C’è chi dice che i numeri siano aridi come la sabbia del deserto ma qualche volta le cifre parlano e dicono molte più cose di un romanzo. Prendiamo per esempio il quadro che viene fuori dal rapporto dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della provincia di Arezzo: il tasso di disoccupazione passa dal 5,9% al 6,2% con oltre 1.200 i nuovi iscritti nelle liste di mobilità nei primi 5 mesi del 2012. Diminuiscono gli occupati: 147mila, ben 2.500 in meno rispetto all’anno precedente, il tasso di occupazione scende al 64,3% (65,3% nel 2010).
Frattanto sono usciti i dati del rapporto IRPET-UNIONCAMERE: la Toscana in 4 anni ha perso 22 mila posti di lavoro e nell’anno in corso la domanda di lavoro potrebbe ridursi di ulteriori ventimila unità. Nel 2012 il PIL regionale potrebbe subire una caduta intorno all’ 1,7%, oggi un giovane su quattro (il 25%) è disoccupato.
I numeri sono come le parole di Levi, sono pietre che rischiano di ricaderci in testa e farci davvero male.
Il Presidente della Regione, comprensibilmente preoccupato, in un suo recente intervento ha tentato di dare una svolta, in sintesi il Rossi-Pensiero si può riassumere così:
- La Toscana dei distretti e delle piccole e medie imprese « ci ha fatto sognare», ma non funziona più. E’ necessario concentrare le risorse su 500 grandi aziende che possono trainare le piccole, insomma 500 imprese «locomotiva». Aziende da oltre 13 milioni di fatturato l’anno e più di 50 dipendenti che, nonostante la crisi, hanno successo, che sono abbastanza forti da investire in innovazione e da piazzarsi sui mercati internazionali
- Stop alla « stucchevole immagine della Toscana da cartolina, quella del cipresso e la collina», quindi è necessario «guardare oltre» e rinunciare a quell ‘ «autocompiacimento» del benessere che ha dominato gli ultimi 20 anni.
- Basta con la politica che cavalca la sindrome NIMBY comprensibile nel singolo cittadino ma che è grave venga cavalcata dai partiti. E questo riguarda soprattutto i vari NO alle infrastrutture, l’ammodernamento delle quali è il terzo comandamento per la ripresa: «Non ci sono alternative, localismi e particolarismi vanno sconfitti, dobbiamo colmare un ritardo di 30 anni».
Pensiero forte verrebbe da dire, talmente forte che mi aspetto, viste le molte reazioni che susciterà, alcune correzioni e qualche smentita, ma non è questo il punto.
Quello che credo interessi è come tutte queste cose troveranno, per così dire, diritto di cittadinanza nella nostra provincia e qui cominciamo i dolori. Il motivo è facile da spiegare al di là di qualche apprezzabile tentativo oggi manca una visone d’insieme dello sviluppo della realtà aretina, non credo che sia tutto frutto di incapacità, la verità è che non siamo più in grado di disegnare il futuro per paura di scomodare qualcuno. Esempi concreti non mancano nemmeno da noi in terra di Chiana. A fronte dei proclami di qualche imprenditore che promette decine per non dire centinaia di posti di lavoro, le istituzioni si sono mai prese la briga di andare a verificare se quelle parole corrispondevano a un progetto oppure erano come la pubblicità del detersivo? Ci siamo mai posti il tema di cosa vuol dire, settore per settore, restituire competitività alle nostre imprese quando in Toscana abbiamo un costo del lavoro, per unità di prodotto, che è cresciuto più della media italiana, e una produttività del lavoro che si mantiene più bassa rispetto ad altre regioni italiane? Non ce lo siamo mai posto perché vorrebbe dire affrontare la questione del credito che sta strozzando come una garrota le nostre piccole imprese ed impedisce l’innovazione. Ci siamo mai domandati perché da noi un giovane trova difficoltà enormi a reperire i capitali per far partire un’impresa? Tutte domande che esigono delle risposte ma qualche volta è meglio rifugiarsi dietro la crisi globale (che nessuno nega) rispetto a rimboccarci le maniche e cominciare a mettere in campo qualche buona idea. Argomenti tecnici? Può darsi, ma alla fine se non si danno risposte il prossimo anno quei numeri diventeranno ancora peggio.