Ho scoperto l’arte sottile del “volo” in età precoce. Ma all’epoca non potevo coglierne la portata. Giorgio Gaber l’ho visto in tv per la prima volta a 13 anni. Erano i primi anni ’90, in mano il flautino delle medie: ricordo che mi metteva una strana ansia, (come mi terrorizzava, in ordine temporale, prima la rete virtuale nella sigla di Quark e poi il pupazzo Rockfeller). Questa era una paura più razionale: si rideva, si, ma subito dopo mi sembrava lasciasse un po’ cupi gli adulti, uno col naso infinito, gli occhi intensi disegnati all’ingiù, i capelli urlanti. Un cantante? un attore? E che verità raccontava?
La sua, quella giusta, o quella di chi? Pochi anni dopo, quando le sue canzoni e i suoi monologhi li potevo apprezzare, il suo messaggio lo mettevo a fuoco e poi lo sfocavo subito, perché era una specie di spina nello stomaco. Raccontare un personaggio del genere, per di più in una lezione/ spettacolo, è un’impresa galattica, specie ora che conosco quei recital, e maneggio gli anni ’70, la critica sociale, il cinismo motivato, Dio, il concetto di opinione pubblica, la coscienza, il sarcasmo, la democrazia, la demenza, la destra e la sinistra, l’amore, l’assurdo, l’esistenza, la libertà. Tutta roba che interessava a quel tipo che con mosse, tic, sorrisi larghi e intelligenza, dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ’90, cantava recitando la tragi-comica medietà. L’eroe sul palco di “Gaber se fosse Gaber è un Andrea Scanzi “grato al maestro”, autore e narratore di uno spettacolo prodotto dalla Fondazione Gaber e in pochi mesi ha fatto numeri e girato l’italia. Centoventi minuti di viaggio- testo, canzoni su clip fotografiche, le poche registrazioni video dei suoi spettacoli – la cui meta è il cuore di un percorso artistico originale quanto complesso, geniale, quanto criticato, dirompente quanto -purtroppo- in parte disinnescato. In scena, solo una sedia e l’ultima foto del Signor G, poco prima della comparsa. Lo Scanzi, in jeans, ne traccia una linea cronologica in parte a ritroso: dalla malattia, alle prime fermentazioni del “contenuto-contenitore”, la negazione “dell’effetto proustiano” da concerto, la sconcertante attualità, la forza del realismo esistenziale di Sandro Luporini, col quale Gaber ha scritto quasi tutto.Niente didascalie, verità rivelate o declamazioni: solo una narrazione che vi entra addosso, per gustarsi (e farvi gustare) tutte le tonalità di una poetica a metà tra ironia e devastazione, raccontata ora dalle parole di chi da quell’ uomo è stato folgorato a 17 anni, grazie a suo padre, ora da Gaber stesso, nei suoi “assoluti” dell’impegno ( vedi “Libertà Obbligatoria”, “Polli di allevamento”, la tremenda “Io se fossi Dio”),e del “privato” (una per tutte, “Il dilemma”). “Gaber se fosse Gaber”, dopo Arezzo e Montepulciano, dalle nostre parti torna a febbraio, a Monte San Savino. E’ in continua costruzione, in vista dell’ufficialità celebrativa nel decennale della scomparsa, il prossimo anno. Con Andrea (non mi dilungo, musica, sport, vino, politica, …una firmona) ci siamo conosciuti a Cortona durante un selvaggio appostamento tra gli ulivi, il giorno del matrimonio di Jovanotti. Io, microfono in mano, mi cimentavo anche in un’ elegante prova di resistenza sui tacchi, lui si appuntava su una copia de La Stampa i nomi degli invitati vip che i fans armati di cannocchiale, sparsi sulla collina, si urlavano a vicenda. Ad un tratto, ricordo che il mio cameraman ha appeso la telecamera ad un ramo di olivo. L’arte del dubbio dicevo. Anzi, della libertà. Il progetto del signor G è stato uno, e Andrea, (per la prima volta attore) lo centra: Gaber stava fuori dagli schemi perchè gli schemi, quelli reali, li vedessimo. Ci butta qualcosa là, sta a noi prenderlo. L’esercizio del dubbio, non della conoscenza. Un costante forcone sulle chiappe. Una distruttività costruttiva, né “leghista estetico”, né “menestrello dei dittatori”. La poetica del “volo”, dopo il salto dal ramo della consapevolezza. Quella che mi buca qui. E che buca anche voi, che magari da Gaber state alla larga. Se non lo conoscete bene andate a vederlo questo spettacolo. Uscirete dalla sala con un pensiero: “Chissà lui cosa direbbe oggi di questo paese”. Se avete ascoltato bene, la risposta l’avete in tasca. Anzi, nello stomaco. E vi assicuro che di questi tempi è una grande ricchezza.