50mila iscritti in meno all’Università. Da ieri si frigna su tutti i media e i social: c’è chi se la prende con la crisi, che ormai sembra quella della canzone di Ivano Fossati, argomento buono per levarsi di dosso ogni colpa; c’è chi invece se la prende con Berlusconi che da 20 anni va insegnando ai giovani italiani, in particolar modo alle donne, che la preparazione culturale non serve assolutamente a niente e per far soldi e carriera bastano altre cose. In questi due elementi sembra arrivare la spiegazione a tutto, anche da esìmi (si noti l’accento) editorialisti nazionali.
Peccato che ci si dimentichi di un paio di “piccolissimi” dettagli che secondo me influiscono nella scelta di un giovane più della mancanza di soldi della famiglia (in epoche passate, molto più povere di queste, si facevano i salti mortali pur di continuare a studiare) o dei diabolici messaggi subliminali lanciati a ogni ora nelle tv private.
Tutto parte, secondo me, dal livello bassissimo di formazione che si raggiunge ormai nelle nostre università. O meglio: il livello è alto per chi ha voglia di studiare; il guaio è che per troppo tempo s’è smesso di bocciare chi andava bocciato. In certi casi, in determinate facoltà e/o sedi periferiche minori pur di attrarre iscritti si è caduti quasi ai livelli delle università sessantottine, quando si dava il 18 politico. In questi ultimi anni si è laureato veramente chiunque, e non appena è stato chiaro che laurearsi serviva a poco specie quando si laurea anche il cane, il mercato del lavoro fa schifo e l’economia va a rotoli, ecco che è scattato il meccanismo mentale che induce a pensare che sia meglio smettere e andare a lavorare.
Perchè davvero la laurea, in questo momento e con questo mercato del lavoro, serve a poco, se non per alcune eccezioni. La differenza di opportunità reali e concrete fra laureati e non laureati è impercettibile e già si sa che bisogna cominciare dalla gavetta, accettando lavori per cui la laurea è assolutamente superflua. E allora, come facevano i nostri nonni, si pensa che sia meglio smettere prima, risparmiare 5 o 6 anni di vita, e iniziare a faticare per aprirsi una strada appena finito il liceo; perchè sappiamo che farlo sarà faticoso e che comunque, mal che vada, sarà certo meno umiliante trovarsi ancora zero, senza un lavoro decente e mantenuti dai genitori, a 23 o 24 anni, piuttosto che a 30
Infine: attenzione a non dimenticarsi un altro dettaglio non da poco. Non c’è solo l’abbandono alla fine delle Superiori. C’è anche quello prima del diploma: quasi al 19%, contro una media europea del 14%. Sintomo di un sistema scolastico e sociale che non funziona granchè
Ultimo elemento, secondario ma non irrilevante: una volta essere ignoranti era motivo di vergogna. Ormai non lo è più, anzi… Anche perchè buona parte degli ignoranti, specie fra i giovani, sono laureati, e quindi… mal comune mezzo gaudio