Il 2 giugno quest’anno questa acquista un valore in più: 70 anni fa infatti le donne per la prima volta ebbero la possibilità di votare. Si può dire che il suggragio femminile sia dunque stata una conquista recente in Italia, anche se l’aggettivo più adatto è indubbiamente “sofferta”. Il diritto di voto venne infatti dopo il ventennio fascista e, soprattutto, dopo i disastri della guerra mondiale, due momenti storici in cui il ruolo delle donne fu di fondamentale importanza.
Durante la guerra di liberazione furono molte le donne che parteciparono più o meno attivamente alla lotta partigiana e proprio in virtù di questo loro impegno da molte di loro partì la richiesta dell’estensione del diritto di voto. Fu in quel momento che nacquero i primi gruppi organizzati: nel settembre 1944 nacquero l’UDI (Unione donne italiane), afferente alla sinistra e il CIF (Centro italiano femminile) di area cattolica.
Nell’ottobre 1944 la Commissione per il voto alle donne dell’UDI e altre associazioni presentarono al governo Bonomi un documento nel quale sostenevano l’inevitabilità di concedere il suffragio universale; verso la fine del mese sorse poi il Comitato Pro Voto, volto a far conquistare il diritto di voto alle donne e fare in modo che esse potessero ottenere cariche importanti nelle amministrazioni pubbliche e negli enti morali. Nel mese di novembre del 1944 UDI, CIF e altre organizzazioni commissionarono a Laura Lombardo Radice la scrittura di un opuscolo intitolato “Le donne italiane hanno diritto al voto”. Successivamente le rappresentanti del Comitato Pro Voto consegnarono una petizione al Governo di Liberazione Nazionale nella quale chiedevano che il diritto di votare e di essere elette venisse esteso alle donne per le successive elezioni amministrative.
Il 20 gennaio 1945 Togliatti scrisse una lettera a De Gasperi nella quale affermava che fosse necessario porre la questione del voto alle donne nell’imminente consiglio dei ministri. A tale lettera De Gasperi rispose: “ho fatto più rapidamente ancora di quanto mi chiedi. Ho telefonato a Bonomi, preannunciandogli che lunedì sera o martedì mattina tu e io faremo un passo presso di lui per pregarlo di presentare nella prossima seduta un progetto per l’inclusione del voto femminile nelle liste delle prossime elezioni amministrative. Facesse intanto preparare il testo del decreto. Mi ha risposto affermativamente.”
Il 30 gennaio 1945 nella riunione del consiglio dei ministri, come ultimo argomento, si discusse quindi del voto alle donne. La questione fu esaminata con poca attenzione, ma la maggioranza dei partiti (a esclusione di liberali, azionisti e repubblicani) si dimostrò favorevole all’estensione.
Il 31 gennaio 1945 venne emanato il decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni. Il decreto Bonomi tuttavia non faceva menzione dell’elettorato passivo: cioè della possibilità, per le donne, di essere votate. L’11 febbraio 1945 l’UDI inviò allora un telegramma per Bonomi nel quale si richiedeva di sancire anche l’eleggibilità delle donne. Dovette trascorrere poco più di un anno prima che esse venissero accontentate e potessero godere dell’eleggibilità
Le prime elezioni amministrative alle quali le donne furono chiamate a votare si svolsero in realtà a partire dal 10 marzo 1946 in 5 turni, mentre le prime elezioni politiche (si trattava del Referendum istituzionale monarchia-repubblica) si tennero il 2 giugno 1946. Quindi, in realtà, il primo voto femminile in Italia è antecedente al 2 Giugno 1946
La nuova legge diede subito i suoi frutti: alcune donne vennero elette nelle amministrazioni locali (2 come Sindaco, ne parlammo tempo fa in questo articolo) e ben 21 furono deputate per l’assemblea costituente.
Molte furono le volontarie che si presentavano di casa in casa per spiegare alle donne come si votava; consigli pratici ma indispensabili vista la novità: niente rossetto, niente trucco e la necessità di portarsi dietro uno sgabello, perché le ore di attesa erano molte. Ma sicuramente la voglia di essere cittadine attive c’era: si presentarono ai seggi l’89.1% delle aventi diritto, stessa percentuale degli uomini.
La questione femminile in politica resta però tutt’oggi un problema. Molte leggi sono state fatte per facilitare l’ingresso in politica, ma i risultati non sono visibili. L’Italia è al 23esimo posto sui 27 Paesi europei per presenza femminile nell’Istituzioni. Da una ricerca si evince che l’80% delle cariche pubbliche sono ricoperte da uomini e ovviamente queste sono quelle più importanti e incisive, alle donne vengono lasciati ruoli di secondo piano. Non bastano le quote rosa, a mio avviso sono un male necessario, e neanche la doppia preferenza di genere, che come abbiamo visto nelle ultime elezioni comunali poco hanno cambiato in numeri percentuali, servono azioni concrete e un cambio nella mentalità. Non devono essere le donne a entrare in politica, ma la politica che deve coinvolgere le donne. La politica ha da sempre avuto modi, modalità, linguaggi e orari prettamente maschili, escludendo quindi il gentil sesso da una partecipazione attiva. Inoltre, manca la libertà e la consapevolezza nelle donne di poter far politica, spesso se qualcuna si avvicina lo fa perché un uomo, marito, amante o amico, l’ha introdotta; è difficile che lo faccia di sua spontanea volontà. La paura del giudizio, la mancata collaborazione dell’eventuale compagno per le cure domestiche oppure l’incapacità di fare un passo indietro dell’uomo, rilegano le donne ad angeli del focolare, ancora oggi. Se poi qualcuna riesce nell’impresa, i commenti non mancano e comunque, molto spesso, dietro di lei c’è sempre un uomo, come se la donna non fosse in grado da sola di difendersi o di attaccare, di proporre o di imporre. Beh anche noi donne sappiamo farci valere quanto gli uomini, e a volte anche meglio.
Gli spazi televisivi poi sono dominati degli uomini; poche le donne, anche se con ruoli istituzionali pari o superiori, invitate ai dibattiti (solo il 4.3%), a meno che non siano di bella presenza, tanto per enfatizzare il binomio deleterio donna-oggetto sessuale. Questo non agevola e non invita chi le ascolta da casa ad appassionarsi a temi politici. Lo scarto del voto tra uomini e donne raggiunge il 4% ed è la percentuale più alta mai raggiunta, che ci porta a una conclusione che le donne da sole non vanno a votare. Manca appunto la libertà e la consapevolezza di cui parlavo sopra.
Quindi faccio anche io i miei più sentiti auguri alla nostra Repubblica con un auspicio, che possa essere sempre di più una repubblica rosa, che non abbia niente da invidiare a Svezia o Islanda
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70 anni di voto alle donne, un momento di accelerazione determinante verso la maturità della Democrazia e la crescita culturale della società italiana.
Ora abbiamo difronte un'altra questione altrettanto importante, quella della completa equiparazione delle donne nel mondo del lavoro, perché nei sistemi di produzione della ricchezza basati sulla cibernetica esse sono molto più sensibili ai nuovi strumenti e quindi più produttive degli uomini; a loro dobbiamo affidare la guida del processo di innovazione del paese e quindi della crescita, a loro fra settanta anni si penserà con gratitudine e spero che verranno festeggiate come oggi con un analogo articolo che testimoni la loro importanza nella costruzione della società del ventiduesimo secolo.