Il caricare di significati politici e sociali gli eventi sportivi è un’abitudine che mi infastidisce. Anche se spesso ne finisco vittima anche io. Sono stato il primo a subire il fascino di queste sirene, il primo a commuovermi al gol di Sparwasser con cui la piccola Germania Est sconfisse l’Ovest ai mondiali di calcio del ’74, il primo a piangere delle botte nella vasca della pallanuoto olimpica del 1956 fra Urss e Ungheria, il primo a esaltarmi per le innumerevoli parabole dei Davide che sconfiggono Golia che via via, negli anni, hanno fatto capolino nella varie discipline. Mi gasai perfino quando il nostro Lupetti, mediocre giocatore di biliardo, vinse un torneo nel 1998 battendo in finale, a colpi di culo e tenuta psichica, un tizio nettamente più bravo di lui. Ma ieri sera, lo ammetto, io ho tifato Germania.
L’ho tifata prima di tutto perchè giocava meglio a calcio, e questo penso sia un elemento da non dimenticare. In fondo è giusto che vinca chi se lo merita, e la Germania è una grande squadra. La Grecia, invece, è una squadretta. Debole, senza fantasia, noiosa e vecchia.
Ma ho tifato Germania anche perchè (e qui ammetto di aver subito la moda del politicizzare lo sport anche io) perchè fra un paese che si ritrova alla frutta e uno che invece ha un’economia solida, tendo a dare più meriti al primo. Per carità, sono il primo a pensare che ci sia veramente un ordine europeo che strangola i paesi più poveri e che la Merkel non abbiano alcuna pietà di fronte alle sofferenze del popolo greco; ma se la storia ha fatto questo corso non credo si possa dare tutta la colpa alle forze del male.
Di natura tendo a preferire chi ce l’ha fatta da solo. Anche se condanno la violenza, la coercizione, e rispetto il popolo greco, col quale spero di non dover condividere in quanto italiano, entro qualche settimana, dolori e preoccupazioni.
E in definitiva, come cantava la coppia Baldi-Alotta “Il mondo non si cambia” (cit. Michele Lupetti), the dream is over (cit. John Lennon), e non si cambia certo con una partita di calcio, giocata contro una squadra fortissima non sapendo granchè giocare a calcio (cit. mia)