Sono fortunata: io sto bene e come me stanno bene i miei familiari, tutti i miei parenti e le persone a cui tengo. Nessuna delle persone che conosco è, inoltre, caduto preda del maledetto coronavirus.
E sono favorita dalla sorte anche perché – e scusate se la necessità di rimuovere almeno per un po’ tutte le ansie accumulate, la paura per il futuro e la depressione incombente mi spinge a cercare un po’ di futilità – casa mia, come molte altre case di Cortona, ha due entrate o, se preferite, 2 uscite e di questi tempi, non è una fortuna da poco.
Ho in questo modo la possibilità di decidere, ogni volta che mi accingo ad uscire, quale itinerario scegliere per la sgambata di 200 metri, la cosiddetta “attività motoria” ammessa per ciascuno di noi dalle vigenti disposizioni in materia di lotta al funesto morbo.
200 metri dall’uscita sud o 200 metri dall’uscita nord: tra i due itinerari, ve lo assicuro, c’è una differenza sostanziale.
Uscendo infatti dalla parte meno elegante, quella ufficiosa che forse in antichità era l’entrata per la servitù, con due passi mi ritrovo nel bel mezzo della Cortona utile a soddisfare le esigenze della vita quotidiana, i negozi per fare la spesa, l’edicola, la farmacia, le banche, il Comune, l’Ufficio postale. Da questa parte mi è molto più comodo recarmi al lavoro e verso la salutare passeggiata quotidiana al Parterre che ora è però zona “off limits”.
E’ però la Cortona più consueta, quella più vissuta e – in tempi normali – affollata da quei turisti mordi e fuggi che credono che il bello di una visita a Cortona si esaurisca nell’ammirare le due, al massimo le tre piazze del centro, percorrere Via nazionale e poi sedersi a frescheggiare ad uno dei tanti bar o ristoranti che costellano questa zona.
La Cortona di quando si è sereni e si respira aria di vacanza. Sarebbe come tornare nei luoghi dove abbiamo vissuto una esaltante passione d’amore con un uomo che poi, inaspettatamente, ci ha vigliaccamente abbandonato. Meglio evitare inutili nostalgie…
Potrebbe essere, è vero, l’itinerario ad hoc per incontrare finalmente qualcuno e urlare così due parole (d’altra parte il tenersi il più possibile a distanza non permette certo di usare un normale tono di voce) ad un essere umano diverso da quei due familiari che da ben più di quarant’anni convivono con me sotto lo stesso tetto. Per fortuna ci siamo ancora abbastanza simpatici e troviamo ancora qualcosa da dirci…ma è dura!!!
So però che ci porremmo vicendevolmente le solite irrisolte e irrisolvibili domande a cui, per ora, nemmeno i più conclamati esperti in materia si arrischiano a dare quella risposta di celere e incontrovertibile ritorno alla normalità che tutti aneliamo a ricevere. Risultato? Il mio scoramento aumenterebbe.
Di questi tempi perciò preferisco l’uscita nord, quella che mi conduce verso i percorsi di chi non ha paura della solitudine ma che anzi, per sfruttare al massimo il piacere di poter trattenersi un po’ di più all’aria aperta, si attarda ad osservare minuziosamente ogni strada e ogni muro, si sofferma a guardare con lo stesso interesse sia le piccole case medievali che quelle risalenti ai secoli successivi con i loro eleganti portoni bugnati sormontati da stemmi nobiliari.
Itinerari da “passeggiatore riflessivo” che non considera questi edifici semplicemente dei begli esempi di architetture antiche, ma che osservando si rende conto finalmente che queste, dalle più umili alle più eleganti sono state invece, secolo dopo secolo, delle abitazioni , le case di chissà quante e quali famiglie, le mute testimoni di tutti i dolori, di tutte le gioie, di tutti gli amori e gli abbandoni, dei pianti e delle risa dei bambini, della la vita quotidiana di chi via ha vissuto dentro.
E chissà se in qualche modo ne conservano ancora memoria e che cosa ci racconterebbero se potessero parlare?
Quella che per brevità ho chiamato “Uscita nord” di casa mia si affaccia su Piazzetta Cerulli-Diligenti.
Da lì almeno mille altre volte avevo già imboccato il vicolo che sale su verso la parte alta di Cortona e già in queste occasioni spesso mi ero chiesta , ma solo distrattamente, chi fosse e perché fosse lì in alto, sotto quell’arco, quella statua di soldato, forse romano (?), che io ho sempre irriverentemente definito il “soldatino monco”.
E’ stato merito dell’obbligato “slow walking” se ho finalmente appuntato “in neretto” nella mia agenda mentale “indispensabile prendere informazioni su di essa non appena tornata a casa”. Ma per quanto abbia cercato non sono riuscita a trovare una risposta: neanche Monsignor Tafi (1), l’ autore di quello che è ormai il mio pluricitato vademecum per la conoscenza dei luoghi e della storia di Cortona, è riuscito a reperire alcuna notizia in merito all’identità del soldatino né sa dire in onore di chi né da quanto tempo il militare sta lì con le sue braccia spezzate.
La ricerca non è stata comunque del tutto infruttuosa: sono venuta a sapere che gli Ospizi a cui fa riferimento il nome della strada non sono altro che le numerose case che secoli fa si trovavano qui nei pressi del Vicolo stesso, edifici di proprietà di quegli Ordini Religiosi che, avendo la sede dei loro Monasteri al di fuori dalle mura cittadine, necessitavano di avere in città luoghi dove i loro religiosi ed i pellegrini potessero riposare, mangiare e appoggiare temporaneamente le provviste raccolte. Avrei dovuto capirlo dai simboli scolpiti sugli stipiti di ciascuno di questi alloggi.
Ambienti di pace e preghiera: è questo forse il motivo per cui già salendo per le scale di questo vicoletto si comincia a percepire un’ atmosfera del tutto diversa da quella che si respira solo un paio di strade più sotto, quelle che scendono giù verso le piazze.
Se poi continuando a salire su per il brevissimo Vicolo della Badiola (che con il nome conferma, se ce n’era bisogno, la natura degli edifici di questo segmento di territorio cittadino), ho la fortuna di sbucare in Via Sant’Antonio senza trovarvi neanche un’auto parcheggiata la sensazione di trovarmi in un mondo ed in un tempo del tutto diversi da quello presente è quasi estraniante.
Sembra di aver attraversato una porta del tempo: oltre ai i resti dell’acquedotto romano che si parano subito davanti, la vista della chiesetta di Sant’Antonio Abate e della statua di cotto del santo col suo porcellino, inserita nel muro a lato della chiesetta, sembrano un fondale teatrale creato ad hoc per uno spettacolo ambientato nel Medioevo.
Ed infatti in questo luogo “ eravi fin dal secolo XIII uno Ospedale di pellegrini e ammalati di fuoco sacro, ossia Erpetre o Fuoco di Sant’Antonio. Era chiamato l’Ospedale di Sant’ Antonio e di Sant’Onofrio” dice l’antico manoscritto conservato presso l’Archivio Storico della Curia Vescovile di Cortona (1) che così continua “Vi abitavano i canonici della Congregazione di Sant’Antonio Abate di Vienne nel Delfinato di Francia…Vi stettero fino all’anno 1400 perché ebbero alcune differenze col Clero e Città e furono obbligati a partire….”
Insieme alla lunga storia di cui sono stati successivamente protagonisti questa chiesa e questo Convento, lo sconosciuto autore narra anche dettagliatamente l’origine e le vicende che hanno riguardato tutte le numerose altre Congregazioni e Confraternite che occupavano quasi per intero il circondario che della Piazzetta di Sant’Antonio porta verso il cosiddetto “Salvatore” e anche di quelle che si trovavano nel territorio che scendendo più giù arriva quasi a Porta Colonia.
Una vera rivelazione per me abitante della Cortona attuale abituata da sempre a vedere case e villette di privati al posto di quegli edifici monastici.
E’ la famosa veduta di Cortona disegnata dal Berrettini 1634 circa a mostrare in pratica quale fosse la situazione almeno a circa la metà del XVII secolo: il n. 18 individua la posizione della Confraternita di Sant’Antonio Abate, il n. 19 quella della Confraternita di San Salvatore, al n. 20 si trovava la Confraternita di San Rocco, al n. 21 la Confraternita di Santo Stefano e al n. 22 Confraternita di Santa Maria dellaMisericordia. Ed perdipiù dopo il 1620 in questa stessa zona ed esattamente in Via Maccari nacque un’altra Chiesa, intitolata a San Carlo Borromeo, che sconsacrata è stata recentemente adibita ad ospitare mostre d’arte .
Se non finissero qui i 200 metri consentitimi per la passeggiata dalle disposizioni “anticoronavirus” e potessi invece oltrepassare questa zona “incantata” avrei più di un percorso da seguire e ognuno di questi potrebbe offrire ai miei occhi differenti ma sempre incantevoli scenari.
Basterebbero infatti pochi passi e svoltando a sinistra per Via del Monte potrei trovarmi di fronte, e all’improvviso, non più l’opera dell’uomo ma una superba opera della natura: il Sant’Egidio.
Uscire da una zona dove tutto è ancora medievale e perciò di piccole dimensioni e trovarmi così, di botto, di fronte il monte che fa da contrafforte alla collina cortonese è, ve lo assicuro, veramente scenografico: Sant’Egidio visto da qui appare molto più imponente di quando lo si guarda da tante altre prospettive.
Se poi, solo per ipotesi, potessi continuare a salire su per la strada asfaltata, dopo pochissimi metri potrei girare intorno alla millenaria chiesetta di San Cristoforo, prendere poi per Via dell’Orto della Cera, costeggiare il muro che cinge dalla parte superiore la chiesa di San Niccolò, e in questo modo trovarmi nel settore del cono collinare completamente opposto a quello da cui provenivo: e anche qui, di colpo, si offrirebbe ai miei occhi lo spettacolare panorama che racchiude contemporaneamente in sé il Lago Trasimeno e l’intera Valdichiana.
Sarei arrivata comunque in Via Orto della Cera se, una volta salite le scalette a lato della Chiesa di Sant’Antonio, avessi deciso di girare a destra prendendo per Via Bagno di Bacco, di arrivare poi su fino al cosidetto “Pozzo Tondo” e di entrare da lì in un’altra zona di Cortona dove è tutto un susseguirsi di chiese, Monasteri o luoghi che ricordano parrocchie e conventi una volta molto ricchi ed importanti ma ora scomparsi e sostituiti, da case e ville che sono state o sono piacevoli abitazioni di personaggi più o meno noti sia del passato che del presente.
Il disegno del Berrettini mostra infatti che al n.17 si trovava la antica chiesa di San Marco ora distrutta, al 14 l’imponente Monastero della SS. Trinità, al 12 ilMonastero di Santa Caterina poi unito a quello della SS.Trinità, al n. 13 l’altrettanto maestoso Monastero di Santa Chiara, al n. 9 la Confraternita di San Niccolò, al 10 la Confraternita di Santa Croce, all’ 11 lo scomparso Monastero di Santa Maria Maddalena, al 15 parrocchia San Giovanni, al 4 la Parrocchia di San Giorgio, al 2 il Convento di Santa Margherita, al 3 la Chiesa san Pietro a Marziale.
Se poi contiamo tra questi edifici sacri anche la Chiesa ed il Convento di San Francesco, situati alla base di tutta questa collina “sacra”, è divenuto perfettamente intuibile perché la zona del cosiddetto Poggio sia stata definita “la città di Dio” e perché i suoi abitanti vengano chiamati “il popolo santo”.
Ed è anche perfettamente plausibile la spiegazione che gli studiosi della storia cittadina danno per spiegare l’origine del nome della via che è una delle più antiche e caratteristiche strade di questa parte di Cortona: Via dell’Orto della Cera, quella che nel 1248 Messer Ticcio, l’allora Podestà di Cortona, fece costruire per collegare Porta Montanina con una porta che fu successivamente chiusa, l’antica Porta San Giorgio.
Quale luogo infatti poteva esser migliore per lavorare la cera d’api e con questa produrre ceri e candele di ogni tipo se non questo posto alla sommità di un territorio occupato quasi esclusivamente da Chiese, Monasteri, Confraternite, e perciò frequentato in grandissima parte da religiosi?
Gli artigiani che si dedicavano a questa attività e che poi appendevano perché si asciugassero al sole i loro manufatti servendosi di chiodi conficcati nel muro, dovevano essere numerosi e l’attività doveva esser remunerativa perché si è conservata, almeno a quanto riferivano alcuni anziani ancora vivi fino a qualche decennio fa, fino ai tempi della prima guerra mondiale.
Il muro che porta ancora il ricordo di questa tradizione è quello che girava intorno all’antico e ora scomparso Monastero di Santa Croce. Si può vedere seguendo il viottolo che si imbocca girando a destra una volta arrivati in fondo via Orto della Cera.
Purtroppo il viottolo con il tempo è divenuto un piccolo sentiero campestre, ma è davvero piacevole uscire da lì e trovarsi già a metà di quella che di tutta la città è la strada che preferisco: Via Santa Croce.
Foto via Santa Croce FIORI
Uno dei pochi posti in cui la civiltà non ha stravolto nulla o quasi. E’ senz’altro la via più antica e come dice ancora una volta Monsignor Tafi era “un tratto di quella che è stata forse la via di crinale che da Via Porta Ghibellina, passando per Via Ghibellina, Piazza della Repubblica, Via Santucci, Via Berrettini , Piazza San Cristoforo conduceva fino all’arce della città (Fortezza) ed alla porta orientaledella città etrusca che si apriva nella stessa cinta oltre la fortezza” (1) . Porta che purtroppo non esiste più.
Fino ad almeno la metà del 1600, periodo in cui fu approntata la nuova strada per raggiungere il Santuario di Santa Margherita, la cosiddetta “Via Crucis”, per questa ripida strada saliva la processione in onore della Santa stessa, processione che dopo aver attraversato il centro della città costeggiava la chiesa di San Francesco, attraversava il Poggio, oltrepassava la chiesa di San Cristoforo, quella di San Pietro a Marzano ed arrivava infine alla Chiesa di San Basilio, l’attuale Basilica dedicata alla Santa.
Indubbiamente un percorso oltremodo ripido, ma che splendore di panorami e di natura…!
Vale la pena di fare la “faticaccia” di arrancare per questa e ardua salita, ve lo assicuro.
In primavera, di solito, è uno spettacolo di fiori.
Per ora accontentatevi di ammirarli in foto, poi …potremmo darci un appuntamento e ritrovarci lì, finalmente e tutti insieme.
Per aspera ad astra… con tutte le salite che dovremo affrontare mi sembra l’ augurio più azzeccato!
1) “Immagine di Cortona” Angelo Tafi – Editrice Calosci Cortona 1989
2)) “Memorie della Città e Diocesi cortonese estratte da antichi e veridici manoscritti compilate negli anni 1759-1760” manoscritto consevato presso Archivio Storico Diocesano Cortona