Dalla mia ultima esperienza di “moderatore” (brutto termine, ma usa così) a Pacheggiarte, interessante serie di incontri “alla Versiliana” al Garden di Castiglioni con scrittori locali e non promossa dall’associazione “L’Acuto” e da “Diversamente”, nella quale ho presentato il libro del mitico nostro ex-Pretore Mario Federici “Politica e Giustizia”, provo a trarre alcune considerazioni proprio in merito agli eventi culturali, al ruolo dei Comuni e delle associazioni stesse. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti, giusto premetterlo, è del tutto causale.
Punto fermo del mio ragionamento è che in questo momento di grande difficoltà per le attività culturali in generale e di evidente regressione sia dal punto di vista della quantità che della qualità degli eventi stessi, fondamentale potrebbe essere l’apporto della gente, dei cittadini, di coloro che si riuniscono sotto qualche sigla e decidono di lavorare insieme. Spesso con la sola buona volontà e un’idea carina, e senza neanche troppi soldi, si possono raggiungere dei risultati davvero interessanti ottenendo anche partecipazione e seguito.
Da un lato, però, vi sono dei vizi di fondo nell’approccio. Spesso, ad esempio, la buona volontà non esiste, ma prevale il lamento fine a sè stesso e si tende ad attribuire al Comune un ruolo simile a quello di un organizzatore di eventi o promoter, cosa che in realtà non gli compete, o che perlomeno non dovrebbe essere una priorità del suo amministrare. Il ritornello “il comune non fa niente” non può quindi essere preso come lavacro generale di ogni responsabilità altrui.
Proprio dalle associazioni, quindi, potrebbe scaturire la gran parte delle idee e delle proposte che poi, con adeguati sostegni logistici e anche economici, si potrebbero tradurre in mostre, incontri, festival, concerti, eventi in grado di ravvivare i nostri centri. Le risorse umane non mancherebbero, e probabilmente neanche la preparazione e la competenza per fare qualcosa di davvero valido.
Gli errori che bloccano un po’ tutto sono però due.
Il primo lo fanno i Comuni, quando ragionano per simpatie-antipatie personali e colorazioni politiche. A volte sono gli amministratori comunali stessi a chiudere le porte in faccia a chi ha un’idea, a negare il sostegno, a fare i conti sui bacini di voti potenziali escludendo chi magari potrebbe far qualcosa di buono ma si pensa che porterebbe poco o nulla in termini di consenso. Errore grave, perchè poi alla fine tutto resta com’è, ogni anno le cose si ripetono in modo uguale ma peggiore rispetto all’anno precedente, e non si cresce e non si migliora mai. E in questo, invece, il Comune sarebbe tenuto ad avere un ruolo.
A sbagliare, però, sono spesso anche le associazioni, che creano eventi solamente per il proprio sostentamento e quindi hanno bisogno di fare cassa lasciando da parte ogni diversa velleità e ogni rischio. Ecco quindi che si vedono solo sagre, una sfilza infinita che oltretutto crea il problema della concorrenza sleale con chi campa di ristorazione, e interminabili sequele di concerti di liscio e cantate della peggior roba degli anni 60, ogni anno uguale e ogni anno più triste.
Ma è così assurdo pensare invece che, fra una pappatoria e l’altra, fra una serata danzante, un concerto di un qualche gruppo di debosciati di 50 anni fa o una sfilata con abiti dell’era mezzadrile non ci possa essere spazio per qualche idea e pratica nuova?