Premesso un grande rispetto per qualunque opinione espressa (a questo servono i commenti, a esprimere opinioni che tali sono), francamente considero il dibattito su quanto sia vecchio Bob Dylan, un pò fuori luogo. In questo senso mi appare fuorviante anche la tesi di Lupetti per cui un futuro festival che vedesse la presenza di un Dylan, piuttosto che di un giovane artista emergente, caratterizzerebbe quel festival come un evento dal sapore antico, non sufficientemente innervato da verve giovanile. Non può sfuggirci che la musica rock, in quanto forma d’arte effimera, legata anche a mode e tendenze che mutano nel tempo e con una relazione non facilmente slegabile dalla dimensione commerciale, si presta, più d’altre evidentemente, a classificazioni e giudizi temporali. Nessuno si sognerebbe di fare analoghe considerazioni su altre forme quali musica classica, poesia, letteratura etc…
Nel rock ( o nel pop) a un certo punto diventi vecchio, sei superato, il tuo stile non è più adeguato ai tempi, altri artisti che propongono altri generi prendono il tuo posto nei gusti dei consumatori e degli appassionati. È un fatto normale per questa forma artistica, che ha anche consentito, nel poco tempo in cui si è espressa, la nascita e lo sviluppo di forme evolutive variegate, che non di rado erano espressioni di mode tendenze e stili di vita – a volte anticipandole.
Un bel libro uscito negli anni sessanta intitolato “il rock – star system e società dei consumi”, sforzandosi di capire meglio le ragioni del successo di questa forma musicale, fra le varie considerazioni inserisce anche quella del suo legame intrinseco con la cultura del consumo che ha influenzato profondamente e in maniera irreversibile la produzione industriale e lo sviluppo economico nel secolo scorso (fino ad oggi ovviamente).
Ai beni durevoli sono succeduti, in tutti i campi, prodotti effimeri, che avevano come scopo proprio quello di non durare in eterno, affinchè si rendesse possibile la necessità di nuovi acquisti per la massa dei consumatori.
Ora, come in tutte le teorie anche questa ha la sua eccezione. E pensando al rock e al Pop (Lupetti da grande conoscitore e appassionato ce lo può insegnare) le eccezioni sono ben più d’una.
Una di sicuro è costituita dal genio (che definirei atemporale) di Bob Dylan. Se riusciamo a giudicare la sua opera fuori dalle semplicistiche e fuorvianti caratterizzazioni che gli sono state attribuite (cito la più celebre “il cantante di protesta”.. sic..) non possiamo non vedere come una parte della sua grandezza artistica sia rappresentata anche dalla sua mutevolezza (ben descritta peraltro nel film “io non sono qui” sorta di biografia uscita alcuni anni fa per la regia di Todd Haynes), da come ha attraversato stili e momenti della storia del rock, lascando sempre la sua indelebile impronta. Ha saputo costruire uno stile in sintonia con i sentimenti di un epoca, diventando quasi il cantore di una generazione, senza rimanere imprigionato in quella dimensione quando si è spostato in altri versanti, attratto da una sirena alla quale era impossibile sottrarsi, l’avvento del British rock, cui si è ispirato per riportare – e alla grande – il rock negli States 10 anni dopo Elvis.
Ed anche quando non si è inventato nulla di nuovo, mettendo il suo straordinario talento a disposizione di importanti collaborazioni (Daniel Lanois), ha realizzato capolavori fuori dal tempo (a mio modesto avviso Oh Mercy è uno dei più bei dischi degli anni a cavallo fra ottanta e novanta).
Dylan non è artista classificabile da un punto di vista temporale anche per le sue scelte artistiche e commerciali. Non ha seguito le mode bensì ha innescato le tendenze, non si è adeguato a esigenze commerciali, sottraendosi dalle regole dello show business. Il suo perenne mettersi in discussione, spiazzando le attese dei fans o dei critici è anch’esso un segno di atemporalità. E che dire delle performance live? Provate a riconoscere le sue canzoni durante i concerti se vi riesce, il gioco è sempre quello di ricostruirle, come volerle rinnovare.
È probabile che in tutto questo parlare di Dylan ci sia ben poco di utile, anche perché come giustamente e opportunamente considera Lupetti nel suo articolo probabilmente Dylan a Cortona non ci verrà. Però sarebbe molto bello se venisse. E ancor più bello sarebbe che tale evento fungesse da stimolo per tanti giovani per provare a conoscere meglio questo artista. Qualche anno fa mi è capitato di ascoltare una locale rock band giovanile impegnata nel classico Dylaniano knockin’ on heaven’s doors. Solo che era la versione dei Gun’s Roses quella che suonavano. E ho sempre avuto il terribile sospetto che purtroppo conoscessero solo quella.