di Fabio Comanducci
Nel 1998 furono pubblicati una serie di libri a cura della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio aventi come oggetto alcune città italiane, ove la banca aveva proprie filiali. una di queste era Cortona. Il libro si intitola “Cortona e la Valdichiana- Diari di Viaggio 1860 -1924” e, come ho già detto, è inserito in una collana denominata “Le città ritrovate”, edizione fuori commercio.
I racconti di viaggio riportati nel libro non sono stati scritti per ammaliare i turisti, ma sono pure riflessioni di viaggiatori non comuni, inglesi per lo più, ma anche francesi ed americani, che espongono con schiettezza, talvolta con poesia, la loro esperienza vissuta a Cortona, racconti che si estendono in un arco temporale che va dal 1860 al 1924. Molti sono gli insegnamenti e le intuizioni che la lettura di questi racconti possono suscitare in ognuno di noi: si va dal perché Cortona sia così apprezzata in Italia e all’estero, a scoprire come erano visti gli abitanti di Cortona allora, alle condizioni di vita e spunti per rivedere la città odierna, ma soprattutto futura.
In questo mio breve ragionamento, mi soffermerò su come sono descritti i cittadini di Cortona e quale carattere traspare dal loro relazionarsi con degli “Stranieri”.
Innanzitutto è opportuno precisare che in quel periodo ( 1869-1920) pochi erano i viaggiatori e il turismo di massa a cui oggi siamo abituati doveva ancora nascere. Infatti “ Fino ad ora, comunque, Cortona ha avuto pochi visitatori per la difficile accessibilità e per la carenza di attrezzature alberghiere; ma ora che è raggiungibile con il treno, consiglio vivamente a tutti coloro che hanno del tempo a disposizione di fermarsi” (Charles Richard Weld scrittore – scritto nel 1867).
Ma se il turismo non c’era, di cosa vivevano i cortonesi e soprattutto come era la città?
“… nel vedere Cortona durante una festa … le chiese erano impraticabili per l’affollamento, sebbene, sotto questo profilo, lo fossero altrettanto i caffè dove non mi riuscì di trovare né uno sgabello né un posto libero al tavolo …. Quella gente di campagna, austera e scura, senza costumi dai toni accesi, ma solo con alcune piccole variazioni offerte da modesti abiti sul giallo e sullo scarlatto, creava una massa multicolore nella luce intensa percorsa dal vento” (Henry James romanziere americano – scritto nel 1873). e ancora “ Non vedemmo un sol luogo deserto o indifferente; la gente chiacchierava in maniera animata e trafficava nelle strade, i negozi dove entrammo erano pieni di clienti… la mattina dopo scoprimmo un vivace mercato nel centro della piazza, in collina. Il palazzo Comunale si affaccia su questa piazza animatamente colorata, sotto la loggia, dalle arance che alcune donne spargevano nei loro cesti e dai fazzoletti scarlatti, che ondeggiavano sui loro capelli. La gente non è briosa e linda come gli esuberanti perugini, anzi i cortonesi si mostrano indifferenti e a volte poco affabili con gli stranieri… (Dopo una gita a S.Margherita n.d.r.) giungemmo al più singolare borgo, un luogo di mendicanti dove tutti ci chiedevano l’elemosina e i bambini erano particolarmente insistenti” (Katharine S. Macquoid saggista americana – scritto nel 1905).
Emerge quindi una realtà di povertà, accanto ad una città viva ed attiva. Propongo un altro intervento che ci rappresenta il mercato di allora “La strada è oggi molto animata poiché è giorno di mercato: passano i contadini e contadine con fili di paglia fra i capelli. L’unica osteria smercia torrenti di vino toscano; la gente esce fuori e, con ampio gesto che va dal pollice al gomito, si asciuga l’ultima goccia sulle labbra. Sulla Piazza Vittorio Emanuele, dov’è il Municipio, e sulla piazza Signorelli, davanti al Pretorio, è impossibile aprirsi un varco: il pollame con le zampe legate, i monticelli di uova fresche, i fasci di paglia, i conigli dentro le gabbie, tutto ciò ingombra la strada. Nello stretto sentiero al centro, quei terribili Etruschi discutono fra loro, incrollabili come steli di bronzo. Gli uomini sono quasi tutti glabri, molti hanno la faccia di un colorito rosso scuro, simile a quel minio con cui sono imbrattate le figure in terracotta dei sarcofaghi ….. Molti hanno grandi orecchini e anelli alle dita. Sono certamente i figli che riposano all’ombra delle necropoli, sotto i loro piedi. Tutto questo odora di letame, della lucumonia primitiva che la coltura intensiva della val di Chiana doveva trasformare, nei giorni di mercato come oggi, in orto, cortile e stalla” ( Renè Schneider storico d’arte – scritto nel 1907).
A me ha colpito visivamente soprattutto, la descrizione degli uomini con grandi orecchini. Tale immagine viene riproposta in questo altro brano sempre di Renè Schneider “Ecco due o tre vecchi, appoggiati al parapetto, che osservano in silenzio: guardando i grandi anelli d’oro appesi alle loro orecchie, il loro colorito rosso mattone, mi piacerebbe crederli fuggiti da una tomba etrusca, dalla tanella di Pitagora che si apre sotto di noi, nella collina”. Olave M. Potter (saggista – scritto nel 1911) coglie con il brano sotto riportato sia alcune caratteristiche della città e di alcuni suoi abitanti, sia l’ unicità della nostra amata città “Cortona era addormentata. Era immobile come una lucertola su un muro assolato. Gli stessi bambini che ci avevano seguiti tutta la mattina per avere due soldi, erano spariti. L’aria vibrava del frinire delle cicale, il sole s’allungava come un tremulo velo sulla valle sottostante. Il nostro senso di fastidio scomparve all’istante. Sorse la Bella Italia per incontrarci, vanificando le memorie sgradevoli come una fresca mano sulla fronte suole allontanare il dolore. Dimenticammo l’astio che s’era accumulato nel corso della giornata: la polvere, i cattivi odori, il sole implacabile, la locanda addormentata con la sgarbata cameriera, i bambini che urlavano come ossessi, la cattedrale barocca! … Così all’alba cominciammo ad amare Cortona per la bellezza fantastica che è solo sua e per il suo riserbo”.
Quindi abbiamo, agli inizi del ‘900, una Cortona povera, operosa, molto vissuta e centro della vita relazionale ed economica del territorio (una economia prettamente agricola); una Cortona non abituata a ricevere i pochi viaggiatori. Abbiamo però una Cortona vera, con proprie caratteristiche tradizioni, come quella che proponevano i vecchi indossando grandi orecchini d’oro. Una città che aveva la propria forza attrattiva nella capacità di evocare con straordinaria forza i tempi passati, creando una unicità di sentimenti ed emozioni ai viaggiatori del tempo, nonostante le “scomodità” denunciate senza remore.
Concludo con un altro brano di Renè Schneider, che rappresenta con chiarezza e vivacità di immagine le conclusioni sopra riportate “Questo paese, dice Macchiavelli, sembra nato per far rivivere le cose che non sono più. La Porta Colonia si apre a Nord su di un vallone, alcune donne escono da Cortona, altre invece entrano, con grandi ceste in testa. Quando passano, dritte sotto il peso, attraverso l’apertura di quell’enorme muro che ha visto entrare in questo modo, per venticinque secoli, i frutti di stagione, sento quella leggera emozione familiare a tutti coloro che hanno il senso del passato”.
Venticinque secoli sono tanti … spazzati via in questi decenni passati dal mondo nuovo, un mondo globalizzato che vorrebbe cancellare il passato, il nostro passato con i valori che in esso erano incrollabili. E’ nostro compito “attualizzare” il passato, mantenendo vivi in noi i valori della nostra lunghissima storia e riproporli a coloro che, come gli antichi viaggiatori, oggi si appropinquano speranzosi e un po’ ignari per varcare le porte della nostra gloriosa città.