Rinnovabili elettriche, incentivi agli sgoccioli?
Le previsioni sull’imminente esaurimento degli incentivi, contenute nel rapporto presentato il 22 maggio a Milano dall’Energy & Strategy Group, hanno fatto sorgere non poche preoccupazioni negli operatori del settore. Come già l’anno scorso, anche quest’anno il gruppo del Politecnico di Milano, diretto da Vittorio Chiesa, ha presentato il rapporto che fa il quadro sulle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, analizzando e interpretando strategie di business, scelte tecnologiche e dinamiche competitive.
L’Energy & Strategy Group è composto da docenti e ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano e ha come scopo quello di censire gli operatori e le iniziative imprenditoriali nel settore delle energie rinnovabili in Italia. I numeri presentati nel rapporto sono di notevole impatto:nel 2013 l’Italia ha raggiunto e superato la barriera dei 100 TWh di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili; • nel primo trimestre del 2014 si è raggiunto il 39,8% di contributo alla produzione (nel 2013 era stato 32,4%); • il parco impianti è composto per un terzo della sua potenza da impianti idroelettrici, un terzo da solare e la rimanente parte da eolico, biomasse e geotermico. Fonte: Rapporto Rinnovabili elettriche non fotovoltaiche 2014, a cura dell’Energy & Strategy Group.
Mentre entro il 2020 dal fotovoltaico il 10% dell’elettricità mondiale
Secondo uno studio realizzato da UBS Bank, sulla base delle tendenze attualmente riscontrate, il solare fotovoltaico garantirà il 10% dell’elettricità mondiale entro il 2020. Se i costi di produzione continueranno a diminuire e la domanda di fotovoltaico continuerà a crescere nelle principali economie mondiali, così come avviene oggigiorno, secondo UBS il futuro del settore è garantito. La crescita sarà assicurata dal fatto che il fotovoltaico non sarà più legato, come è avvenuto in passato, a singoli mercati nazionali tenuti in vita da sussidi statali. Attualmente, infatti, la crescita del settore è spinta dall’ascesa di diversi paesi nel mondo, tra i quali si distinguono la Cina, gli Stati Uniti e il Giappone. Questo rende il mercato più stabile rispetto al passato, quando i suoi passi in avanti erano legati principalmente ai sussidi europei e in particolare della Germania.Secondo UBS il solare manterrà una crescita annua media del 16% per i prossimi cinque anni, che porterà la capacità di nuove installazioni a 100 GW per il 2019, ovvero la cifra di installato totale mondiale raggiunta alla fine del 2012.
Imballaggi, presentato primo Rapporto sostenibilità Conai
In 15 anni di attività del sistema sono stati evitati la costruzione di almeno 100 discariche, il consumo di 250 miliardi di Kwh e l’emissione in atmosfera di 125 milioni di tonnellate di CO2. Sempre secondo i dati contenuti nel “Rapporto sostenibilità 2013”, presentato dal Consorzio nazionale imballaggi (Conai) a Roma il 20 maggio 2014, la quota di imballaggi conferiti in discarica è passata da oltre due terzi a meno di un quarto, mentre quella recuperata è passata dal 33% al 76,4%. Il documento, redatto nel rispetto dello standard internazionale “Global reporting initiative” di ultima generazione (GRI-G4), utilizza sei indicatori chiave per definire le performance ambientali, sociali ed economiche del Consorzio. Il Rapporto 2013, inoltre, è al contempo il primo “Green economy report” in Italia, realizzato applicando una nuova metodologia messa a punto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, appositamente pensata per quelle organizzazioni impegnate in modo diretto nel campo della Green economy.
Prefabbricati temporanei per turisti, non sono “nuova costruzione”
Strutture leggere anche prefabbricate, temporaneamente ancorate al suolo e destinate ai turisti in strutture ricettive non sono “nuova costruzione”. Lo prevede il Ddl di conversione del Dl 47/2014 approvato definitivamente dalla Camera il 20 maggio 2014. La legge di conversione, in vigore dopo la pubblicazione in Gu, inserisce nel Dl 47/2014 (“Emergenza casa”) l’articolo 10-ter che modifica il Dpr 380/2001 (articolo 3, comma 1, lettera e5): ora manufatti leggeri anche prefabbricati e strutture di qualsiasi tipo come camper, case mobili, imbarcazioni non dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee, sono escluse dal novero degli interventi di “nuova costruzione purché siano installati con temporaneo ancoraggio al suolo in strutture ricettive all’aperto e destinati alla sosta e soggiorno dei turisti. La norma introduce una semplificazione burocratica, cambiando quanto stabilito dal Dl 69/2013 che modificando lo stesso articolo del Tu edilizia andava in direzione opposta. L’intervento del 2013 aveva creato non pochi problemi con le Regioni che si ritrovavano norme previgenti più “favorevoli” divenute d’improvviso contrastanti con la norma nazionale.
La plastica rigenerata
Guardando il foglio di plastica liscio nel laboratorio dell’università dell’Illinois, nessuno potrebbe immaginare che poco prima un colpo lo aveva bucato da parte a parte. I ricercatori dell’Illinois hanno infatti sviluppato materiali che non solo “guariscono”, ma si rigenerano. Fino ad ora, i materiali auto-riparanti potevano legarsi solo a piccole crepe microscopiche, i nuovi materiali rigeneranti riempiono grandi crepe e buchi nel materiale rotto. Materiali all’avanguardia come il grafene, un materiale plastico sottile dello spessore di un atomo, sono sempre più leggeri, più forte e sempre più facili da produrre, il che offre nuove potenzialità per innovare tecnologie come la dissalazione dell’acqua o le celle solari, oppure in campo medico. Ma ai nostri materiali artificiali manca ancora una qualità che si trova naturalmente nelle radici delle piante e nella pelle umana: la capacità di autoguarigione. Negli Usa, come accennato sopra, potrebbero invece aver trovato la maniera di imitare la natura anche in questo campo. Il team di ricerca guidato da Scott White, un professore di ingegneria aerospaziale, ha pubblicato i primi risultati su Science il 9 maggio, ma ora rivela nuovi particolari sul sito dell’università. Jeffrey S. Moore, un professore di chimica che partecipa alla ricerca, spiega: «Abbiamo dimostrato la riparazione di un non vivente, un sistema di materiali sintetici, in un modo che ricorda la riparazione-ricrescita come si vede in alcuni sistemi viventi». Queste capacità di auto-riparazione sarebbero un vantaggio non solo per i prodotti commerciali, i ricercatori fanno l’esempio di un paraurti che si ripara in pochi minuti di un incidente, ma anche per parti e prodotti che sono difficili da sostituire o riparare, come quelli utilizzati nelle applicazioni aerospaziali.
Avanti con le Bioenergie
Tra le bioenergie in Italia nel 2013 sono cresciuti soprattutto le biomasse agroforestali e il biogas agricolo. In entrambi i settori impianti più piccoli e legati alla filiera. Buona la prospettiva per il biometano, frenata da alcuni aspetti normativi ancora da definire. La fotografia del comparto nel nuovo report dell’Energy&Strategy Group. Il mercato italiano delle bioenergie – per effetto dei cambiamenti introdotti con il decreto Rinnovabili Elettriche del luglio 2012 – lo scorso anno ha mostrato di muoversi a velocità diverse: crescita positiva per biogas agricolo e biomasse agroforestali, stallo per gli inceneritori e gli impianti a oli vegetali. Intanto – grazie ai nuovi incentivi messi in campo dal relativo decreto del dicembre 2013 – si aprono nuove prospettive per la filiera del biometano, ossia il biogas raffinato in modo da poter essere immesso in rete o utilizzato nei trasporti. E’ questa la fotografia del settore italiano delle biomasse che emerge dall’ultima edizione del “Report Rinnovabili Elettriche Non Fotovoltaiche” dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, Il DM 6 luglio 2012 sulle Rinnovabili Elettriche Non Fotovoltaiche classifica le biomasse in più gruppi a seconda della loro tipologia, ma essenzialmente distingue tra biomasse che provengono dal mondo dei «rifiuti» e biomasse derivanti dalla produzione «agricola-forestale». In generale nel 2013 ci sono state moltissime richieste per l’accesso ai Registri, riservati a impianti di medio-piccole dimensioni e uno scarso interesse sia per quanto riguarda i Rifacimenti (una sola richiesta pervenuta), che, più in generale, per gli impianti alimentati a RSU. Le biomasse agroforestali – si legge – hanno fatto registrare numerose nuove installazioni soprattutto grazie agli impianti di piccole dimensioni, sotto ai 2 MW, e alcuni interventi di rifacimento su grandi impianti. Per ragioni tecnologiche e di efficienze di conversione energetiche ottenibili – spiegano dall’ Energy & Strategy Group – gli impianti che maggiormente si sono diffusi sono essenzialmente di due tipi: i piccoli impianti con potenza di circa 1 MW elettrico che principalmente sfruttano la tecnologia ORC (Organic Rankine Cycle) e che bene si adattano a contesti locali dove è possibile valorizzare la biomassa presente in loco, oppure i grandi impianti con potenze maggiori di 8 MW elettrici principalmente destinati alla produzione elettrica su grande scala. I piccoli impianti a biomasse agroforestali sono di più recente diffusione e possono essere convenienti (IRR superiori al 6%) se, da un lato, grazie anche alla filiera corta sono in grado di ottenere prezzi di acquisto della biomassa tra i 45 e i 55 €/ton e, dall’altro, sono in grado di vendere tutta l’energia prodotta non solo elettrica, ma anche termica. Anche il biogas agricolo, nonostante un rallentamento delle installazioni dopo il record raggiunto negli anni scorsi, rimane in crescita soprattutto grazie alle soluzioni di piccola taglia. A seguito dell’introduzione del DM 6 luglio 2012, la taglia media degli impianti di recente sviluppo si è più che dimezzata rispetto all’impianto standard da 999 kW realizzato fino al 2012. La filiera si è consolidata negli ultimi anni con gli operatori che ora stanno riorganizzando la loro offerta di prodotti per seguire i nuovi sistemi di incentivazione. Alcuni operatori stranieri sono usciti dal mercato italiano per focalizzarsi su mercati esteri più redditizi. Il rallentamento del settore del biogas potrebbe essere, almeno in parte, compensato dall’affermarsi della filiera dell’upgrading del biogas a biometano, alla quale il decreto 5 dicembre 2013 apre buone prospettive, introducendo incentivi per il biometano immesso in rete, usato per la cogenerazione o venduto come carburante per i trasporti. In Italia, a fine 2013, non erano ancora presenti impianti di upgrading, ma in Europa già alcuni Paesi hanno scommesso su queste tecnologie. Complessivamente nel Mondo sono in funzione oltre 340 impianti di upgrading e i Paesi di riferimento sono la Germania e la Svezia. Il decreto approvato lascia tuttavia alcune questioni ancora da definire con decreti attuativi successivi o con decisioni a livello comunitario-europeo. In particolare è necessario che: sia data la definizione di FORSU (Frazione Organica Rifiuti Solidi Urban); si faccia chiarezza sul valore dei certificati di immissione in consumo di biocarburanti; si decida chi deve sostenere eventuali costi di immissione in rete del biometano prodotto (proprietario della rete vs proprietario dell’impianto). Il mercato italiano che si delineerà avrà caratteristiche fortemente determinate dalla normativa. Infatti sono stati privilegiati, da un lato, l’utilizzo di FORSU (che finora non era stato molto sfruttato dalla filiera del biogas per la produzione elettrica) e, dall’altro, la realizzazione di nuove stazioni per la vendita diretta del biometano. Diventa quindi fondamentale la gestione delle materie prime e la capacità di riuscire a distribuire il biometano prodotto. Sembrano quindi essere favorite le utility e le ex municipalizzate che gestiscono la raccolta e il trattamento dei rifiuti (FORSU) e che, spesso, dispongono anche di un parco veicoli offrendo servizi di trasporto pubblico.
Un libro da consigliare
Edito da Edizioni Ambiente, il libro “Rinnovabili: se non ora, quando?”, pone il lettore di fronte alle problematiche di un approvvigionamento basato sulle fonti fossili e spiega come sia sempre più impellente la necessità di una transizione energetica verso un sistema più pulito, più sostenibile e più giusto. La crisi politica in Ucraina ha riproposto per l’ennesima volta la questione della dipendenza energetica dell’Unione Europea che importa da paesi terzi il 56% circa dell’energia primaria di cui ha bisogno. Fanalino di coda dell’Unione è l’Italia che, con oltre l’80% di dipendenza energetica, assomiglia più a un castello costruito sulle sabbie mobili che a una roccaforte da G8. Certo, non sarà la crisi in Crimea a farci mancare il gas: nessuno ha interesse a tenerlo per sé, una volta soddisfatti i propri fabbisogni. Ma le velate minacce di Putin in questo frangente hanno messo in risalto come la dipendenza energetica sia anche, in un certo modo, dipendenza politica: “Energia è potere”, diceva Hillary Clinton e qui calza a pennello. A questo quadretto non proprio idilliaco si aggiunge l’andamento generale dei costi del fossile che, per quanto altalenante, ha avuto negli ultimi anni un’evoluzione in salita, con immediati riflessi sui costi delle nostre bollette elettriche.
Stop ai pannolini in discarica: arrivano quelli naturali ricavati dalle meduse
Sono stati brevettati in Israele e danno un doppio vantaggio: non inquinano e liberano il mare dalle meduse. Una rivoluzione, visto che ogni anno un bambino consuma 70 chili di pannolini. Stop ai pannolini in discarica: arrivano quelli naturali ricavati dalle meduse Pannolini in discarica e meduse che avvelenano i nostri bagni a mare. Sono due lati di un unico spreco, il primo legato a prodotti sbagliati e alle cattive abitudini e il secondo all’eccessivo riscaldamento e alla pesca selvaggia, che adesso potrebbero trovare una stessa e contestuale soluzione. La tecnologia, se ben utilizzata, è un motore del Non sprecare e del cambiamento, e in Israele una società di nanotecnologie, la Cine’al, ha brevettato un’intera linea di fazzoletti, pannolini e assorbenti, ricavati da resti essiccati della carne delle meduse. In pratica, il materiale ricavato dalle meduse, Hydromash, andrebbe a sostituire i polimeri utilizzati oggi per questo tipo di prodotti per arrivare così a mettere sul mercato pannolini composti per il 98 per cento da acqua. E biodegradabili in appena trenta giorni e non in anni, o secoli, come avviene oggi. Una vera rivoluzione negli stili di vita e nei consumi, considerando che attualmente, in media, ogni bambino consuma 70 chilogrammi di pannolini l’anno e una buona parte di questi finiscono nelle discariche. Una rivoluzione che ci farà risparmiare, migliorerà l’ambiente e, auguriamoci, ci libererà, almeno in parte, delle fastidiosissime meduse, vero incubo dei nostri tuffi nel Mediterraneo. Tutto sotto il segno del Non sprecare.
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