assicurando così una corretta gestione finalizzata al recupero di materia, secondo quanto previsto dalla normativa europea e nazionale nonché dalla programmazione regionale e provinciale. Le località interessate dal nuovo servizio di raccolta domiciliare sono Ceciliano, Giovi, Patrignone, Quarata, Ponte Buriano, Rondine, Campoluci e Venere; partenza prevista per il primo di dicembre. Tra gli obiettivi vi è anche una migliore qualità dei materiali recuperabili raccolti, realizzare soluzioni adeguate e personalizzate per i diversi target di utenza, creare un modello per contenere i costi di gestione e quindi l’efficienza del servizio stesso (in virtù delle nuove attivazioni previste dall’Autorità d’Ambito Ato Toscana Sud per gli anni 2015 – 2019) e, inoltre, migliorare il decoro urbano.
Ora le auto elettriche si ricaricano wireless: ecco la nuova tecnologia
La multinazionale giapponese TDK ha annunciato di aver sviluppato un Sistema di ricarica wireless per veicoli ibridi e che spera di metterlo sul mercato già nel 2018. Il sistema è quello al quale la TDK stava lavorando da tempo con la statunitense WiTricity Corporation e permetterebbe di ricaricare un’auto senza utilizzare un cavo una presa elettrica. Secondo quanto scrive il giornale giapponese Nikkei, «Il sistema può anche essere installato sulle strade, per permettere la ricarica durante il tragitto». Ad aprile la TDK aveva acquisito il portafoglio di brevetti ed il nuovo sistema di ricarica senza fili combinerebbe il know-how da WiTricity con la tecnologia delle bobine elettromagnetiche di TDK. La multinazionale sottolinea che «Il sistema può funzionare anche quando le bobine emettitrici e riceventi sono distanti più di 10 cm». TDK h presenterà dei prototipi del suo nuovo sistema di ricarica wireless alle case automobilistiche entro il primo semestre 2015 e assicura di aver già testato la sua tecnologia “charging-while-driving” su una pista circolare di 30 metri con 6 bobine emettitrici piazzate sotto la strada a 5 metri l’una dall’altra. Gli esperimenti avrebbero confermato che il veicolo testato può percorrere 120 km ad una velocità di 5 km/h. TDK dice che la tecnologia ad aprile era in gradi di trasferire 3,3 kilowatt e che nel 2018/2019 punta ad arrivare a 6,6 kilowatt.
Una trave di vetro made in Tuscany, per costruire un futuro migliore
Insieme alla Monna Lisa l’altro simbolo universale del Louvre, il museo più famoso (e visitato) al mondo, è quell’imponente costruzione in vetro che s’incontra due volte – fuori e all’interno dell’edificio – e ti rimane negli occhi per sempre. Si tratta di quella Piramide inversa protagonista anche nei bestseller di tale Dan Brown e che riflette e propaga «come un prisma, la luce all’interno della hall sotterranea» del Louvre. I turisti di tutto il mondo (italiani compresi) la amano, ma in pochissimi sanno che a costruirla non sono stati ingegneri dei più rinomati uffici parigini, ma una realtà d’eccellenza toscana: la Rober Glass srl di Calci, piccolo paese in provincia di Pisa. La stessa azienda è oggi socia (insieme alla Vitarelli Vito spa di Collesalvetti, la Iron Art di Fucecchio, lo studio di ingegneria INTRE di Lucca e l’università di Pisa) della TVT Srl, una società di ricerca e sviluppo di soluzioni innovative per il mondo dell’architettura e dell’ingegneria civile, che trae origine dal brevetto delle Travi Vitree Tensegrity (TVT), sviluppato presso l’università di Pisa dalle ricerche di Maurizio Froli. Se tanto ci dà tanto, e visti i precedenti, il futuro di questa società potrà essere più brillante di quel vetro che ne costituisce il core business. Le Travi Vitree Tensegrity costituiscono la risposta ingegneristica alla richiesta di un’ideale smaterializzazione degli edifici proveniente in misura crescente dalla architettura contemporanea. Si tratta di un prodotto da costruzione in vetro strutturale precompresso e acciaio, attualmente unico a livello internazionale nel settore high tech, che apre le porte alla possibilità di costruire strutture in vetro di grande luce ed elevate capacità portanti anche in zona sismica, garantendo gli stessi standard di sicurezza che oggi possiedono altri materiali da costruzione tradizionali. Dopo i vari e prestigiosi premi accademici, ci si attende adesso che i riconoscimenti possano arrivare pure in ambito industriale, in primis dall’Italia e dalla Toscana. Sarebbe non solo il giusto coronamento di un progetto nato e cresciuto qui, ma anche un’iniezione di grande fiducia per la Regione e il Paese più belli del mondo. Il grande successo del Louvre è simboleggiato da un’opera d’architettura (italiana) e una d’arte (italiana). Prima di deprimerci guardando al nostro presente e futuro dovremmo pensare a esempi come questi.
Negli Usa nasce il più grande parco eolico off-shore del Paese: lo costruirà un italiano
La Us Wind Inc. si è aggiudicata per 8,7 milioni di dollari la gara per costruire il più grande parco eolico marino degli Usa, ma di americano la company non ha molto se non a sede la Boston: è guidata dall’italiano Alfonso Toto ed è controllata da Renexia, un’azienda (italiana) che opera nel campo delle energie rinnovabili. Il Bureau of ocean energy management regulation and enforcement ha confermato la regolarità dell’offerta dopo la Due Diligence condotta dal Dipartimento della giustizia. Le trivelle off-shore in Italia sono invece evidentemente preferite alle pale eoliche, e lo Sblocca Italia del governo Renzi sembra confermare l’impressione, puntando forte sull’estrazione del (magro) bottino petrolifero nostrano. Così gli investitori italiani si spostano insieme al loro know-how al largo di altri e più profittevoli lidi. Entro il 2020 l’US Wind dovrà progettare e costruire il parco eolico al largo della costa ovest degli Stati Uniti e poi lo gestirà per 25 anni. A Renexia spiegano che il progetto prevede un investimento complessivo di 2,5 miliardi di dollari e rientra nel piano strategico dell’amministrazione Obama per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Il segretario agli interni Usa, Sally Jewell, ha detto che l’esito della gara è un importante risultato e riflette l’orientamento e la fiducia dell’industria verso questa tecnologia, e rafforza la scelta della nostra Nazione verso questa nuova frontiera dell’energia. L’amministrazione di Barack Obama sta puntando molto sull’eolico offshore: nei prossimi 10 anni, oltre a quello del Maryland, verranno realizzati altri cinque giganteschi parchi eolici offshore al largo delle coste di Massachusetts, Delaware, Rhode Island e Virginia.Il progetto prevede l’installazione di aerogeneratori, con fondazioni di tipologia monopalo infisso o tripode il cui numero varierà dagli 85 ai 125, in ragione delle turbine scelte, mentre la trasmissione di energia elettrica verrà garantita attraverso una piattaforma di trasformazione offshore che con cavi sottomarini che si collegheranno con la rete elettrica P.J.M. (parte della rete elettrica dello stato del Maryland). Riguardo la tecnologia di collegamento con la terra ferma, essa potrà essere AC o DC a seconda delle scelte costruttive che US Wind Inc. definirà. La potenza installata sarà di oltre 500 MW, l’impianto avrà una producibilità annua di 1.824 GWh. Il parco eolico permetterà di portare energia in circa 300.000 abitazioni, sarà distante dalla costa 15 miglia, così da ridurre al minimo anche l’impatto visivo.
SOLARE TERMODINAMICO FERMO AL PALO: ANCORA NESSUN IMPIANTO IN ITALIA
L’articolo pubblicato su GreenBiz.it sottolinea le difficoltà del settore del solare termodinamico italiano in particolare per la mancanza di impianti attivi. Questa tecnologia pur essendo nata in Italia nei laboratori Enea grazie al professor Carlo Rubbia, a causa della burocrazia presente, non ha ancora avuto la possibilità di sviluppare nel territorio impianti utili alle aziende per farsi conoscere dimostrando in pratica agli investitori esteri la loro qualità ed affidabilità. Nel futuro si prevede che i nuovi impianti si concentreranno in Medio Oriente, nella Penisola Arabica e in gran parte del continente Africano. Le aziende italiane rischiano di essere escluse dal mercato a causa di questa carenza. L’articolo propone anche una video intervista a Gianluigi Angelantoni ad di Archimede Solar Energy.
FOTOVOLTAICO: CON COBAT INIZIA LA NUOVA ERA DEL RICICLO
In un articolo intervista Andrea Carluccio, Responsabile Area Raccolta e Riciclo di Cobat, fa il punto sui risultati raggiunti dal consorzio nell’applicazione del Il D.Lgs. 49/2014 che prevede che tutti moduli fotovoltaici siano considerati “apparecchiature elettriche ed elettroniche” e che pertanto sia gestiti, una volta giunti a fine vita come e-waste. Il Consorzio da tempo ha aggiornato lo statuto ed il sistema consortile. Attraverso un network di impianti di trattamento autorizzati e una rete logistica capillare, Cobat in grado di coprire tutto il territorio nazionale per la gestione (raccolta, trattamento e recupero) anche dei pannelli fotovoltaici. Gli impianti di trattamento che fanno riferimento al COBAT sono gli unici in grado di trattare i moduli fotovoltaici con sistemi d’avanguardia capaci di ricavare silicio, vetro, metalli e plastiche praticamente in purezza. Questo nonostante i quantitativi di rifiuti di questo tipo generati siano ancora dell’ordine di poche centinaia di tonnellate all’anno e non esistano ancora impianti di trattamento su scala industriale.
Da La Stampa.it apprendiamo che
Il silenzioso flagello dei pesticidi sull’ambiente
di Andrea Gandiglio
Negli stessi giorni in cui il Salone del Gusto celebra a Torino, con visibilità planetaria, la sostenibilità dell’agricoltura buona, pulita e giusta e del cibo che ne scaturisce, ad Arezzo, nell’indifferenza mediatica, ISDE Italia, l’associazione dei medici ambientali, si ferma a riflettere sull’altra agricoltura, quella “convenzionale”, oggi ancora predominante nel mondo, e sulle devastanti conseguenze, per la salute umana e la biosfera, dell’uso dei pesticidi. “Agricoltura e salute: il caso pesticidi” è infatti il focus delle 8e Giornate Mediche dell’Ambiente, che il 24 e 25 ottobre hanno radunato, nella città toscana, decine di specialisti del settore, per tracciare un aggiornamento in ottica interdisciplinare.
Dopo due giorni di interventi, documentatissimi e ricchi di dati, da parte di oncologi, pediatri, ricercatori chimici, agronomi, biologi e contadini, l’inquietante messaggio che emerge con forza è: attenzione, i pesticidi sono molto più pericolosi di quanto abbiamo creduto finora! In realtà il grido arriva da lontano, da quel 1962 in cui la biologa americana Rachel Carson scrisse “Silent Spring” (“Primavera silenziosa”), un saggio destinato a porre le basi dell’ambientalismo contemporaneo, ma anche ad essere deriso e avversato dalla lobby delle multinazionali chimiche e da un’ampia e compiacente parte della comunità scientifica internazionale. Con il risultato che, 52 anni dopo, ci troviamo ancora nell’assurda condizione per cui, secondo alcuni, non ci sarebbero “evidenze scientifiche” a sufficienza per provare la correlazione. Intanto la gente si ammala e muore. In Italia i nuovi ammalati di tumore sono 1.000 al giorno, 182.500 morti all’anno, cifre da guerra mondiale. E una percentuale significativa di queste patologie è strettamente legata all’inquinamento ambientale.
“La gamma dei guasti ambientali e di salute pubblica che può essere addebitata ai pesticidi – scrive Celestino Panizza, coordinatore del gruppo di lavoro ISDE nell’introduzione agli atti del convegno di Arezzo – non è completamente nota e molto resta ancora da scoprire”, ma quanto noto finora sarebbe più che sufficiente per far partire un allarme urgente e un’azione politica drastica e irreversibile a tutela della collettività e del bene pubblico. Invece l’Italia continua ad essere, secondo la rivista Science, uno dei maggiori utilizzatori di pesticidi ed erbicidi per ettaro in Europa, assorbendo, da sola, il 33% del mercato comunitario di insetticidi: 600 diversi prodotti diffusi su 13 milioni di ettari, il 70% della superficie agricola utilizzata, propugnati, da abili venditori, a contadini spesso impreparati e letteralmente ignoranti circa gli effetti, per la salute e l’ambiente, di quanto utilizzato nei propri campi. Altro che “Bel Paese” delle tipicità regionali, altro che “contadino amico”, con la zappetta e il cappello di paglia, come spesso le associazioni di categoria vogliono comunicare, indistintamente, ai consumatori. Eppure le conoscenze, le tecniche e i prodotti per cambiare modello oggi ci sarebbero, a partire dall’agricoltura biologica, quella incontestabilmente più sana e meno impattante sull’ambiente. Perché non lo si fa? La risposta è sempre la stessa: interessi economici, ignoranza, complicità politica.
Qualcuno la butta sulla “produttività” e sulla necessità di sfamare una popolazione in costante aumento. Ma anche questo mito non ha, in realtà, alcuna base scientifica e nessuna corrispondenza con quanto avvenuto dalla cosiddetta “rivoluzione verde”, tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, in avanti, con conseguenze che paghiamo ancora adesso. Sarebbe forse più efficace lavorare sul contrasto agli sprechi alimentari, sul valore nutritivo degli alimenti di qualità (meno ma meglio) e sulla riequilibratura delle storture di mercato, a partire dai sussidi indiscriminati all’agricoltura, che dei meccanismi “di mercato” conserva ben poco. Come fa notare Massimo Mercati, direttore generale di Aboca – caso più unico che raro di azienda agro-farmaceutica che coltiva 1.000 ettari in regime biologico per produrre i propri farmaci – oggi viviamo una condizione paradossale, dove il sacrosanto principio “chi inquina paga” è completamente ribaltato: sono infatti gli agricoltori e le aziende più virtuose a dover sostenere i costi di certificazione e mille altri oneri burocratici e amministrativi in più, rispetto ai produttori convenzionali che arrecano danni alla collettività e, ciononostante, possono permettersi di essere più competitivi (e dunque appetibili) nei prezzi finali.
L’oncologo veronese Roberto Magarotto richiama una drammatica evidenza riprendendo le parole di un ricercatore americano, autore dello studio “Growing up with Pesticides”, dedicato agli effetti dell’esposizione dei bambini ai pesticidi: “I pesticidi sono disegnati per essere neurotossici, perché sorprenderci che causano neurotossicità?”. Stesso discorso per i tumori: “sono documentate in laboratorio multiple interferenze dei pesticidi con il materiale genetico cellulare: come stupirsi se poi risultano a rischio cancerogeno?”. Ma la lista di patologie correlate all’uso di pesticidi in agricoltura, anche al di fuori della sfera tumorale, è ben più lunga e allarmante: morbo di Parkinson, Alzheimer, SLA, patologie cardiovascolari, autoimmuni e renali, diabete, disordini riproduttivi, malformazioni e difetti di sviluppo, asma professionale, bronchite cronica, malattie della tiroide. Ad ogni intervento che si sussegue in sala la sensazione che il genere umano sia affetto da un’assurda e incomprensibile follia suicida è sempre più pressante.
E la crescita esponenziale dei casi di celiachia nel mondo? Anche questa è riconducibile all’uso massiccio, nella coltivazione dei cereali, del glifosate, la sostanza alla base dei più diffusi diserbanti. E poi via per allergie, intolleranze, eruzioni cutanee ecc. – tutto quello con cui conviviamo ormai quotidianamente e di cui ancora “ci stupiamo”. I danni alla salute umana non derivano infatti unicamente dall’esposizione professionale, ma anche da quella residenziale e casuale o attraverso la dieta, per la presenza di residui negli alimenti e nell’acqua. “E’ ampiamente documentato – scrive l’oncologa Patrizia Gentilini – che vivere vicino ai luoghi in cui i pesticidi vengono utilizzati, fabbricati o smaltiti può aumentare in modo significativo l’esposizione ambientale per inalazione e contatto con l’aria, acqua e suolo”. Nel 55% delle acque superficiali monitorate dall’ISPRA, del resto, risultano presenti residui di pesticidi.
Le evidenze scientifiche dunque non mancano, ma basterebbe anche solo l’applicazione del “principio di precauzione” per prevenire e contenere molti di questi danni. E invece la politica si occupa d’altro (come se la riforma del Senato fosse più importante della salute dei cittadini), basandosi su pareri “scientifici” compiacenti, che spingono sempre più avanti il termine degli studi “necessari” per basare le scelte. A ribadirlo è Ruggero Ridolfi, dell’ISDE di Forlì-Cesena. Ridolfi propone una valutazione della cosiddetta popular epidemiology , una pratica di “giustizia ambientale” che consentirebbe di ristabilire il prezioso valore di neutralità della scienza riconsegnando nelle mani dei cittadini la scelta sul “rischio ambientale” accettabile.
Qualche caso virtuoso – verrebbe da dire eroico – esiste tuttavia anche tra gli amministratori pubblici, non a caso a livello di sindaci dei comuni più piccoli, indubbiamente più vicini ai cittadini perché più esposti al loro giudizio quotidiano. Al convengo intervengono i sindaci di Malosco e Vallarsa e una rappresentante del comune di Malles : tre esempi (tutti nel Nord Est) dove gli amministratori, senza troppi giri di parole, hanno fatto il loro dovere e tutelato la salute pubblica. Unico parlamentare in sala, Alberto Zolezzi, del M5S, medico ospedaliero e membro della Commissione Ambiente e Territorio della Camera.