Esempio 1:
-“Pronto? Vigili del Fuoco? C’è un incendio sull’argine del Tevere. Indirizzo via Foiano della Chiana”
-“Cosa? Fogliano?”
-“No, Foiano, IA, IA, non è un’inflessione dialettale, c’è proprio il dittongo”
-“Ah, va bene: Foiano della Piana”
-“Ma no! Chiana, Chiana, CH, come la regione toscana, quelle delle mucche!”
Esempio 2:
“Pronto? Il 118? Potete mandare un’ambulanza: c’è un tossico mezzo morto qua sotto, lo vedo dalla finestra. Via Foiano della Chiana”
“Ah, ma siete sempre voi, di Fogliano della Chiana! Ma è sicura che stia proprio male? Vedrà che ora si rialza”.
Ecco il mio destino, il mio karma: quello di vivere in uno dei quartieri più brutti di Roma, alla deriva del XV Municipio, con la beffa di nomi ispirati a verdi comuni di un altro pianeta. Se nella Trequanda, via a senso unico per chi proviene dalla “Roma-Fiumicino”, si rischia sistematicamente il frontale con i furgoni dei nomadi che sfrecciano contromano, l’assegnazione del titolo di “via” a Magliano in Toscana appare a dir poco presuntuoso: un vicolo zeppo di spazzatura e siringhe, con un ballatoio che digrada sulla strada. Mentre via Pescaglia, tutta buche e fango, è il paradiso dei cacciatori: i ratti più grossi sono bersaglio dei cecchini che li freddano dalle finestre.
Così è. Mentre rimpiango parchi-gioco dell’aretino, con scivoli intatti e scevri da scritte evergreen quali “Forza Maggica” e “Principessa tivvubbì”, con frequentatori avvezzi alla condivisione del bene comune, qui schivo sassaiole di adolescenti perdigiorno, in alcuni pasoliniani casi già con prole rispondente a nomi come “Brian”, o “Sharon”, pronunciati “Braia” e Sciaro”.
Che devo fa’? Mollo tutto e mi trasferisco nei toponimi originali?