Come è messa la depurazione dei reflui in Valdichiana? Non benissimo, secondo l’Ue
I dati diffusi oggi da Goletta Verde sullo stato di salute del mare toscano, e relativi reflui, faranno sicuramente discutere come tutti gli anni, ma la Toscana, pur con una qualità depurativa sicuramente più alta di molte alte Regioni, qualche problema di depurazione ce l’ha, almeno a leggere la “Procedura di infrazione 2014/2059 –
Attuazione in Italia della direttiva 1991/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane (ex Pilot 1976/2011/ENVI)”, inviata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai ministeri dell’ambiente e degli esteri ed alla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. La situazione in Toscana non è certo disastrosa come quella di Sicilia (175 casi segnalati), Calabria (130 casi), Campania e Lombardia (115 l’una), ma la lettera di messa in mora dell’Ue mette in fila per la Toscana una sfilza di 42 inadempienze (comunque solo una in più della piccola Basilicata), alcune delle quali sono già state risolte o in via di risoluzione (vedi Firenze), ed evidenzia qualche trucco (come quello del giochino degli abitanti equivalenti), probabilmente utilizzato anche da piccoli Comuni turistici che non rientrano nell’elenco dei “cattivi” stilato dall’Ue ma che non hanno impianti di depurazione a norma secondo la Direttiva richiamata. Ecco le motivazioni delle presunte violazioni: «Sulla base delle informazioni disponibili, risulta che tutto il carico è raccolto, ma non inviato a trattamento» nei seguenti agglomerati della Valdichiana: Chiusi (3.151 a.e.); Chiusi Scalo (5.138 a.e.); Montalcino (3.271 a.e.); «Sulla base delle informazioni disponibili, risulta che solo una parte del carico raccolto è inviata a trattamento» a Foiano della Chiana (7.046 a.e.). Pertanto, e finché tale riduzione non sarà giustificata, l’agglomerato sarà considerato non conforme». Anche per Soci (da 7.621 a 4.274 a. e.) in provincia di Arezzo «Il carico attribuito a questo agglomerato è diminuito, senza che alcuna giustificazione sia stata fornita. Pertanto, e finché tale riduzione non sarà giustificata, l’agglomerato sarà considerato non conforme agli articoli 3 e 4». L’articolo 3 della Direttiva recita: 1. Gli Stati membri provvedono affinché tutti gli agglomerati siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane, – entro il 31 dicembre 2000 per quelli con un numero di abitanti equivalenti(a.e.) superiore a 15.000 e – entro il 31 dicembre 2005 per quelli con numero di a.e. compreso tra 2.000 e 15.000. Per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate aree sensibili ai sensi della definizione di cui all’articolo 5, gli Stati membri garantiscono che gli agglomerati con oltre 10.000 a.e. siano provvisti di reti fognarie al più tardi entro il 31 dicembre 1998. Laddove la realizzazione di una rete fognaria non sia giustificata o perché non presenterebbe vantaggi dal punto di vista ambientale o perché comporterebbe costi eccessivi, occorrerà avvalersi di sistemi individuali o di altri sistemi adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale. 2. Le reti fognarie di cui al paragrafo 1 devono rispondere ai requisiti dell’allegato I A. Tali requisiti possono essere modificati secondo la procedura prevista all’articolo 18.
Mentre l’Assemblea dell’ATO Rifiuti Toscana Sud vota a maggioranza l’aumento del 7-9 % della tariffa, il 71% dei cittadini Ue risponde positivamente ad effettuare la raccolta dei rifiuti in modo differenziato prima però vuole essere certo del riciclo
Si è tenuta in questi giorni a Siena l’assemblea dell’ato rifiuti Toscana Sud che ha decretato a maggioranza (la maggioranza dei comuni della provincia di Arezzo presenti ha votato contro) un’ aumento medio del 7-9-% della tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed il Consiglio Provinciale di Arezzo, nella sua ultima seduta, ha rimandato, senza spiegazioni, la discussione e quindi la non approvazione del Piano Interprovinciale dei Rifiuti, un nuovo sondaggio, “Attitudes of Europeans towards Waste Management and Resource Efficiency”, ci mostra che la maggioranza dei cittadini europei pensa che i loro Paesi producano troppi rifiuti. Il 96% delle persone sondate crede sia importante che l’Europa utilizzi le sue risorse in maniera più efficace; il 96% che sia una questione importante e che li riguarda personalmente, e solo il 3% la considera non importante. Nell’Ue 9 persone su 10 conferiscono in maniera differenziata, almeno occasionalmente, la carta, il cartone, gli imballaggi per le bevande e le materie plastiche, l’88% il vetro, mentre il 79% fa la differenziata per i rifiuti domestici pericolosi , gli imballaggi metallici (78%), i rifiuti elettrici (76%) e i rifiuti di cucina (74%). Però ci sono enormi differenze tra Paese e Paese: si va dal 99% per la raccolta differenziata della carta in Austria al 28% dei rifiuti pericolosi in Romania. I rifiuti toccano visibilmente una corda sensibile: gli europei vogliono ridurre lo spreco e si sforzano di mettere i loro principi in pratica. Il passaggio a un’economia più circolare è conseguentemente un’evoluzione logica. L’invito a riciclare di più è questo: ci resta da mettere subito in atto i meccanismi per riuscirci. Alla domanda su quali siano i modi per incoraggiare la gente a fare più raccolta differenziata, il 71% ha risposto che il fatto di sapere che i loro rifiuti vengano davvero riciclati li inciterebbe a fare meglio. Il 59% accetterebbe volentieri più impianti di riciclo e compostaggio dei rifiuti di qualità migliori nella loro regione, e la stessa percentuale sarebbe favorevole a incentivi finanziari, mentre il 51% si dichiara disposto a fare una raccolta selettiva dei rifiuti a domicilio. L’83% degli europei dice di evitare lo spreco, soprattutto quello alimentare, comprando quello di cui ha bisogno, ma qui (e non solo) i conti non tornano, dato che è impossibile che il restante 17% produca il gigantesco spreco che caratterizza l’Unione europea. Al netto dunque dei problemi insiti nella natura stessa di questi sondaggi, il 77% assicura anche di far riparare le apparecchiature che si guastano prima di comprarne delle nuove, e il 67% dice di dare o vendere dei beni perché vengano riutilizzati, mentre il 62% evita i prodotti “sovra-imballati”; il 60% utilizza pile ricaricabili e il 59% beve l’acqua del rubinetto per evitare di acquistare bottiglie di plastica. A proposito dei rifiuti plastici, il 96% dei sondati è d’accordo sul fatto che le imprese dovrebbero prendere più iniziative per limitarli e aumentare il riciclaggio della plastica; il 94% pensa che occorra maggiore informazione sui materiali plastici riciclabili, mentre il 93% è convinto che bisognerebbe proibire la produzione di plastiche non riciclabili e sostituirle con materiali riciclabili. Il 92% è convinto, infine, che dovrebbero essere prese iniziative per ridurre l’utilizzo di prodotti monouso in plastica, come i sacchetti. Ben il 94% afferma che sosterrebbe un obiettivo Ue per ridurre la quantità di rifiuti che finiscono negli oceani e 9 persone su 10 si dicono pronte a sostenere gli obiettivi Ue sui rifiuti marini negli Stati membri. Solo l’Olanda, con l’88% di favorevoli, è sotto la media del 90%, e solo in quel civile Paese il 10% si è dichiarato contrario all’obiettivo. Un sostegno che invece risulta non a caso più forte a Malta, Portogallo e Spagna (con il 98%). Venendo ai dati dell’Italia, il 98% degli intervistati è favorevole ad un uso efficiente delle risorse; l’87% dice di fare raccolta differenziata, il 77% di riparare le apparecchiature rotte. Siamo invece deboli (44%) nel donare oggetti per un loro riutilizzo e sotto la media europea (57%) per la propensione ad acquistare prodotti non “sovraimballati”. Il 59% degli italiani dice di utilizzare pile ricaricabili, ma solo il 46% ricicla i contenitori per bevande, anche se siamo sopra la media europea (con il 45%) tra chi è favorevole al compostaggio domestico.
Dopo la ristrutturazione Sienambiente dà il via all’impianto di compostaggio
Nel Comune di Abbadia San Salvatore (Siena), c’è esempio di come un rifiuto può diventare un prodotto, in particolare in un ammendante utilizzato anche in agricoltura biologica. E’ il compost “Terra di Siena”, e lo produce Sienambiente nell’impianto di compostaggio di Poggio alla Billa che è ritornato in attività a conclusione dei lavori di “revamping”. Questa mattina, c’è stata l’inaugurazione del sito, alla quale hanno partecipato, oltre all’amministratore delegato e al presidente di Sienambiente, Luana Frassinetti e Fabrizio Vigni, il sindaco di Abbadia San Salvatore, Fabrizio Tondi, e il presidente di ATO Toscana Sud, Nazareno Betti. Il presidente di Sienambiente, Fabrizio Vigni, sottolinea l’importanza dell’impianto (attivo dal 2008) e il suo ruolo strategico per il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di rifiuti. «Grazie alle opere eseguite, possiamo dare un ulteriore contributo al recupero di materia dai rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata – ha dichiarato Vigni – Oltre a produrre un ottimo ammendante per l’agricoltura, questo impianto contribuirà, insieme a tutti gli altri impianti gestiti da Sienambiente, a ridurre sempre più i rifiuti da smaltire in discarica. E’ un’altra tappa importante per portare il nostro sistema di gestione dei rifiuti, già oggi tra i migliori sul piano nazionale, verso standard ambientali sempre più avanzati». Per il presidente dell’ATO Toscana Sud «è solo con impianti come quello di Poggio alla Billa che è possibile raggiungere gli obiettivi europei, sia sul fronte della percentuale di riciclo che in generale di recupero di materia». Nell’impianto, vengono gestiti i rifiuti del bacino Amiata – Val di Chiana per una capacità di trattamento di 13.000 tonnellate all’anno di sostanza organica proveniente da raccolta differenziata. Oltre a vantare il marchio di qualità rilasciato dal Consorzio italiano dei compostatori, il compost prodotto a Poggio alla Billa (4 mila tonnellate annue), ha un proprio “marchio” denominato “Terra di Siena”. Questo prodotto è il risultato della lavorazione della frazione organica della differenziata, del materiale vegetale (sfalci, potature) e degli scarti organici dei cicli di lavorazione agro-industriale.
Auto elettriche: a batterie o a celle combustibili? Toyota e Tesla si sfidano con strategie diverse
Toyota ha annunciato che la sua nuova auto interamente elettrica (quindi non Ibrida come la Pryus) si chiamerà SedanFCV, veicolo a celle combustibile e sarà in vendita in Giappone “prima di aprile 2015″ e sarà disponibile negli Stati Uniti e in Europa alcuni mesi più tardi, la prossima estate. Toyota ha anche rivelato il design esterno finale della nuova vettura, che assomiglia molto al prototipo vistolo scorso autunno. E hanno dettoche saràdisponibile al prezzo di poco più di 50.000 Euro. Non un prodotto proprio economico e quindi destinato alla grande massa. La berlina Sedan FCV è quindi una macchina elettrica, man on è comela TeslaS o la Nissan Leaf o la Ford Focus Electric, perché non ha batterie. Invece, ha una cella a combustibile, che è un “dispositivo”che estrae chimicamente l’energia da gas di idrogeno e lo trasforma inenergi elettrica. Le uniche”emissioni” diquesta vettura è vapore acqueo.Toyota si è mossa in modo più aggressivoversole celle a combustibile, e sembra aver previsto (come azienda capace di ingenti investimenti) che le auto elettriche a batteria non rappresentano il vero futuro della mobilità sostenibile.
Gli aiuti di stato per la tutela dell’ambiente sono compatibili con il mercato Ue
Se non ora quando? Gli aiuti di Stato – come quelli per la tutela dell’ambiente – sono compatibili con il mercato interno e non necessitano di notifica. Con regolamento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale europea di ieri l’Ue oltre a estendere il campo d’applicazione delle esenzioni, ha migliorato la trasparenza delle misure di aiuto e ha rafforzato l’efficacia dei controlli. E lo ha fatto anche per gli aiuti per la tutela ambientale, ossia per quelli che consentono alle imprese di andare oltre le norme comunitarie, per quelli sotto forma di riduzioni fiscali, per quelli agli investimenti in misure di risparmio energetico e volti a promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e per quelli volti al riutilizzo e al riciclaggio dei rifiuti. La Commissione ha dato l’avvio a una vasta riforma di modernizzazione del quadro normativo in materia di aiuti di Stato. Una modernizzazione che ha tre obiettivi principali: conseguire una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva in un mercato interno competitivo”, contribuendo agli sforzi degli Stati membri per un uso più efficiente delle finanze pubbliche; concentrare il controllo ex ante delle misure di aiuto da parte della Commissione sui casi che hanno il maggiore impatto sul mercato interno, rafforzando la cooperazione tra gli Stati membri in materia di applicazione delle norme sugli aiuti di Stato; semplificare le norme e garantire decisioni più rapide, meglio informate e più solide, basate su motivazioni economiche chiare, su un approccio comune e su obblighi precisi. Dunque mediante investimenti si può conseguire un livello più elevato di tutela ambientale. Pertanto, al fine di incentivare le imprese a migliorare il livello di tutela ambientale al di là delle norme obbligatorie comunitarie, l’Ue ritiene opportuno che gli aiuti di Stato in questo settore siano oggetto di un’esenzione per categoria. E questo anche per non dissuadere gli Stati membri dal fissare norme nazionali vincolanti più rigorose delle corrispondenti norme dell’Unione. Fra gli obiettivi della strategia Europa 2020, vi è la riduzione di almeno il 20% del consumo di energia primaria dell’Unione. Per raggiungere tale obiettivo anche le misure a favore dell’efficienza energetica, della cogenerazione ad alto rendimento, nonché del teleriscaldamento e teleraffreddamento hanno ottenuto un’esenzione per categoria. Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di sostenere investimenti in misure di efficienza energetica degli immobili attraverso aiuti sotto forma di sovvenzioni dirette ai proprietari degli immobili o ai locatari, ma anche sotto forma di prestiti e garanzie per il tramite di intermediari finanziari scelti secondo un meccanismo di selezione trasparente. Anche gli aiuti a favore di tecnologie nuove e innovative possono essere oggetto di un’esenzione per categoria se vengono concessi sulla base di una procedura di gara competitiva aperta ad almeno una di queste tecnologie, mediante un meccanismo che espone i produttori di energia rinnovabile ai prezzi di mercato. Gli aiuti sotto forma di sgravi fiscali che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità possono contribuire indirettamente alla protezione ambientale. Tuttavia le imposte ambientali dovrebbero rispecchiare il costo sociale delle emissioni mentre gli sgravi fiscali possono incidere negativamente su questo obiettivo. Per questo l’Ue limita la durata di questi ultimi al periodo di applicazione del presente regolamento. In tema di rifiuti gli aiuti di Stato a favore del riutilizzo e del riciclaggio dei rifiuti possono contribuire alla tutela dell’ambiente. Tali aiuti non esentano indirettamente gli “inquinatori” dagli oneri previsti dalla normativa dell’Unione o da oneri che sono considerati come normali costi di un’impresa. Di conseguenza, gli aiuti a favore di tali attività sono oggetto di un’esenzione per categoria solo se riguardano rifiuti di altre imprese e se i materiali trattati sono altrimenti eliminati o trattati secondo un approccio meno rispettoso dell’ambiente. Anche gli studi ambientali possono contribuire ad individuare gli investimenti necessari per raggiungere un livello più elevato di tutela dell’ambiente. Per questo sono oggetto di un’esenzione per categoria. Però, in quanto obbligatori per le grandi imprese, gli audit energetici non possono beneficiare di aiuti di Stato.
Il decreto “taglia bollette” del governo Renzi è un pasticcio, i conti non tornano
Green Italia: «Nessun beneficio per l’85% delle imprese italiane, e mancano 500 milioni di euro» Secondo i due esponenti di Green Italia. Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, «sulle energie rinnovabili il governo Renzi e in particolare il ministro Guidi si sono scagliati con forza, incuranti delle conseguenze sul settore interno e delle reazioni degli investitori stranieri. Il taglio del 10% delle bollette delle PMI non produrrà nessun beneficio per l’85% delle imprese italiane, e comunque per finanziare questo sconto settoriale mancano all’appello ben 500 milioni di euro, perché i 200 milioni per lo “spalma incentivi” volontario sono prevedibilmente sovrastimati, ma prendendoli per buoni e anche ammettendo che si ottengano 700 milioni da quello obbligatorio per il fotovoltaico (e non sarà così visti i prevedibili ricorsi vincenti contro la retroattività) manca appunto circa mezzo miliardo per arrivare a 1,5 mld promesso di sconto. Probabilmente i cittadini dovranno finanziare in qualche modo questo buco vista l’inerzia del Ministro Guidi a tagliare incentivi e regalie varie legate alle energie fossili». Per Della Seta e Ferrante «Permangono infatti fondati dubbi che infatti il ministro voglia incidere sui sussidi agli idrocarburi, perché se sul fotovoltaico si è intervenuti con la decretazione d’urgenza, per quanto riguarda ad esempio l’eliminazione dei sussidi alle centrali ad olio combustibile o la riduzione del trattamento di favore ai cosiddetti ‘interrompibili’ (che ormai non vengono più interrotti), la strada che si intenderebbe seguire è quella soft degli atti di indirizzo all’Autorità per l’Energia, ma quando si trattò di ‘regalargli’ un trattamento di favore si ricorse al provvedimento legislativo. Se l’intento del Governo è effettivamente quello di alleggerire il costo della bolletta le soluzioni ci sono, ad esempio la revisione del mercato dei servizi di dispacciamento, l’intervento sulle convenzioni CIP6 a fonti assimilate che non hanno ancora beneficiato della prevista risoluzione facoltativa, il trasferimento in bolletta dei vantaggi generati dalle fonti rinnovabili (circa 7-8 miliardi di euro) e l’introduzione di un sistema fiscale green basato sul principio “Chi inquina paga””, magari finalmente ricorrendo a un’efficace Carbon tax». Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, si rivolge direttamente al Premier Matteo Renzi per cercare di comprendere le recenti scelte compiute in tema di energia con il decreto Legge 91/2014: «Perché il Governo del grande cambiamento ha deciso di intraprendere una guerra contro il solare? E’ lecito chiederselo alla luce delle azioni condotte dal Governo con l’approvazione il 24 Giugno di un Decreto Legge che incide in modo retroattivo sugli investimenti realizzati dalle imprese e per come si è scelto di premiare le fonti fossili ai danni proprio del solare». Legambiente, dopo aver analizzato a fondo il Decreto, sottolinea che «Sono molti infatti, gli indizi che proverebbero questo attacco alle rinnovabili: il primo riguarda il tema più dibattuto in queste settimane, ossia lo “spalma-incentivi” obbligatorio, che riguarda gli impianti fotovoltaici in produzione intervenendo in modo retroattivo sulle tariffe, con rischio di incostituzionalità, che darebbe un messaggio nettamente negativo agli investitori». Gli ambientalisti fanno un altro esempio, «Forse addirittura più grave perché riguarda il futuro degli investimenti nel solare e dimostra la capacità di pressione che le lobby delle fonti fossili esercitano nei confronti del Governo», si tratta della previsione di introdurre una tassa per le reti private (Seu, Riu) e per l’autoproduzione di elettricità, cioè la parte di energia prodotta che gli impianti non scambiano con la rete. A Legambiente spiegano che «Questa tassa sarà pari al 5% per le Seu e le Riu esistenti, ossia quelle che riguardano centrali a olio, gas, raffinerie, fabbriche, mentre sarà più cara per il futuro, perché il Decreto prevede che potrà aumentare anche considerevolmente per tenere in equilibrio il sistema. Dunque proprio gli impianti solari e da rinnovabili – che oggi possono trovare importanti prospettive di investimento con questi sistemi – si troveranno a pagare più degli impianti inquinanti. In pratica si avrebbe un condono per il passato inquinante e maggiori tasse e incertezze su un futuro pulito che potrebbe riguardare famiglie, condomini e piccole e medie imprese che vorranno utilizzare il proprio tetto per prodursi energia dal sole». Altro esempio fatto dal Cigno Verde di quella che definisce «L’indubbia attenzione del Governo nei confronti delle fonti fossili» è la scomparsa dal provvedimento di alcuni tagli ai sussidi alle fonti fossili su cui lo stesso Ministro Guidi aveva annunciato di voler intervenire: «E’ sparito infatti lo stop ai sussidi per le centrali a olio combustibile come pure un intervento promesso sui famigerati incentivi Cip6, che ne avrebbe ridotto l’impatto in bolletta, ossia quello di riforma della componente costo evitato di combustibile (Cec). Completamente assente poi, una qualsiasi spinta nella direzione dell’autoproduzione da fonti rinnovabili, che ha evidentemente i suoi principali oppositori proprio nel Ministero dello Sviluppo economico e nell’Autorità per l’energia». Zanchini conclude: «Perché non si tolgono i limiti allo scambio sul posto per l’energia prodotta da fonti rinnovabili? Perché il Governo non interviene sull’Authority che continua a rinviare la nuova normativa sui Riu che servirebbe alle imprese piccole e medie che vogliono investire nelle fonti rinnovabili? Se l’obiettivo del Decreto è davvero di ridurre la spesa energetica delle imprese italiane è proprio in questa direzione, che tiene assieme efficienza e fonti rinnovabili, che si può guardare per ottenere risultati concreti. Ci appelliamo al Parlamento perché riscriva questa parte del Decreto nell’interesse dell’Italia, dei suoi cittadini e delle sue imprese. La sola strada in grado di dare risposta ai problemi di sicurezza degli approvvigionamenti, di riduzione della spesa energetica e delle emissioni di gas serra passa per la riduzione dei consumi e delle importazioni di fonti fossili e dunque per efficienza e fonti rinnovabili».
Il rischio di abbandono delle microplastiche di piccole dimensioni
Nello studio “Global warming releases microplastic legacy frozen in Arctic Sea ice” pubblicato daEarth’s Future, un team di ricercatori statunitensi del Dartmouth College e britannici dell’università di Plymouth, rivelano un nuovo rischio conseguenza del global warming e della nostra pessima gestione delle materie prime: trilioni di minuscoli pezzi di plastica sono stati imprigionati dai ghiacci antartici ed ora stanno per essere rilasciati.
Secondo Plastics Europe, nel solo 2012 gli esseri umani hanno prodotto 288 milioni di tonnellate di plastiche e il nuovo studio ha fatto una scoperta sorprendente: molta della plastica che non riusciamo/vogliamo a recuperare, riciclare e riutilizzare finisce intrappolata nei ghiacci dell’Artico. Con il cambiamento climatico però sorge un grosso problema: lo scioglimento del ghiaccio marino potrebbe restituire la microplastica all’ambiente. Gli scienziati sapevano già che le microplastiche – polimeri, fibre o frammenti di meno di 5 millimetri – possono essere trasportate dal vento negli oceani, vicino alle coste o nei vortici di rifiuti come il Great Pacific Garbage Patch, ma Rachel Obbard, una scienziata della Thayer School of Engineering del Dartmouth College, è rimasta davvero sorpresa nello scoprire che le correnti avevano trasportato questi materiali fino all’Artico. Su Earth’s Future la Obbard ed il suo team spiegano che quando nell’Artico si forma il ghiaccio intrappola le micro-plastiche galleggianti, che i carotaggi dicono essere centinaia per m3, con densità più alte addirittura di quelle trovate in alcune “isole di rifiuti” del Pacifico. «Trovarla in una regione così isolata è stata per me davvero una sorpresa – ha detto la Obbard – Questo particolato ha fatto un lungo viaggio». Non si conoscono ancora i potenziali pericoli delle microplastiche ma quelle catturate dal ghiaccio potrebbero aiutare i ricercatori a risolvere un mistero: negli ultimi 50 anni la produzione industriale di plastica è aumentata considerevolmente ma nessuno è in grado di quantificare quale sia l’eliminazione finale di una gran parte di questi materiali. Lo studio rivela che i ghiacci marini potrebbero essere un in mportante “pozzo”, ma è un pozzo che si sta sciogliendo velocemene e queste microplastiche potrebbero presto tornare a galleggiare liberamente. Secondo gli autori dello studio, «Nel quadro delle attuali tendenze di scioglimento, più di un trilione di frammenti di plastica potrebbero essere rigettati nel prossimo decennio». La Obbard ed il suo team basano le loro previsioni su 4 carote di ghiaccio prelevate durante spedizioni artiche nel 2005 e 2010. I ricercatori hanno fatto sciogliere una parte di queste carotaggi, poi hanno filtrato l’acqua e messo i sedimenti sotto un microscopio, selezionando le particelle che per forma e colore sembravano artificiali. Poi è stata fatta un’analisi chimica del particolato utilizzando uno spettrometro ad infrarossi. Il 54% delle particelle presenti era rayon, che tecnicamente non è un polimero sintetico visto che deriva da cellulosa naturale, ma il 37% era costituito polipropilene, il 21% da poliestere, il 16% da nylon ed il 2% da polistirene, acrilico e polietilene. Uno degli autori dello studio, Richard Thompson, del Marine Biology and Ecology Research Centre della School of Marine Science and Engineering dell’università di Plymouth ha detto che «E’ difficile individuare la fonte di questi materiali. Il rayon per esempio è un componente dei vestiti e dei filtri delle sigarette».
Taglia-bollette con spalma-incentivi, il decreto in Gazzetta. Testo e sintesi
Ad una settimana dalla sua presentazione è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che contiene il pacchetto di misure taglia-bollette, tra le quali il famigerato spalma-incentivi contro il fotovoltaico sopra il 200 kW e la norma che impone di pagare parte degli oneri di sistema anche sull’energia autoconsumata. Il testo del decreto. Ad una settimana dalla sua presentazione (vedi qui), è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che contiene il pacchetto di misure detto taglia-bollette, tra le quali il famigerato spalma-incentivi contro il fotovoltaico sopra i 200 kWp e la norma che impone di pagare parte degli oneri di sistema anche sull’energia autoconsumata. Il provvedimento è sul numero 144 del 24-6-2014 della Serie Generale della Gazzetta: è il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, recante “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonche’ per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea.” Il decreto è in vigore già da oggi, ma potrà subire modifiche in Parlamento durante la conversione in legge, che deve avvenire entro 60 giorni. Le norme del paccchetto taglia-bollette sono dall’articolo 23 in poi. Nella versione finale si conferma sostanzialmente il testo dell’ultima bozza, che avevamo pubblicato qui. Rivediamo in sintesi le misure che ci interessano: I beneficiari (art. 23): le misure in questione andranno ad alleggerire la bolletta degli utenti in media e in bassa tensione con potenza allacciata superiore a 16,5 kW, esclusi clienti residenziali e l’illuminazione pubblica. I benefici non sono cumulabili con gli sgravi alle “imprese a forte consumo di energia”. Gli oneri sull’autoconsumo (art. 24): dalle prime versioni la norma ha subito vari aggiustamenti che la rendono ancora più penalizzante per i nuovi impianti fotovoltaici non incentivati basati sull’autoconsumo. In sostanza la versione in Gazzetta prevede che su tutta l’energia elettrica consumata in SEU e reti private, siano gli impianti nuovi o esistenti, sia l’energia incentivata o meno, si pagherà il 5% degli oneri generali di sistema. Questa quota potrà essere aggiornata a partire dal 2016 “al fine di non ridurre l’entità complessiva dei consumi soggetti al pagamento degli oneri”. A lasciare perplessi i fatto che questi “aggiornamenti” della quota da pagare, si legga rialzi, colpiranno esclusivamente l’energia prodotta in sistemi efficienti di utenza (SEU) entrati in esercizio dopo il 1° gennaio 2015 (ricordiamo che è nella definizione SEU si comprende anche di piccolo impianto fotovoltaico sul tetto di casa). Come abbiamo denunciato questo azzoppa, con l’incertezza, i nuovi business model che consentono di fare fotovoltaico non incentivato, mentre tutela le reti privati esistenti, per l’80% alimentate a fossili e in gran parte situate presso grandi aziende energivore.Lo spalma-incentivi (art. 26): per gli impianti fotovoltaici sopra i 200 kW di potenza, dal primo gennaio 2015, le tariffe saranno rimodulate su 24 anni anziché su 20, con le riduzioni stabilite nella tabella all’allegato 2 (vedi immagine a fianco). Ad esempio, un impianto che ha davanti ancora 12 anni di incentivi (per arrivare ai 20), si vedrà erogare per i prossimi 16 anni un importo annuale pari al 75% di quello previsto originariamente, per l’incentivazione su 20 anni. Gli operatori potranno accedere a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza tra l’incentivo spettante al primo gennaio 2015 e l’incentivo rimodulato. Tali finanziamenti “possono beneficiare, sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario, di provvista dedicata o garanzia concessa dalla Cassa depositi e prestiti”. Le Regioni e gli enti locali, dispone l’ultimo comma del provvedimento, dovranno adeguare i permessi rilasciati alla nuova durata degli incentivi. Chi non aderisce alla rimodulazione subirà una riduzione dell’8% dell’incentivo per la durata residua del periodo di incentivazione. C’è tempo fino al 30 novembre 2014 per scegliere e la riduzione partirebbe dal 1° gennaio 2015. Un altro aspetto danneggia gli operatori: a partire dal secondo semestre 2014, il GSE pagherà gli incentivi (per tutte le taglie di impianti FV incentivati) con rate mensili pari al 90% della producibilità media, per poi fare un conguaglio entro il 30 giugno dell’anno successivo. In pratica i proprietari di impianti FV garantiranno, a loro spese, una sorta di anticipo di cassa al Gestore dei Servizi Energetici. (Per non perderci in commenti rimandamo ad altri articoli in cui si spiega come tutto lo spalma-incentivi con i suoi effetti retroattivi, che sembrano violare principi costituzionali e trattati internazionali, oltre a minare la credibilità del Paese agli occhi degli investitori, ci esporrà ad una valanga di ricorsi, con possibili rimborsi miliardari, e per di più fornirà un’occasione ghiotta agli speculatori più rapaci) La copertura dei costi di gestione del GSE (art. 25): gli oneri sostenuti dal Gestore per lo svolgimento delle sue attività saranno a carico dei beneficiari delle medesime attività, cioè di chi riceve gli incentivi. Il GSE proporrà una tariffa ad hoc, da applicare dal 1° gennaio 2015. Semplificazione amministrativa per impianti a rinnovabili (art. 30): dal primo ottobre 2014 per la comunicazione, per la realizzazione, la connessione e l’esercizio degli impianti a rinnovabili basterà un modello unico. Al comma 2 norme particolari per gli impianti a biometano. Taglio a sconti alle Ferrovie dello Stato (art. 29) e ai dipendenti del settore elettrico (art.27): le agevolazioni alle Ferrovie dal 1° gennaio 2015 non si applicheranno più ai servizi, come alta velocità e merci, resi a condizioni di mercato. Gli sconti per i dipendenti delle società elettriche cessano dal primo luglio 2014. Riduzione dei costi per le isole minori (art. 28): si inizia ad eliminare lo spreco (più volte denunciato su queste pagine) dei sistemi elettrici delle isole minori; l’Aeeg entro 60 giorni dall’emanazione del decreto dovrà adottare una revisione della regolazione dei sistemi elettrici integrati insulari “basata su sostenibilità economica e ambientale”. Questa iniziativa peraltro non parte dalla volontà di questo governo ma è l’attuazione di un emendamento (a firma Crippa, M5S) inserito nella conversione del Destinazione Italia (legge 21 febbraio 2014 n.9, art 1 comma 6-octies). “Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico – si legge nella norma del Destinazione Italia da attuare – sono individuate le disposizioni per un processo di progressiva copertura del fabbisogno delle isole minori non interconnesse attraverso energia da fonti rinnovabili, gli obiettivi temporali e le modalità di sostegno degli investimenti, anche attraverso la componente tariffaria UC4”. Nel decreto uscito ieri che avrebbe dovuto attuare quanto sopra però, a differenza di quanto prescritto, non sì parla parla nè di rinnovabili (bensì di “soluzioni alternative”) nè di obiettivi temporali nè meccanismi di supporto.
Una definizione del Ministero dell’Ambiente costringe a smaltire in discarica o all’inceneritore le potature e gli altri scarti della gestione del verde urbano. Trasformando in un costo quella che per i Comuni potrebbe essere una risorsa da utilizzare anche per mettere in sicurezza il territorio. Uno spreco da diverse centinaia di milioni di euro. Mettiamo un Comune che taglia le siepi del parco. In un paese diverso potrebbe vendere le potature a un impianto a biomassa, guadagnandoci. In Italia è costretto a pagare per smaltirle in discarica o all’inceneritore. Un paradosso che costa ai nostri enti locali diverse centinaia di milioni di euro all’anno. La colpa è di norme e definizioni in contrasto tra loro: il Ministero dello Sviluppo Economico definisce queste biomasse “sottoprodotti” e quindi utilizzabili ai fini energetici, con tanto di specifico incentivo maggiorato. Il Ministero dell’Ambiente, e precisamente della Direzione Generale dei Rifiuti, invece, ha stabilito che queste biomasse sono da considerare “rifiuti”. Insomma, le potature del verde urbano vanno in discarica o all’inceneritore, utilizzarle diversamente vuol dire smaltire rifiuti in maniera illegale: con tutte le conseguenze del caso. Solo una modifica successiva al decreto legge Terra dei fuochi (il comma 6, articolo 5 del D.L. 256 del 2013, convertito con la legge 6 del 2014) fa sì che chi brucia “rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali”, pur essendo questi considerati “rifiuti urbani” vada incontro a sanzioni amministrative anziché commettere un reato penale. Ogni giorno gli amministratori di piccoli e medi comuni vorrebbero poter vendere questi sottoprodotti e quindi trasformare un costo in una voce di ricavo nel bilancio comunale, soggetto al rispetto del patto di stabilità. Per fornire un ordine di grandezza economico, solo sulla partita del verde pubblico il quantitativo disponibile si attesta intorno ai 3-4 milioni di tonnellate/anno con un costo di smaltimento di circa 180-240 milioni di euro a fronte di un possibile ricavo, in caso di utilizzo energetico, di 80-120 milioni. Il beneficio economico complessivo per l’Amministrazione pubblica italiana potrebbe aggirarsi tra 240-360 milioni di euro all’anno, senza contare la biomassa proveniente dalla gestione del territorio, ovvero pulizia degli alvei e argini fluviali, mareggiate e altri eventi atmosferici. Con il decreto 6 luglio 2012, sugli incentivi alla rinnovabili elettriche, infatti, si è riconosciuto un bonus sulla tariffa incentivante per la produzione di energia, se l’operatore utilizza, quali biomasse, i cosiddetti “sottoprodotti”: dagli avanzi di ristorazione e dell’industria agroalimentare, alle potature del verde urbano sino agli scarti di lavorazione del legno. Peccato che, come detto, questi materiali siano contemporaneamente anche “rifiuti” con le complicazioni del caso. Per chiarire la situazione si attende un decreto apposito, il cosiddetto “decreto sottoprodotti”. Si era iniziato a lavorarci con il governo Letta, ma poi tutto si è incagliato. Al ministero dell’Ambiente si era istituito un tavolo di confronto tecnico con gli operatori per definire i requisiti in ottemperanza dell’art. 184 bis del Testo Unico Ambientale, attraverso cui un materiale può essere considerato sottoprodotto nel rispetto dell’ambiente e della salute. Poi, cambiato governo, il silenzio. Intanto lo spreco continua: si paga per smaltire materiali che potrebbero essere valorizzati direttamente, e le potature del verde urbano non sono l’unico caso. Ad esempio se la frazione organica dei rifiuti potesse essere valorizzata direttamente, ristoratori e albergatori potrebbero risparmiare il 30-40% sulla Tares. In Svizzera si fa così, trasformando gli avanzi di ristorazione di alberghi e ristoranti in biogas naturale. Risolvere il paradosso dei sottoprodotti considerati rifiuti o non valorizzati, oltre a dare una boccata di ossigeno ai bilanci delle amministrazioni comunali, sarebbe un ottimo investimento anche per difendere il nostro fragile territorio. D’altra parte la valorizzazione delle biomasse legnose è anche una delle proposte del Commissario straordinario per la revisione delle spese per ridurre la spesa pubblica. Cosa aspettiamo?
Come gestire correttamente le lampadine a basso consumo, tubi al neon e led esausti
Le lampadine a basso consumo sono rifiuti speciali che devono essere raccolti in modo differenziato e dai quali si può recuperare il 95% dei materiali. Lampadine a basso consumo, tubi al neon e LED devono essere differenziati dai rifiuti urbani; al contrario le vecchie lampadine ad incandescenza e quelle alogene, che vanno nell’indifferenziato. Per facilitare tutti coloro che possiedono lampadine a basso consumo, tubi al neon e LED, Ecolamp, consorzio senza scopo di lucro dedito alla raccolta e al riciclo delle sorgenti luminose a basso consumo esauste, ha predisposto una nota informativa dove ricorda come gestire correttamente questa tipologia di rifiuti.Dove portare le sorgenti luminose a basso consumo esauste? Le sorgenti luminose a basso consumo esauste devono essere portate nei centri di raccolta comunali (riciclerie, isole ecologiche, collection point): si tratta di luoghi dove i cittadini possono portare rifiuti riciclabili ingombranti o pericolosi. Ecolamp, per facilitare la ricerca, ha predisposto un’applicazione gratuita per smartphone e tablet (Ecolamp: l’isola che c’è, per Apple e Android) contenente l’elenco dei centri di raccolta corredato da informazioni, mappe e contatti. In alternativa questi rifiuti possono essere conferiti al negoziante che è tenuto a ritirarli (e smaltirli correttamente) a fronte di un nuovo acquisto (uno contro uno) oppure, grazie al sistema uno contro zero, anche senza obbligo di acquisto di nuovi prodotti, ma solo se ci si rivolge a punti vendita di grosse dimensioni autorizzati a ritirare piccoli RAEE. Perché differenziare e smaltire correttamente le sorgenti luminose a basso consumo? Le lampade fluorescenti contengono, al loro interno, una piccola quantità di mercurio (<5 mg) che, se disperso nell’ambiente, può provocare danni ambientali e sanitari. Con una corretta raccolta differenziata è possibile recuperare molti materiali: vetro, plastica e polveri fluorescenti (contenenti mercurio) che possono essere reimpiegati in nuovi processi produttivi.Per tutte le informazioni sul corretto riciclo delle sorgenti luminose è disponibile il sito Web www.ecolamp.it, oppure è possibile postare le proprie domande sulla pagina Facebook o Twitter del Consorzio.
Decalogo contro lo spreco alimentare
Presentato dal Ministero dell’Ambiente il decalogo contro lo spreco alimentare. La giornata mondiale dell’ambiente è stata l’occasione per presentare il decalogo di buone pratiche in grado di supportare gli italiani nella difficile impresa di evitare gli sprechi alimentari. E’ stato calcolato che ogni famiglia getta nella spazzatura, ogni mese, una media di circa 30 euro, quasi la metà del bonus che l’attuale Governo ha dato in busta paga a circa 10 milioni di italiani. Complessivamente nel nostro Paese si buttano ben 3.554.969.445 euro di cibo ogni anno; oltre al problema rifiuti c’è da calcolare le risorse ambientali perse, quali suolo e acqua, che sono state sprecate per produrre alimenti poi divenuti rifiuti e l’anidride carbonica immessa inutilmente in atmosfera.Un disastro ecologico, oltre che morale, non da poco! Eppure gli italiani sembrano per lo più ignari del problema. L’ultima inchiesta di Waste Watcher, l’Osservatorio nazionale sugli sprechi voluto da Last Minute Market con Swg, mette in evidenza come il 52% degli intervistati sia convinto che lo spreco di cibo incida solo “in misura marginale” sulla qualità ambientale. Nonostante tutto, qualcosa sembra cambiare, gli italiani sembra non credano più ciecamente nella data di scadenza degli alimenti. I dati Waste Watcher del maggio 2014 attestano che 4 consumatori su 5 (pari all’81%) non gettano più il cibo scaduto e lo assaggiano per verificare se è ancora buono. In linea con questo comportamento è la richiesta da parte del 61% dei contattati di liberalizzare le date di scadenza impresse sui prodotti alimentari. Il 93% degli intervistati ritiene inoltre che la sensibilizzazione contro lo spreco debba passare attraverso un’azione di tipo culturale, pertanto è necessario, secondo il 77% del campione, prevedere l’insegnamento dell’educazione alimentare ed ambientale nelle scuole. Il decalogo voluto dal Ministero dell’Ambiente prevede 10 misure per battere lo spreco, dalle vendite al ribasso del cibo prossimo a scadenza alla donazione dei prodotti invenduti, agli accordi volontari con le impresa della ristorazione/distribuzione, all’introduzione di criteri premianti negli appalti pubblici dei servizi di ristorazione collettiva per che distribuisce gratuitamente le eccedenze.
Harley Davidson Livewire. Provocazione elettrica
La casa di Milwaukee spegne il sound motociclistico più famoso del mondo. Ecco la notizia-bomba: è nata un po’ a sorpresa una Harley-Davidson elettrica che, facendo a meno del glorioso motore bicilindrico grazie al quale la Casa di Milwaukee ha scritto i propri 111 anni di storia, sarà la prima a tentare di far cadere nel dimenticatoio il suo famigerato e possente latrato metallico, fino a oggi parte essenziale del corredo di ogni moto americana che si rispetti. La colonna sonora? Il silenzio Un ronzio, uno «swoosh» o poco più da oggi saranno la colonna sonora delle cavalcate in sella alla LiveWire – questo il nome della prima Harley elettrica – che per il momento non verrà messa in vendita, ma servirà a raccogliere dati, sensazioni, opinioni e suggerimenti da clienti selezionati e potenziali, chiamati a testare il prodotto per contribuire attivamente alla definizione delle caratteristiche del primo veicolo a batterie prodotto in serie da Harley-Davidson, che potrebbe arrivare dai concessionari a fine 2015. Al di là dell’assurdità acustica l’evento è importante perché segna l’ingresso del costruttore americano in un settore pressoché inesplorato dai grandi produttori di motociclette. In viaggio sulla Route 66. La nuova LiveWire, il cui rumore è stato appositamente studiato per essere elemento distintivo dell’esperienza di guida, dovrebbe essere spinta da un motore trifase a induzione ad alte prestazioni, utile a farla scattare da zero a cento in un tempo di circa 4 secondi. Potenza, coppia e autonomia restano sconosciute, ma con queste premesse l’elettrica marchiata Harley si annuncia come una moto dall’indole tutt’altro che paciosa. La Project LiveWire Experience partirà a breve dalla Route 66 e visiterà più di 30 concessionarie Harley-Davidson fino alla fine dell’anno negli Stati Uniti. Poi, nel 2015, il tour proseguirà toccando anche Canada ed Europa.
Il ritorno dell’Eletta Campana, una varietà storica di canapa italiana
Il seme, che piano piano si schiude e affonda le sue deboli radici per crescere, è perfetta per raccontare il mercato della canapa industriale in Italia. Dopo uno stop durato più di 60 anni, la canapa è tornata a popolare le nostre campagne per produrre in modo sostenibile, aiutando l’ambiente e contribuendo a creare una nuova idea di economia e, perché no, di futuro. E un altro passo avanti, avendo come riferimento la canapicoltura tradizionale italiana che ci aveva reso famosi nel mondo, è stato fatto da Ikaros Power, società di Pietro Paolo Crocetta specializzata in promozione, sviluppo e progettazione di impianti ad energia rinnovabile, che ha finanziato il CRA (Centro di Ricerca per l’Agricoltura) affinché fosse recuperata una varietà storica di canapa, l’Eletta Campana, che fino agli anni ’30 del Novecento rappresentava circa il 20% di tutta la nostra produzione nazionale con oltre 20mila ettari coltivati. In un secondo momento dall’unione di Ikaros Power e Ges (Green Energy solution) di Michele Giacalone, che opera nello stesso settore, è nata Società Agricola Eletta, con l’obiettivo di favorire la disponibilità, per gli agricoltori pugliesi e di tutto il meridione, di sementa che sia idonea alle caratteristiche pedoclimatiche del sud Italia a partire dal 2015.
Notizie varie
Libretti per gli impianti di climatizzazione, proroga o termine tassativo?
Secondo il comunicato stampa del Ministero, l’obbligo di dotazione dei nuovi libretti prenderà avvio a partire dal 15 ottobre 2014. A parere della CNA, per come è stato scritto lo schema di decreto, siamo di fronte a un vero e proprio termine tassativo.
Il decreto ‘taglia-bollette’ in Gazzetta Ufficiale: tutte le novità in campo energetico
Dopo i tanti annunci governativi, è stato finalmente pubblicato nella GU di ieri 25 giugno il decreto legge che contiene, tra le tante novità, anche il temuto “spalma-incentivi” per gli impianti fotovoltaici.
Oneri di sbilanciamento, le nuove proposte dell’Autorità
Pubblicato il documento di consultazione con le soluzioni che dovranno regolare l’attribuzione degli oneri di sbilanciamento agli impianti FER.
Da oggi in vigore la nuova tassazione sulle agroenergie
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione 23 giugno 2014 n. 89, da oggi 24 giugno sono in vigore le novità – con modifiche – del Dl 66/2014 relative al regime fiscale delle fonti fotovoltaiche e agroforestali.
Dlgs efficienza, il via libera del Parlamento
Le Commissioni competenti di Camera e Senato hanno approvato i pareri sullo schema di decreto che recepisce la Direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica. Ora il provvedimento dovrà tornare in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva.
Premio REbuild 2014 per il migliore progetto di riqualificazione sostenibile
Anche quest’anno, in vista della Convention REbuild 2014 (il 25 e 26 settembre a Riva del Garda), torna la competizione tra migliori interventi di riqualificazione edilizia in chiave di qualità e sostenibilità ambientale ed energetica.
GSE: niente decurtazione agli incentivi per le rinnovabili elettriche nel 2014 e 2015
In un comunicato di ieri, 18 giugno 2014, il GSE ha reso noto che per gli anni 2014 e 2015 non sarà applicata la decurtazione tariffaria del 2% delle tariffe incentivanti base del Dm 6 luglio 2012.
Solare termodinamico: in Italia possibili 600 MW entro il 2020
Grazie anche ai buoni livelli di incentivazione, il nostro Paese potrebbe vedere a breve un buon numero di realizzazioni di impianti solari termodinamici.
Consulta: no a divieti per impianti a biomassa in area agricola
Le Regioni non possono vietare la realizzazione di impianti a biomassa in area agricola, sulla base di criteri non conformi a quanto previsto a livello nazionale dal Dlgs 387/2003.
Sulcis, al via il primo biodistretto in Italia basato sulle agroenergie
E’ stato ufficializzato l’accordo per l’avvio del progetto Renovo Bioenergy con l’apertura del cantiere per la realizzazione della centrale termoelettrica alimentata a biomassa vegetale a Iglesias, nell’area del Sulcis, ex Rockwool.
Dall’Agenzia delle Entrate precisazioni sui controlli preventivi per crediti superiori ai 4mila euro
In un comunicato stampa di ieri 10 giugno, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che solo una parte dei rimborsi del modello 730 superiori a 4mila euro sarà sottoposta a controllo preventivo.
Energy Globe Award, in vetrina rinnovabili ed efficienza energetica
L’Energy Globe Award è un premio ambientale ideato nel 1999 dal pioniere austriaco dell’energia Wolfgang Neumann. In gara progetti internazionali dedicati all’efficienza energetica e alle rinnovabili.