Oggi ricorre il centoventesimo anniversario dell’assassinio del Re d’Italia Umberto I di Savoia, compiuto dall’anarchico Gaetano Bresci nella Villa Reale di Monza attorno alle 22.00 di domenica 29 luglio 1900.
Nato a Prato nel 1869, Bresci era appena tornato dagli Stati Uniti, dove era emigrato come tanti suoi concittadini in quello scorcio di XIX secolo. Così dichiarò alle forze dell’ordine, una volta arrestato:
Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio. Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere.
Insomma, Bresci si inserì da un lato nella strategia anarchica della propaganda del fatto (cercatela su Wikipedia e vedrete quanti attentati, riusciti o meno, fecero gli anarchici dell’Ottocento a re, presidenti e imperatori), dall’altro volle vendicare episodi drammatici della storia recente tra cui, in particolare, la durissima repressione della rivolta del pane di Milano del maggio 1898. Ai manifestanti, che lamentavano l’aumento del prezzo del pane e le condizioni di lavoro degradate, il re aveva risposto inviando il generale Bava Beccaris, il quale non si era fatto problemi a far sparare sulla folla, causando tra le 80 e le 300 vittime (come vedete, i conti delle Questure non quadravano neanche allora). Umberto non solo inviò al “feroce monarchico Bava” (come veniva descritto da una canzone popolare di quegli anni) un telegramma di complimenti, ma gli concesse persino la Croce di Grand’Ufficiale e lo nominò senatore.
Nel 1900, undici anni dopo la riforma del Codice Penale, la pena di morte non esisteva più nell’ordinamento italiano (fu reintrodotta da Mussolini e poi nuovamente abolita con il ritorno della Repubblica), cosicché Bresci fu rinchiuso, dopo alcune sistemazioni provvisorie, nel penitenziario di Santo Stefano (Ventotene). Il 22 maggio 1901, a neanche sei mesi dall’arrivo, il corpo di Bresci fu trovato impiccato con un lenzuolo all’inferriata della cella. Come è noto, ogni caso di suicidio è potenzialmente un omicidio, per cui sin dall’inizio si diffusero voci secondo le quali Bresci era stato picchiato dalle guardie e assassinato, inscenando il suicidio per non avere problemi.
A schierarsi dalla parte di questa ipotesi, fu anche un personaggio che, per le grandi capovolte della Storia, avrebbe condiviso qualcosa sia con Bresci sia con Umberto I: Sandro Pertini, prigioniero a Santo Stefano dal 1929 al 1930 e capo di stato italiano dal 1978 al 1985.
E a Cortona?
L’Etruria racconta la vicenda e le reazioni nel numero del 5 agosto 1900, dove leggiamo:
A Cortona la ferale notizia si ebbe alle prime ore del mattino di lunedì [30 luglio], ma non vi si prestò fede se non quando all’albo del Comune Comune, fu pubblicato il doloroso telegramma del Prefetto confermante l’orribile assassinio. Il Municipio, gli uffici governativi, le associazioni e molte case private esposero subito bandiere abbrunate. I negozi, che si erano da poco aperti, vennero tutti chiusi, e sulle porte furono attaccati cartelli colla scritta: Chiuso per lutto nazionale. La Giunta comunale, adunatasi d’urgenza deliberò l’invio del telegramma che più sotto riportiamo e dette ordinanza per altre espressioni di cordoglio. A mezzogiorno le campane del Municipio e della Misericordia principiarono i lenti e commoventi rintocchi, e poi, per ordine di S. E. il vescovo, suonarono a morto le campane di tutte le chiese, continuando per tre giorni in tre periodi di tempo e cioè alle 8 a mezzogiorno e all’Ave Maria. Cortona ha partecipato degnamente all’unanime lutto, e saprà, lo speriamo, al più presto provvedere a’ [sic] un doveroso ufficio funebre per suffragare l’anima dell’amato Sovrano. Per debito di cronaca rileviamo che non era esposta alcuna bandiera al palazzo dell’on. Diligenti mandato alla Camera dai monarchici, mentre gli stessi Partiti popolari non hanno mancato di associarsi al cordoglio nazionale.
Vi riporto anche il telegramma della Giunta Comunale, inviato al Prefetto, al Ministro dell’interno e al nuovo Re Vittorio Emanuele III:
La Giunta municipale di Cortona, adunata d’urgenza, a nome del Consiglio comunale di Cortona e dell’intero Comune, esprimendo i sensi della più profonda indignazione contro l’infame assassinio, che ha tolto la vita all’amato Sovrano, fa voti pronta ed implacabile giustizia contro autori ed istigatori ed acclama dinastia Savoia e Vittorio Emanuele Re Per la Giunta — Il ff. di Sindaco Conte Baldelli Boni.
Sul numero successivo si dà notizia di una proposta dell’avvocato Carlo Carloni, esposta in un aggressivo manifesto appeso il 6 agosto nelle strade della cittadina (all’epoca non c’erano i post di Facebook o le dirette Instagram):
CORTONESI! La nostra città, ricca di memorie e di ricordi, non può rimanere inerte di fronte alla perdita del RE UMBERTO I DI SAVOIA, subita per mano di un infame assassino e di quanti con lui direttamente o indirettamente cooperarono al delitto che ha immerso nel lutto la nostra Italia, e l’addita all’estero come covo di gente, che, calpestando i doveri di cittadino, disprezzando qualunque principio di autorità e ponendo in non cale la fede, la famiglia e la patria, merita di essere eliminata dal consorzio umano. Il grido di dolore e di indignazione trova eco dall’Alpi all’Etna e si ripercuote in tutto il mondo civile, perchè a tutti erano note le preclare virtù del NOSTRO UMBERTO, esempio più unico che raro di Sovrano geloso custode della libertà ed unità della patria conquistate dal padre suo, il RE GALANTUOMO. […] Per mantener ancor più viva la memoria di sì magnanimo Re, per dimostrare al suo degno Figlio e Successore quella devozione, che chiunque si sente Italiano professa verso l’Augusta Casa di Savoia, e per protestare solennemente di fronte all’azione settaria, che col delitto mina le basi incrollabili delle nostre libere Istituzioni, propongo che nel Palazzo Comunale venga collocato un ricordo marmoreo, come quello, già esistente, per Vittorio Emanuele II Padre della Patria. Conoscendo il vostro patriottismo sono convinto che mercè le oblazioni dei privati, ed il concorso degli Istituti locali e del Municipio, che non potrà mancare, la mia proposta diventerà quanto prima un fatto compiuto.
L’inaugurazione del busto marmoreo, scolpito da Vincenzo Rosignoli (Assisi, 1856 – Firenze, 1920), avvenne il 10 novembre 1901, alla presenza del Conte Morra di Lavriano (padre di Umberto, noto antifascista). Sulla lapide fu scritto:
A UMBERTO I RE D’ITALIA
ED A PERPETUA INFAMIA DEI TRISTI
DA CUI FU ARMATA LA MANO CHE LO SPENSE
LA SOCIETÀ MONARCHICA E IL POPOLO CORTONESE
UNANIMI NELL’OMAGGIO E NELLA ESECRAZIONE
Sul “da cui”, L’Etruria del 17 novembre 1901 racconta che nacque un battibecco, in quanto alcuni ritennero che in dipendenza da un nome plurale (“i tristi”) sarebbe stato opportuno mettere “dai quali”, ma l’ignoto autore – forse lo stesso Carloni – dimostrò che persino Niccolò Tommaseo si era servito di una simile costruzione.
Sgrammaticata o meno, ideologicamente accettabile o meno, la lapide per Umberto è ad oggi completamente bianca. Come diceva un mio professore, i monumenti civili vanno nei musei quando non hanno più nulla da dire. Qui la situazione è simile: la lapide si è sbiancata perché non ci sono più società monarchiche o affezionati seguaci di casa Savoia (perlomeno in numero sufficiente). Ma forse restaurarla, anche per raccontare chi era Umberto e cosa aveva fatto, e chi era Gaetano Bresci e perché lo aveva ucciso, non sarebbe inopportuno. Altrimenti che cosa ci stanno a fare quei baffoni spioventi in una piazza che di monarchico non ha più nemmeno il nome?