Bettolle. 59,01% Marignani, 40,99% Michelotti, 629 contro 437 voti. La differenza avrebbero dovuto farla gli studenti universitari fuorisede, reclutati, dicono, dal 28enne avvocato poggibonsese ex An, sfidante di area Meloni- Gasparri della Forza Italia del coordinatore uscente, Claudio Marignani, 40 enne della continuità, oltre che uomo di Verdini, Parisi, Matteoli. I giovani del rinnovamento contro i reggenti.
Nell’aria, “Gente di libertà”, il nuovo inno del Pdl, nato a pochi chilometri di distanza ( a Sarteano, musicato da Danilo Mariani, l’ animatore delle serate dell’ex premier che ha scritto di pugno le parole), e che vorrebbe rilanciare quell’entusiasmo nazionale testato sabato dagli iscritti senesi in un voto che da mesi faceva notizia per l’asprezza, le trovate i temi, e diremmo, le intenzioni della lotta. Chilometri anche di carta di giornale, interviste e note ufficiali per una rottura interna, almeno qui in zona, senza precedenti. Chilometri improvvisi tra Roma e Poggibonsi. E i chilometri, 90, tra Siena e il casello sull’A1, che non fanno del coordinatore eletto “un leader”. Questa in particolare è l’ultima coda della polemica sollevata dallo stesso Michelotti durante i giorni delle nevicate di febbraio (per le quali si rinviò l’appuntamento con il rinnovo dei vertici senesi), che valse a Bettolle il titolo di “ombelico del mondo” e paese dove “splende sempre il sole” su Twitter, e alla dirigenza uscente l’accusa di voler scoraggiare, con un decentramento strategico, chi dall’alta provincia e dalla città avrebbe dovuto recarsi a votare il suo nuovo coordinatore, Michelotti appunto. I presenti alla sala congressi dell’Apogeo, che ad onor di cronaca è sempre stato il quartier generale delle grandi occasioni per FI e poi per la compagine del centrodestra, dicono che l’avvocato ha strappato applausi ed entusiasmo. Lo stesso ha fatto Marignani, al cui fianco siederà ora Donatella Santinelli, già candidata alla presidenza della provincia andata poi a Bezzini e Pier Paolo Giglioni, coordinatore del partito a Chianciano Terme. Su di loro sono confluiti i voti promessi da molti coordinamenti locali, tra i quali quelli in Valdichiana, anche se con variegate eccezioni. Gli sfidanti ora parlano di un confronto che farà crescere il partito e il suo tessuto. Lotte intestine a parte e dietrologie remote, un merito questo congresso l’ha avuto: intanto è stato un saggio, in chiave locale, della presenza e della forza, in potenza o in atto, delle correnti che ora agitano il Pdl, al cui leader, il delfino Alfano, è richiesto quel minimo carisma per stringere i lacciuoli su quelle spinte centrifughe e centripete che fino ad oggi solo l’Architetto aveva saputo prima tessere e poi stendere. Ma soprattutto, e questa è la vera portata di quelle 13 ore di spoglio e di quei mesi di campagna e polemiche, si è toccata con mano anche nel centrodestra quella specie di voglia di “primarie”, confronto, dissenso, parola, faccine nuove. Di politica insomma, quella che si candida anche se la parte forte della dirigenza ha già le sue strategie. Roba che fa bene, specie quando l’identità dei partiti si modella sulle velleità del suo fondatore, il promotore di turno di correntoni pseudo-storici, o sulle fisse di qualche Siddharta che hanno studiato da leader, oppure sul solo mero contrasto con i rivali. Chiaro, vale per tutti. Dicono che la democrazia ha “delegato”, in attesa di tempi migliori e che quindi è meglio stare fermi come i paguri, mentre si pondera la conchiglia giusta per le prossime elezioni. No, rimettiamo mano alla politica, quella romantica, che sa perdere e vede tutto in modo costruttivo. Anche se poi vince lo zoccolo duro, anche se poi si litiga sui chilometri, o si deve scrivere qualche nuovo inno.