Speciale Rifiuti e Salute da “Inchiesta Rifiuti d’Italia”
Ad Arezzo
Uno studio epidemiologico, che rientra nel progetto di monitoraggio internazionale HIA21 Valutazione partecipata degli impatti sanitari, ambientali e socioeconomici derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, coordinato dall’Unità di epidemiologia ambientale, dall’Ifc-Cnr di Pisa in collaborazione con l’Asl di Arezzo, ha riscontrato nella coorte di residenti dal 2001 al 2010, grazie alla ricostruzione delle esposizioni ambientali per mezzo di stime di concentrazione del Pm10, eccessi per le malattie cardiovascolari nella classe più esposta del 18%, per le malattie urinarie del 13%. Così come un aumento della mortalità sia per malattie cardiovascolari che per malattie respiratorie acute nelle donne fino al 154% in più dei non esposti.
Nelle Marche
L’Arpa ha realizzato uno studio di coorte sull’esposizione a inquinamento da Pm10, sulla popolazione residente dell’impianto di incenerimento Cosmari di Tolentino (MC) spento nel 2013. Lo studio ha evidenziato un rischio aumentato di ricovero ospedaliero per tutte le cause (più 15%); rischi aumentati di ricovero per tutte le cause (più 14%). Lo studio ha evidenziato che la popolazione generale esposta a Pm10 tra 0,035-0,075 µg ha un rischio superiore di 2,4 volte di ricovero per le infezioni respiratorie acute, polmonite e influenza rispetto a quella non esposta.
Tra gli ultimi rapporti pubblicati
c’è quello realizzato sugli effetti dell’inceneritore Accam di Busto Arsizio, un impianto per età e tipologia molto simile a quello di Vercelli, con alti livelli di ossido di azoto emessi, la cui chiusura è prevista entro il 2017. Lo studio ha identificato i ricoveri per patologie cardiovascolari associati all’esposizione, stimando che circa 60 soggetti sono stati ricoverati almeno una volta per queste patologie nei tre anni di osservazione dello studio, tra il 2012 ed il 2014. Un ricoverato all’anno ogni mille persone con esposizione residenziale a ossidi di azoto superiore a 0,2 µg/m3.
Occorre poi ricordare che…
è nociva per la salute anche l’esposizione ai gas di fermentazione, come l’acido solfridico, emessi dalle discariche non a norma, prodotti dalla componente umida, non separata dal rifiuto secco, causa accertata di tumori al polmone negli adulti e dell’incremento fino al 10,6% delle infezioni acute alle vie respiratorie dei bambini da zero a 14 anni. Lo dice lo studio del Dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, pubblicato lo scorso maggio sull’International Journal of Epidemiology, che ha analizzato lo stato di salute di 242.409 persone che hanno vissuto vicino a Malagrotta e le altre discariche laziali dal 1 gennaio 1996 al 31 dicembre 2012.
I rifiuti mal trattati fanno male: lo dice l’Oms e lo dicono le ultime indagini epidemiologiche realizzate sulle ricadute discariche e inceneritori. L’Organizzazione mondiale della sanità lo aveva già ribadito due anni fa nelle sue linee guida per migliorare la qualità dell’aria e con un nuova campagna contro il killer invisibile: l’inquinamento atmosferico. Tra le prime tre priorità, dopo una gestione sostenibile dei trasporti, la riduzione delle emissioni di industrie e centrali, l’Oms mette la corretta gestione dei rifiuti. A partire dal controllo e forte limitazione dei gas emessi dalle discariche, inceneritori e roghi tossici. “Ci sono alternative possibili e a basso costo all’incenerimento dei rifiuti solidi – dice l’Oms – quando è inevitabile, allora le tecnologie di combustione devono essere attuate con severi controlli delle emissioni”.
E lo aveva messo nero su bianco!
Il ministero della Salute, insieme allo stesso Istituto superiore di sanità, che oggi smentisce se stesso, nelle conclusioni del progetto Sorveglianza epidemiologica sullo stato di salute della popolazione residente intorno agli impianti di trattamento rifiuti a partire dall’Emilia Romagna e la Terra dei Fuochi: solo con la raccolta differenziata al 70%, la riduzione del 10% dei rifiuti prodotti, compostaggio e divieto di conferimento in discarica dei rifiuti indifferenziata, vivremmo più a lungo e meglio.
Quanto ci costa la mancanza di trasparenza sui rifiuti in Italia in termini economici, ambientali e sanitari?
13 miliardi di euro ogni anno. Quanto una manovra finanziaria. È questo il costo del giro d’affari, sulla gestione dei rifiuti in Italia, calcolato da Wired e Cittadini Reattivi, a partire dalle stime fornite dall’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra) nel rapporto Rifiuti Urbani 2015. Cifre solo indicative e al ribasso, su cui si staglia una grande opacità della pubblica amministrazione, terreno fertile per criminalità organizzata e corruzione accertate da 314 inchieste giudiziarie con 1.602 arresti, 7.437 denunce e 871 aziende coinvolte in tutte le regioni d’Italia, secondo il rapporto Ecomafia 2016.
Una vera e propria truffa ai danni dei cittadini
La monnezza è oro, ma non per i cittadini che riciclano per esempio, come attestano il dossier dell’Antitrust e dell’associazione Comuni Virtuosi e come ricostruiamo nell’inchiesta Rifiuti d’Italia. Nel 2014 solo 390 milioni di euro sono rientrati nelle casse dei comuni e dei consorzi di filiera da Conai, a fronte di un valore di 1,9 miliardi di euro di rifiuti differenziati. Come a dire che la bolletta potrebbe costarci molto meno cara. Ma diventa, pure, un prezzo drammatico per la collettività, se potessimo quantificare l’impatto ambientale e il danno sanitario, determinati dalla cattiva messa in esercizio di discariche e inceneritori, che sono incalcolabili. In violazione all’articolo 13 della direttiva europea 2008/98, che ingiunge “la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all’ambiente”.
Quanti rifiuti produciamo?
Secondo i dati elaborati dall’Environment Data Center on Waste di Eurostat, pubblicati a marzo 2016, nel 2014 ogni italiano ha prodotto, mediamente, 488 chili di rifiuti. Di questi, 127 chili tra carta, plastica, metalli vengono recuperati e insieme a 80 chili di rifiuti biodegradabili, che vanno in compostaggio o in impianti di digestione anaerobica, alimentando la filiera del riciclo, raggiungendo il 42% in totale. Ma ancora, ben 154 chilogrammi, il 32% dei nostri scarti, finiscono in discarica, contro i 94 kg/pro capite che, mediamente, vengono inviati a incenerimento per recupero energetico, pari al 19% del totale. E infine, 33 chilogrammi spariscono dalle statistiche ufficiali. Quindi, su oltre 29 milioni di rifiuti urbani prodotti nel 2014 in Italia, più di 15 milioni sono ancora stati gestiti in modo indifferenziato e quasi 3 milioni di questi sono finiti in discarica tal quali violando ancora la direttiva Ue 1999/31/CE e le ultime circolari ministeriali che stabiliscono come obbligatorio un “trattamento adeguato, comprensivo di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti stessi prima della messa in discarica”. Il fatidico passaggio al trattamento meccanico biologico, salito alle cronache con l’ennesima crisi rifiuti romana, il cosiddetto Tmb, procedimento meccanico che dovrebbe separare la componente organica, i nostri scarti di cibo e vegetali per intenderci, dalla frazione secca che se non differenziata contiene, alla rinfusa, vetro, plastica, carta e metalli.
E secondo il rapporto Comuni Ricicloni 2016 di Legambiente…
Su 1.520 comuni che superano il 65% di raccolta differenziata, almeno 525 producono meno di 75 chilogrammi annui per abitante di rifiuto secco indifferenziato, (pari al 7% del totale nazionale), per una popolazione che sfiora i 3 milioni di cittadini. “Una buona pratica nazionale che ci mette all’avanguardia in tutta Europa – sostiene l’esperto Enzo Favoino – che non è l’unica, pensando alla città di Treviso produce 350 kg pro capite annui di rifiuti, ne ricicla oltre l’85% grazie al consorzio Contarina e ne invia a discarica solo 50”.
Economia circolare
Le materie prime non sono inesauribili. Certo è che con la futura scarsità delle risorse, il prezzo delle materie prime aumenterà. Ce lo dice anche l’Europa che, con il pacchetto di misure sull’economia circolare, andrà a impegnare finanziamenti per oltre 650 milioni di euro provenienti da Horizon 2020 e per 5,5 miliardi di euro dai fondi strutturali. Riciclo, riuso, ridurre drasticamente il conferimento in discarica, anzi scoraggiarlo, riutilizzare le materie prime e incentivare prodotti ecologici e a basso impatto, sono azioni che porteranno almeno 180mila posti di lavoro diretti nell’Unione europea entro il 2030, che andrebbero ad aggiungersi agli oltre 400mila che, secondo le stime, sarebbero già disponibili se si attuasse la legislazione sui rifiuti in vigore. Con un risparmio di materie prime, tra il 10% e il 40%. Contribuendo, nel contempo, a ridurre del 40% i gas serra, obiettivo che l’Ue si è impegnata a raggiungere entro il 2030 e che equivarrebbe all’abbattimento di 62 Mt (megatonnellate) di anidride carbonica l’anno.
Riciclare in Italia costa di più che nel resto d’Europa
Ma, nonostante tutto, anche grazie alla tariffa puntuale, si può risparmiare. Secondo l’indagine conoscitiva sui rifiuti solidi urbani realizzata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato avviata nel 2014 e pubblicata a febbraio 2016, i cittadini italiani potrebbero risparmiare notevolmente in bolletta con “meno discariche e più raccolta differenziata”. Ma per fare ciò, ribadisce l’Antitrust, l’industria deve sopportare l’intero costo della gestione della parte riferibile agli imballaggi della frazione differenziata dei rifiuti urbani. Così come succede, secondo il rapporto Ocse, The State of Play, in Austria, Belgio, Germania Repubblica Ceca e Paesi Bassi, mentre in Francia il contributo dei produttori ammonta al 75% di tale costo. In Italia, invece non è così si va da un rimborso ai comuni che varia dal 20 al 35%. Nel 2014, infatti, solo 390 milioni di euro sono rientrati nelle casse dei comuni e dei consorzi di filiera da Conai, a fronte di un valore di 1,9 miliardi di euro di rifiuti differenziati. Quanto spendiamo in bolletta. Ogni cittadino italiano nel 2014 ha speso mediamente in bolletta 213,95 euro, secondo l’elaborazione del Rapporto Rifiuti Urbani (Ispra 2015). Solo per i contratti di servizio per lo smaltimento le grandi città spendono centinaia di milioni di euro: il comune di Napoli nel 2015 ne ha spesi 232.752.001, Milano ne ha spesi 350.236.714, Parma 34.717.121, Palermo 118.548.431, Roma 796.838.964, come è possibile verificare su SoldiPubblici.it.
Secondo gli ultimi dati del Gse…
Solo nel 2015, su 1.063 milioni di euro, ancora il 23% è andato a sostenere la produzione di energia attraverso i rifiuti, pari a 224 milioni di euro. Da segnalare, invece, in controtendenza, l’ultimo decreto del 23 giugno 2016 per la produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili, diversi dal fotovoltaico, entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013, che andrà a sostenere gli impianti per il recupero di gas di discarica e biogas proveniente dai rifiuti non differenziati, come lo stesso ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti, ha ribadito a Wired. “Tra le rinnovabili incentivate dal decreto, è compresa la frazione biodegradabile dei rifiuti. Il beneficio è riconosciuto se questa è utilizzata per la produzione di energia in nuovi impianti di incenerimento o recupero energetico e fino al limite di potenza complessivo di 50MW, per questo è previsto un impegno annuale di 10 milioni di euro, che corrisponde a circa il 2,5% delle risorse finanziarie destinate con il decreto a tutte le rinnovabili”.
Intanto Sei Toscana…
Con Ri-creazione, spiega nelle scuole dell’ATo Toscana Sud come funziona davvero il ciclo integrato dei rifiuti
Torna per il terzo anno il progetto formativo offerto (gratis) da Sei Toscana nelle scuole di 105 comuni della Toscana del sud: l’anno scorso coinvolti oltre 7mila studenti. Con l’arrivo di settembre la riapertura delle delle scuole è questione di giorni, ma non solo per alunni ed insegnanti: anche per questo anno Sei Toscana mette in campo la sua “Ri-creazione. Da oggetto a rifiuto …e ritorno. La via delle 4 R”, ossia il progetto di educazione ambientale promosso dal gestore dei rifiuti della Toscana del sud e rivolto alle scuole primarie e secondarie di primo grado dei 105 comuni serviti.
Si tratta di un’esperienza giunta al terzo anno, accompagnata da un crescendo di successi; l’ultima edizione è riuscita a coinvolgere oltre 7.000 studenti (contro i 5.000 raggiunti 2015-2016), con gli educatori ambientali selezionati da Sei Toscana che sono stati in grado di proporre un’offerta formativa molto articolata per approfondire il ciclo integrato dei rifiuti, vero fiore all’occhiello anche in questo terzo anno di Ri-creazione.
Come spiegano da Sei Toscana, per le classi I e II della scuola primaria, il percorso “Ogni cosa al suo posto – La natura non rifiuta” prevede di far apprendere agli alunni il concetto di rifiuto, a far riconoscere le varie tipologie di rifiuto e quindi come differenziarlo, a seconda delle principali caratteristiche che possiede. Alle ultime tre classi della primaria invece (III, IV e V) vengono proposti due percorsi didattici: uno, “Chi l’ha detto che non serve più – Riduzione, Riutilizzo”, finalizzato a far comprendere soprattutto l’importanza del concetto del Riutilizzo. La consapevolezza che alcuni oggetti possono essere riutilizzati in altro modo, prima di farli diventare rifiuti, aiuterà gli alunni a riflettere sullo spreco (alimentare e non solo) che caratterizza la nostra società dei consumi. L’altro “Il ciclo del riciclo – Riduzione, Riciclo” che servirà a far conoscere soprattutto la filiera del riciclo partendo dall’osservazione di cosa avviene in natura, le diverse tipologie dei rifiuti e organizzare una buona raccolta differenziata così da poter garantire ai materiali di essere riciclati.
Tre invece i percorsi formativi rivolti agli alunni delle scuole secondarie di I grado. “Meno è meglio – Riduzione”, dove sarà posto l’accento sull’importanza dei comportamenti virtuosi individuali e collettivi, a scuola o in famiglia, per ridurre la produzione dei rifiuti, con i ragazzi che verranno coinvolti nell’osservazione degli acquisti effettuati nel loro ambito familiare o nella classe e nell’individuazione di possibili azioni di cambiamento, monitorando i risultati di riduzione dei rifiuti alla fine del percorso. “Da cosa rinasce cosa – Riduzione, Riciclo” che servirà a far conoscere la filiera del riciclo partendo dall’osservazione di cosa avviene in natura, dove grazie al ciclo produttori-consumatori-
Si tratta di un’offerta formativa di qualità e strutturata in relazione alle varie fasce d’età degli alunni, che viene proposta a tutti gli istituti scolastici dei 105 comuni della Toscana del sud in forma totalmente gratuita: per partecipare alla terza edizione di “Ri-Creazione”, le classi interessate dovranno presentare – con il termine ultimo di adesione fissato per il prossimo 15 ottobre – la richiesta compilando l’apposito modulo allegato alla presentazione del progetto che sarà inviato a tutti gli istituti scolastici la prossima settimana e inviarlo a scuola@seitoscana.it. A partire dalla metà di settembre, inoltre, le schede del progetto e il modulo di adesione saranno scaricabili anche dall’apposita sezione del sito di Sei Toscana.
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