“The times they are a – changin'”
Bob Dylan
I tempi stanno per cambiare, annunciava profeticamente e con duro ammonimento il menestrello di Duluth alla vigilia del 68.
E cambiamenti -anche di un certo peso – si annunciano in relazione alla situazione politica del nostro paese.
Non che non ve ne siano stati negli ultimi venti anni. Dall’avvento della Lega alla fine della prima repubblica, passando per l’ascesa e il tonfo dell’era Berlusconiana, non è mancato terreno fertile per non annoiarci, comunque la si pensasse.
Oggi, alla vigilia di un appuntamento elettorale che si presenta come una svolta epocale, in primo piano vi è l’exploit del movimento 5 stelle, fondato dall’ex(?) comico Beppe Grillo.
Giudicare il fenomeno Grillo è impresa non facile e per certi versi “pericolosa”. Il rischio della lettura superficiale o anche pregiudiziale è dietro l’angolo e qualcuno si potrebbe incazzare. Cerchiamo di evitare il pericolo provando, umilmente, a riflettere su un paio di questioni che mi pare si possono ricondurre al movimento 5 stelle: l’antipolitica e il rapporto con i media.
Riguardo alla prima non credo vi siano dubbi sul fatto che essa rappresenti il terreno fertile su cui questi movimenti attecchiscono con facilità e straordinaria efficacia. Dichiararsi contro la politica e soprattutto ostile verso chi oggi nel nostro paese la rappresenta è indubbiamente il modo più facile per attrarre consensi. Peraltro sarebbe ingeneroso affibbiare a Grillo il merito di aver sobillato questo sentimento. Il 5 stelle non fa che raccogliere i frutti di chi ha demonizzato la politica in questi anni (per esempio il berlusconismo) e di chi ha palesemente contribuito a distruggerne immagine e sostanza (i politici incapaci e corrotti).
Però, come ha ricordato Scalfari qualche giorno fa, durante una trasmissione televisiva, non possiamo considerare la politica e chi la fa come una cosa altra da noi. Essa è lo specchio della società e lo è ancora di più dall’avvento della seconda repubblica, quando, a gran voce, si è reclamato che la cosiddetta società civile fosse più rappresentata , cosa che, una volta avvenuta, non ha reso la politica migliore, casomai il contrario.
Sul rapporto con i media la questione è a mio avviso più complessa. Quando Grillo vieta ai suoi di partecipare ai talk show che si occupano di politica lo fa con ampia cognizione di causa. Da uomo della televisione conosce fin troppo bene potenza e limiti del mezzo. Nulla di nuovo e anche forse qualcosa di condivisibile. Come profetizzato da Mc Luhan, con il celebre motto “il medium è il messaggio”, la politica in televisione è condizionata e subordinata alle regole e ai linguaggi del mezzo televisivo che finisce per piegarla ai suoi fini, riducendola a rissa verbale o comunicazione immediata e semplicistica. Non c’è spazio e nessuna possibilità in tv per un messaggio che intenda comunicare profondità, complessità e anche direi onestà intellettuale, piuttosto che ricerca del consenso.
E qui, forse, qualche dubbio sul comportamento di Grillo mi pare lecito. In fondo il movimento non ha ambizione di comunicare particolare complessità, anzi, mi pare che proprio sulla semplicità del contenuto (tutti a casa, sono tutti uguali, abbasso la casta etc..) e su una certa veemenza verbale, si basi l’efficacia di penetrazione dei Grillini. Non sarà allora che questo rifuggir dalle platee televisive risponda ad altre esigenze? Il sospetto di un movimento che, aldilà dei proclami, pare non rispondere del tutto a sani criteri di democraticità, si alimenta da queste posizioni di ostilità alla partecipazione dei suoi aderenti a momenti di confronto pubblico. Come se il rischio di smentire il capo non debba essere corso in alcun modo. E quando accade sono insulti, anatemi, epurazioni
Certo, se questo è il cambiamento e il nuovo che avanza forse non c’è da star così tranquilli. Mi viene in mente una citazione storica, suggeritami da chi di storia ne sa ben più di me.
Alla vigilia della decisione del re di assegnare a Mussolini il governo del paese, in piena marcia su Roma, l’allora capo del governo Facta nel rispondere alle pressanti interrogazioni del parlamento, concluse il suo intervento con una frase passata – ahimè- alla storia: “nutro fiducia”.
Sappiamo come è andata a finire.
Lungi da me fare automatici parallelismi, consentitemi qualche timore e diffidenza verso soggetti che ritengono di essere infallibili, non amano essere contraddetti e fuggono dal confronto, limitandosi a pontificare da balconi più o meno virtuali.