Si, è vero. Siamo un continente in pace da circa tre generazioni. Almeno noi della parte occidentale.
Quello che non capisco, permettetemi, è se sia ragionevole considerare promotore di pace un’istituzione che raccoglie in se un insieme di paesi che per ragioni puramente di convenienza (economiche, politiche, strategiche e sociali), non ritengono più utile farsi la guerra tra loro. Di contro, l’indole degli stati europei e le posizioni di essi nei confronti della guerra, è rimasta più o meno la stessa di 80 anni fa, con la differenza che i conflitti avvengono semplicemente al di fuori dei confini del continente e non è più necessario mobilitare milioni di soldati.
Le nazioni incluse nell’UE, escludendo alcune esternazioni puramente demagogiche, partecipano alle guerre ed alcuni dei suoi membri più illustri paiono coinvolti in attività destabilizzanti in tutto il globo.
Alcuni stati dell’Unione sono tra i principali produttori ed esportatori di armi (non fucili per la caccia al cinghiale, parlo di armi d’assalto decisamente dedicate alle questioni tra gli uomini).
Il fatto che in occidente, da ormai diverse generazioni, all’interno delle nostre case si stia al sicuro e in pace col mondo, è sicuramente un vantaggio innegabile e, almeno per noi, un traguardo molto importante. Il mio dubbio riguarda una questione più morale, il che mi sembra possa essere il criterio migliore nell’assegnazione di un simile premio.
Uno stato o un istituzione sovranazionale, al pari di un individuo, credo debba ricevere un premio come questo sulla base di comportamenti che a 360 gradi dimostrano il suo impegno ed il suo contributo alla pace, a prescindere dai vantaggi o meno (economici, strategici e politici) che ne possano derivare.
Guardando il mondo con gli occhi del realista, mi pare ovvio che tutto ciò non sia possibile. Non esiste paese, istituzione politica o economica che possa pensare di non considerare il proprio tornaconto prima di prendere una posizione di qualsiasi tipo pro o contro qualcosa.
E’ proprio per questo che, riflettendo sulla questione del Nobel per la Pace, mi pare paradossale già in partenza pensare ad uno stato o ad un insieme di stati, federati in qualsivoglia modo.
I risultati a cui il processo di unificazione europea ha portato in termini di pace, valgono solo per il nostro continente e fin qui nulla di male, anzi. Non è che improvvisamente uno si sveglia la mattina e comincia ad operarsi per cancellare simultaneamente in tutto il globo qualsiasi espressione di violenza categorizzabile come atti di guerra.
Si procede, è vero, per piccoli passi. Tuttavia, se mentre ci si occupa di risolvere i conflitti in una determinata area geografica, altrove si opera in senso opposto, oltre a non agire coerentemente e in buona fede per la pace, si rischia di innescare un meccanismo che, nel corso del tempo può riportare la guerra alle porte di casa nostra. A quel punto non ci resta che andare a riprendere il Nobel nel ripostiglio, accanto alle scarpe da calcio di quando giocavamo e provare a darlo molto forte in testa al nostro nemico, trasformandolo in un’arma contundente e reiterando il solito surreale teatrino dell’ipocrisia occidentale.