La storia del laboratorio di alta qualità di Oriana Materazzi e Simone Sorchi, che dal Vallone esporta ricami finissimi nelle capitali mondiali dell’alta moda – Firenze Milano Parigi -, è emblematica dell’inventiva imprenditoriale delle generazioni nate nelle campagne toscane nel dopoguerra. Come raccontata da Simone, giovane settantasettenne, di cui fui compagno di scuola del fratello Patrizio, e testimone delle sue allegre ragazzate giocose, su carretti di legno mossi da cuscinetti di ferro, alla Bicheca di Camucia. Presto, quel simpatico occhialuto si avviò al mestiere di elettricista, dimostrando attitudine, ma con poche soddisfazioni economiche: la gente non pagava il lavoro fatto! Meglio affiancare il lavoro della compagna della vita, Oriana, nell’impresa familiare del ricamo. Che nasceva come fornitura di lavori a terzisti del settore, partendo con la prima macchina da ricami. Simone deluso dal lavoro dai fili di rame, da elettricista, decise di dedicarsi ai fili da ricamo di Oriana, percorrendo ogni anno centinaia di migliaia di kilometri con i campionari per venderli in giro per l’Italia. Impegno faticoso, ma remunerativo. E la qualità dei manufatti, alla fine, venne apprezzata ai livelli della moda sempre più alti.
Emissari dello stilista Roberto Cavalli offrirono la grande occasione del salto produttivo: ricamare jeans con la firma dello stilista. In grandi quantità. Fu necessario acquistare la prima macchina a laser, un investimento di circa 500milioni di lire, che valse la pena. Di lì a non molto, di quelle macchine ne acquistarono tre. Prodotte dalla ditta Giapponese Itajma, viste alla Fiera di Milano, che, da allora, è divenuta la fornitrice esclusiva. Per potenza e precisione di quelle macchine a comandi elettronici, che consentivano di ridurre drasticamente i tempi di produzione a pochi giorni, invece dei 2 o 3 mesi necessari con le vecchie macchine per lavorare lo stesso quantitativo di prodotto. Mezzi provvidenziali, visto l’andamento del mercato, in cui, lavorando il doppio di prima si guadagnava la metà. Mezzi duttili, che consentono di ricamare ogni tipo di tessuto: cotone, lane, seta, finanche la pelle. E in grado di applicare sugli abiti oggetti della dimensione di uno strass. In proposito, Simone racconta un episodio significativo sugli acquirenti finali del lusso.
Una principessa indiana, in procinto di sposarsi, aveva ordinato a Parigi un abito prezioso del valore di 100mila euro. Però era insoddisfatta, perché poco brillante! Interpellata Arte e Ricamo, su quell’abito vi furono applicati l’equivalente valore di 30mila euro di strass! Il lavoro era fatto e bene, col timore di Simone che quel prezioso lavoro venisse, per qualche motivo, perso o guastato. A Simone fu anche descritto il principesco matrimonio. Durato 4 giorni con centinaia di invitati. E che, ogni notte, alla Rolls Royce decappottabile degli sposini veniva completamente cambiata la tappezzeria!
Promuovere la ditta Arte e Ricami, da oltre venti anni, non chiede più a Simone di solcare su e giù l’Italia coi campionari, ma sono gli stessi clienti a cercarlo. Al punto che, oggi, Simone interrogato sugli stilisti con cui ha lavorato o sta collaborando, sciorinati nomi famosi: Cavalli, Scervino, Dolce & Gabbana, Gucci,… si ferma, e dice compiaciuto: faccio prima a dirti con chi non ho mai avuto cliente: Armani. Tutti gli altri son venuti. Compresa la francese Chanel, tramite un laboratorio aretino.
La svolta, nella vita di Simone, avvenne nel settembre 1978, dedicandosi completamente allo sviluppo di Arte e Ricamo. Non senza difficoltà nel trovare una sede idonea per il laboratorio, in continua espansione. Da via XXV Aprile a Camucia, in pratica, furono cacciati per le proteste d’un vicino disturbato nel sonnellino pomeridiano. Le macchine lavoravano di giorno, non di notte, ma essendo quella un’area residenziale non artigianale, perciò l’ebbe vinta il residente insonne. Da lì, il laboratorio si trasferì a Tavarnelle. Il locale, ex ditta Gnerucci, era adatto, ma, venduto all’asta, fu un altro acquirente ad aggiudicarselo. Venne il momento di insediarsi dov’è attualmente, nel PIP del Vallone, nell’area concessa dal Comune per 99 anni rinnovabili. Intanto la famiglia cresceva, e la figlia Pamela, aprendo la ditta Studio Grafico, prosegue sulla falsariga dell’impresa dei genitori dedicandosi alla stampa e serigrafia dei tessuti. In nuovi locali a Camucia, vicino a via di Biricocco. Dove s’è insediato pure il cognato di Simone, produttore di ricami per tute, cappellini, gabbanelle,… Simone desidererebbe vicino il suo laboratorio con quello della figlia Pamela. Ma non sono questi i tempi di pensare troppo in grande. Se pure la sua attività proceda bene, occupando una trentina di lavoratori. In una fabbrica d’alta specialità. Con personale dedicato ad attività di studio e ricerca modellistica, nel laboratorio di produzione e controllo di qualità sui lavori finiti. Ambienti tenuti con cura. Senza organizzazione non sarebbe possibile il successo imprenditoriale.
Ma la storia imprenditoriale di Simone, dal 2014, ha aggiunto un nuovo filone, in collaborazione con altri familiari: produce anche vino ottimo. Nel podere ereditato dalla moglie Oriana, alla Rota di Farneta, dal babbo Italo. Persona che ricordo bene, e di cui, oggi, capisco la presenza assidua alle assemblee in cui, da sindaco, negli anni Ottanta, illustravo a Farneta i bilanci comunali o altre iniziative. Italo, in ogni occasione, poneva la stessa domanda: cosa facesse il Comune per sviluppare l’artigianato? Era chiaro non parlava per sé, agricoltore, ma per la figlia. Come Comune – pur in ritardo sui tempi – stavamo allestendo il primo Piano di Insediamenti Industriali al Vallone. (Ma di questo avremo altre occasioni di parlarne). Mentre, prima, Simone dalla vigna ereditata da Italo produceva vino per usi familiari o per amici, nel 2013, su consiglio dell’enologo Lorenzo della fattoria La Braccesca, affinò la produzione. Cosicché, dal 2014, nella cantina “Canaio” sono prodotti vini apprezzati, destinati a mercati sempre più vasti. Italiani ed esteri. Vini rossi e rosé, da monovitigni Syrah e Merlot: il Terrasolla, il Chiorre, Le Petit rosé, il Calice. Oltre la grappa Zita, e l’olio extravergine, Olì-Olà. Nel contesto affascinante del paesaggio rurale toscano, è stato completamente ricostruito il casale su preesistente diruto del ‘600. Con cantina annessa, e altri vigneti di nuovo impianto. Azienda agricola curata dal genero di Simone e Oriana, Mirco Zappini. Che prima del coronavirus stava prendendo campo, ampliando ogni anno la clientela, dall’Europa agli USA, promuovendo il prodotto, favorendo visite e assaggi in azienda. L’organizzazione, ben avviata e di qualità della cantina “Canaio”, sta per allargare le sue cure anche a favore d’un altro viticoltore, Silvio Passerini, in quel di Pergo.
A documentare fotograficamente l’attività della fabbrica Arte e Ricamo, s’è prestato Patrizio, fotoamatore, fratello di Simone, che è riuscito a mettere in posa di gruppo tutto lo stabilimento! A tutti, facciamo i complimenti per l’eccellenza produttiva costruita nel nostro territorio.