intervento pubblicato stamani da La Nazione
Questo delle Province potrebbe essere il tormentone dell’estate, se non fosse che è una cosa estremamente seria e come tale va trattata. C’è una legge dello Stato appena approvata che fissa tempi, soglie (superficie e abitanti) e procedure per realizzare il riordino delle Province, passando per il Consiglio delle autonomie locali, la Regione ed infine lo Stato. Un procedimento complesso, frettoloso nei tempi, almeno se si pensa a quelli previsti in Costituzione per le modiche dell’ordinamento. Ciò detto è evidente che l’unico modo serio per tentare di ridisegnare le Province toscane è avere ben presente ciò che dice la legge, pur senza rinunciare agli interessi delle diverse comunità territoriali.
Molto si discute su Arezzo e la possibilità o meno di continuare ad esistere come provincia autonoma. Arezzo ha sicuramente il requisito territoriale stabilito ma il riferimento al dato del censimento (che non è il dato dell’anagrafe dei Comuni) ci frega seppure per pochi abitanti. Certo è che il dato della nostra Provincia è un caso unico in Italia. E credo che meriti tutta l’attenzione da parte di chi parteciperà alla procedura di riordino.
Sappiamo che la legge, così com’è oggi, crea gravi limiti alle scelte che sembrerebbero più logiche per i territori, non solo per il nostro. Basti citare il caso dell’area metropolitana che la legge restringe all’attuale Provincia di Firenze costringendo ad immaginare una Provincia della Toscana del nord da Prato a Massa Carrara, da nessuno ritenuta né logica, né realistica. Penso allora che chi è chiamato a definire le proposte debba provare ad andare oltre le contraddizioni e i limiti troppo rigidi imposti dalla legge attuale, magari chiedendone la modifica per consentire di unire Prato e Pistoia all’area metropolitana o per renderle autonome da sole e ad Arezzo di veder riconosciute le aspettative di autonomia basate non sul campanilismo o lo spirito di conservazione ma per la collocazione, la vastità del territorio e gli abitanti che, nei fatti, sono sopra i 350.000.
Credo anche sia sbagliato dividersi tra il partito dell’autonomia (realista per usare il termine di Salvatore Mannino) e quello degli “ottimisti” (Arezzo leader dì area vasta), ne si può pensare come qualcuno (peccando quanto meno di stile) sta facendo che la soluzione del problema sia quello dell’andare a fare “campagna acquisti” tra i Comuni facendo intravedere chissà quali chimere. Messa così mi sembra più la ricerca di portatori d’acqua, altrimenti non capisco perché invece dei Comuni del Valdarno non cerchino Prato. Sono convinto che l’impegno unitario di tutte le componenti (istituzionali, politiche, economiche e sociali) potrebbe aprire qualche breccia e comunque non farebbe altro che rafforzare il ruolo di Arezzo come capoluogo, previsto dalla legge.
Tutto questo senza dimenticare che a novembre la consulta sarà chiamata a stabilire se la cosiddetta norma “svuota Province” che sta all’origine di tutto violi la Carta costituzionale. Se così fosse sì riaprirebbero i termini per una riflessione che, in maniera meno affrettata, andrebbe rivolta non solo alle Province ma all’intera architettura dello Stato. Magari arrivando, per quel che ci riguarda, ad immaginare una grande Regione (come la Lombardia) dell’Italia centrale, che comprenda Toscana, Umbria e Marche capace di ridare a questo vasto e ricco territorio dell’ “Italia di mezzo” il peso che merita nello scenario nazionale. Non sarebbero poche le cose in comune, compresa una strada (la ‘Due mari’) che ha bisogno di essere completata al più presto.