Non mi sono stupita leggendo i risultati dello studio dello Spi CGIL sui tagli effettuati alle risorse per le politiche sociali negli ultimi 5 anni come anche il recente rapporto della Caritas di Cortona che dipinge un quadro preoccupante. Chi lavora in questo settore o chi, come me, amministra un Comune sa bene le grosse modifiche che sono state fatte negli ultimi anni ai servizi legati al welfare e gli stravolgimenti per utenti e addetti ai lavori.
40.000 operatori sociali in meno e un incremento massiccio delle richieste di aiuto da parte di famiglie anche le più “insospettabili”, quelle, per intenderci, del cosidetto ceto medio. I numeri parlano chiaro:
- Fondo Non Autosufficienza passato da 400 milioni di euro a 0 (negli ultimi 3 anni)
- Fondo Politiche Sociali passato da 929 milioni a 44 milioni di euro
- Fondo Politiche per la Famiglia passato da 346 milioni a 31 milioni di euro
- Fondo per la Politiche Giovanili passato da 137 milioni a 10 milioni di euro
- Fondo per L’infanzia passato da 100 milioni di euro a 0
La CGIL ha detto che questo è l’anno zero del welfare. Speriamo. Perchè se questo è l’anno zero vuol dire che da ora in poi andremo migliorando anche perchè fare peggio di così è veramente difficile.
Ma cosa significa togliere soldi al welfare? Sono soldi buttati o spesi male?
Un noto proverbio cinese dice: “Se un uomo ha fame non regalargli un pesce, ma insegnagli a pescare. Solo così non lo avrai sfamato per un giorno, ma per sempre”.
Questo è il senso vero delle risorse destinate al welfare. I governi degli ultimi anni Berlusconi-Lega prima e Monti poi non hanno compreso che investire sul welfare e sulle politiche sociali non è una forma di mero assistenzialismo ma significa invece investire sul futuro delle persone e ridare una spinta all’economia dei territori.
E infatti le risorse dei fondi sono state sempre utilizzate dai Comuni, almeno nei nostri territori, per costruire progretti per le famiglie numerose, per le persone in temporanea difficoltà economica o lavorativa, per i giovani in situazioni di disagio e hanno avuto sempre come obiettivo non quello di dar loro un contributo economico per soddisfare esigenze a breve termine ma di costruire, anche insieme alle forze sociali del territorio, percorsi formativi strutturali personali e lavorativi che potessero portarli verso un autonomia sociale ed economica. Adesso, invece, i Comuni sono costretti, finchè possono, a dare un semplice aiuto, una tantum, che non risolve il problema né al cittadino né alle istituzioni.
E non mi si dica, per favore, la solita storia che sono soldi dati agli extracomunitari perchè, sebbene assolutamente lecito, è falso. Basti vedere qualsiasi progetto fatto a Cortona, in Valdichiana, in Provincia di Arezzo per capire chi sono, anzi, purtroppo, chi erano, i maggiori beneficiari dei progetti: bambini, adulti, anziani, disabili.
La strada giusta per ridare slancio al welfare e per ottimizzare i costi è quella della prevenzione: prevenire il disagio, prevenire le difficoltà prima che diventino “croniche” è il modo migliore per costruire una società equa ed economicamente produttiva.
Per tornare al proverbio e rimanere nella metafora, se insegnamo ad una persona a pescare magari inzialmente avremo bisogno di più soldi per comprare l’esca e la canna da pesca ma poi sarà in grado di nutrirsi da solo e magari di farne anche un mestiere. Non solo, avremmo anche contribuìto all’economia del territorio comprando una canna da pesca e delle esche.
E poi c’è l’azzeramento del Fondo della Non Autosufficienza e questo dovrebbe essere considerato quasi un reato in un paese che si vuol chiamare civile. Lasciare alle famiglie il peso delle persone disabili annulando completamente qualsiasi tipo di aiuto è disumano nonché, oserei dire, anticostituzionale (art. 32). Anche in questo caso l’aiuto che viene dato alla persona disabile (in termini di maggiore assistenza, progetti di riabilitazione, progetti di autonomia) è un aiuto che si ripercuote direttamente anche nei familiari, nella loro vita lavorativa e sociale, e indirettamente nell’economia del territorio.
Anche qui molte ricette sono state date (una tra tutte la modifica del calcolo ISEE per la compartecipazione ai servizi) ma assolutamente niente è stato fatto in questi anni.
Spero vivamente che questo appello della CGIL non rimanga inascoltato e che il nuovo governo possa ripristinare i diritti sociali dei cittadini, sopratutto quelli più deboli, per troppo tempo inascoltati.