Atteso al varco dopo il successo mondiale di Gomorra, Matteo Garrone ha replicato con Reality, che ha conquistato il Gran Prix al Festival di Cannes e che, per ammissione dello stesso regista, cambia completamente registro rispetto al bellissimo prodotto tratto dal libro di Saviano. Siamo sempre a Napoli, ma dal tema serio della camorra si passa a quello faceto (?) dei reality show.
Luciano Ciotola (Aniello Arena) è un pescivendolo che per arrotondare lo stipendio gestisce un traffico illegale di robot da cucina. Spinto dal microcosmo dei suoi parenti, un giorno decide di partecipare a un provino per il Grande Fratello; la prima selezione va bene e viene chiamato così a Cinecittà, dove si autoconvince che gli autori abbiano avuto buona impressione di lui e che lo prenderanno per entrare nella casa più famosa d’Italia. Appena esce dal provino, entusiasta, Luciano corre dalla moglie e dai figli e dice loro: “E’ andato tutto bene! Aggià raccontato tutto u passato mio, tutte cus’ che non avevo mai detto nemmeno a papà mio!”. È una semplice frase, un segnale, una scintilla. Da qui in poi Luciano aspetterà con ansia palpabile la chiamata del Grande Fratello, vende la pescheria per concentrarsi sulla nuova avventura, pensa di essere seguito da dei misteriosi missionari del Gf che vogliono controllare di persona il suo stile di vita, inizia a offrire in beneficenza tutti gli oggetti dell’arredamento, convinto di far bella figura di fronte a coloro che lo stanno spiando. Insomma: impazzisce.La moglie Maria (Loredana Simioli) si rivolge allo psicologo il quale sentenzia: shock da Grande Fratello. Allo spettatore non può non scappare una risata, ma nella sala buia e vuota del cinema la risata assume una tonalità tetra, meschina.
Garrone lo sa bene, il registro sarà anche faceto, ma il tema è assolutamente serio. Il registro è quello della commedia (così almeno hanno detto quelli che se ne intendono) che pur citando Fellini e Pasolini, faremmo fatica a definire “neorealista” e potremmo invece chiamare “iperrealista”. Sono iperrealisti i personaggi della Grande Famiglia di Luciano, un gruppo di persone non meglio identificate, tutte sovrappeso, ignoranti, macchiette fin troppo caricate che passano il tempo della loro esistenza o davanti alla tv, con gli occhi che brillano di beatitudine, o nei luoghi tipici di questa nostra post-modernità quali il parco acquatico, il supermercato, la discoteca. Appunto, i luoghi. Il tocco in regia di Garrone è semplicemente delizioso, e scusate se io al cinema do più peso alla regia che non alle storie – del resto se fossi appassionato alle storie leggerei Diabolik. I non-luoghi dove si svolge la gran parte delle vicende sono il contesto perfetto di un’umanità che sta smarrendo la sua identità. Un’umanità confusa che sfoggia paillettes, ostriche e champagne nei matrimoni, che come sappiamo nel sud Italia sono dei veri eventi spettacolari dove estraniarsi dalla vita reale. “Non abbandonate mai i vostri sogni!” grida Enzo, concorrente del Grande Fratello, invitato come guest star al sontuoso matrimonio che apre il film. Anche Luciano si estrania da sé per inseguire quel sogno: quando viene colpito dalla sindrome del Truman Show, aumentano i lenti e quasi angoscianti primi piani, tutte le sue energie si concentrano su se stesso, gli altri non esistono più, la moglie lo lascia e lui non fa una piega, vede un grillo in casa e pensa che sia una telecamera che lo sta spiando. Emblematico che, nel delirio di Luciano, mentre gli altri personaggi diventano tutti sfuocati, il grillo è invece messo a fuoco benissimo nei minimi dettagli (iperrealitisco, appunto), tanto che appare evidente allo spettatore che si tratta di una riproduzione digitale.
Non racconterò il finale, che anche a un occhio vispo risulta un po’ enigmatico. Dirò solo che il film si chiude come si apre: si apre con un’ampia panoramica su Napoli che lentamente va a focalizzarsi sulla scena del matrimonio, e si chiude con la telecamera che da terra torna via via verso il cielo, come se il film fosse il risultato dello sguardo di un Occhio Superiore che dal cielo ha voluto rivolgere la sua attenzione clinica alla realtà degli uomini. Un punto di vista esterno, non c’è compassione né rimprovero per quello che ha visto. C’è solo descrizione, come in un documentario. Reality non è un capolavoro, ma è un interessantissimo documentario antropologico, e qualcuno potrebbe spaventarsi.