Ricciotti Valdarnini nacque ad Arezzo (1896), ma negli anni Venti, dopo scontri coi fascisti, si stabilì a Camucia con la moglie Maria Borri. Risoluto negli ideali, nel 1933 fu imprigionato “per aver svolto, insieme a Bistarelli Santi e Rachini Cesare, attività comunista creando in Camucia un aggregato di individui della stessa idea dei quali egli era il capo”. “Ammonito”, schedato, e vigilato dalla polizia, nel 1938 fu arrestato di nuovo alla vigilia del viaggio di Hitler in Italia, insieme a Sem Faralli e Antonio Marcelli, perché “persone da arrestare in determinate circostanze”.
Produttore di mattonelle di cemento, visse dignitosamente senza padroni. Nella passione politica, associò letture impegnative e direzione clandestina d’una ridotta ma efficiente struttura di partito. Autodidatta, raggiunse un buon livello di preparazione. Al passaggio del fronte di guerra, stampò un libretto: “ La Democrazia progressiva”. Conforme alla svolta di Salerno (1944), imposta da Togliatti al PCI, che prevedeva: l’accordo coi monarchici e gli altri partiti antifascisti (democristiani, socialisti, liberali, azionisti), e la rinuncia alla conquista del potere per via “rivoluzionaria”, battendosi per il “progresso” in regime democratico. Valdarnini, per quattr’anni, fu il primo sindaco di Cortona eletto a suffragio universale (1946). Preceduto nella carica, dopo la Liberazione, da nominati dal Governatore inglese quale autorità occupante: Alessandro Ferretti, Camillo Buorbon di Petrella e Nibbi. Anni convulsi, la società piagata dalla guerra, il territorio, carente di sbocchi occupazionali, prevalentemente agricolo. Valdarnini sindaco s’ingegnò a combattere la “miseria nera” procurando lavoro ai tanti disoccupati presso grandi aziende agricole, e a riassettare disastrati servizi e infrastrutture vitali: scuole, fogne, strade, acquedotti,…(sua la Relazione consuntiva dei 4 anni, in Biblioteca). A lungo, rimase la sua firma in piazza Sergardi a Camucia: una grande stella rossa centrale. Politico e amministratore, tentò la carriera parlamentare, candidandosi al Senato. Qui vennero al pettine i nodi dei conflitti con l’apparato burocratico della federazione aretina del PCI. In lizza con il concorrente Gervasi, da Foiano, buon pedigree politico e miglior sintonia con la federazione del partito, Valdarnini non fu eletto. Pur essendo Cortona tre volte più popolosa di Foiano, ma, nelle preferenze provinciali, i conti favorirono Gervasi. Nel frattempo, all’espansione organizzativa e dei consensi elettorali, i dirigenti aretini inviarono a Cortona, da altre piazze, funzionari politici professionisti più obbedienti. Natale Bracci al sindacato, da Terranova Bracciolini, e Luigi Agostini al partito, dal Casentino (anche se incarichi politici e sindacali erano scambiabili o sovrapponibili). Valdarnini rimase svincolato dall’apparato di partito, avendo preferito mantenere il mestiere di piastrellista. Leader indiscusso nella ricostruzione, e colonna portante in clandestinità: capo di attivisti sparsi nel vasto Comune che da lui si rifornivano di materiale propagandistico, notizie, e direttive dal “centro”. Fu pure collettore di materiale destinato ai partigiani alla macchia. Coadiuvato da attivisti, come Umberto Berni (Fagiolo), ricordato, incosciente e spavaldo, viaggiare in paese con un fucilaccio a tracolla! Compagni folkloristici ma efficienti, quanto la burocrazia stalinista del PCI. Contro cui Valdarnini ingaggiò uno scontro “autonomista”: in loco, le questioni dovevano essere risolte dai cortonesi non dall’apparato federale; finché fu processato ed espulso dal PCI accusato di “titoismo”. Da Tito, leader in conflitto con l’URSS fino alla scomparsa di Stalin (1953). In realtà, riferimento di Valdarnini e del suo seguito non era Tito ma Trotsky, teorico della “rivoluzione permanente”. Contrario al ruolo dell’URSS guida mondiale del socialismo, pur rispettandone le “conquiste”, contrario all’invadenza burocratica del partito sullo Stato, contrario al culto del capo Stalin, che aveva soffocato nel sangue il dissenso, inviando gli oppositori in carcere, nei lager, o soppressi, con o senza processi sommari. Quello stalinizzato non era il partito atteso da Valdarnini, Ciro e Alfiero Cenderoni, Dino Baldi, Gino Rinaldi (Spallone), Fulvio Castellani (Punzino), Ettore Crivelli, e dai giovani Luciano Salvadori e Gino Schippa. Di Trotsky, ucciso con una piccozza in testa (1940), alcuni eredi ne seguirono le orme nella IV Internazionale. Alla quale aderirono i trotzkisti cortonesi, ospitando più volte il leader Livio Maitan, riunendosi le domeniche pomeriggio a leggere e discutere di politica, anziché seguire “Tutto il calcio minuto per minuto”, come faceva gran parte dei coetanei. Girava varia stampa comunista: “L’Unità” “Rinascita” “Il Pioniere”, “Bandiera rossa” bollettino della IV internazionale, “Il Programma comunista” e “Battaglia comunista” bollettini bordighisti. Alcuni del gruppo presero la via dell’“entrismo”, teorizzato da Trotsky stesso: siccome siamo pochi, entriamo con le nostre idee in altri partiti e sindacati vicini al proletariato. Valdarnini era noto per sue definizioni lapidarie: “I bordighisti sono bravi ma duri…” e “Tante cose in Russia non tornano…” Così come ricorrevano accuse (dal PCI) contro lui e i seguaci: “I comunisti di Ricciotti dicono che in Russia non c’è più il comunismo!” o anche: “A loro non sta bene niente!” I compagni di Valdarnini – fino alla morte della moglie Maria (1965), da cui ne uscì prostrato – lo considerarono un caposcuola. Formatore che trasmetteva passione, di quelle che possono catturare per la vita intera. Una volta espulso, molti militanti del PCI lo isolarono, pochi gli tributarono, ancora, rispetto e riconoscenza, avendo egli sacrificato i migliori anni della vita a tesser trame antiregime in clandestinità. Senza di che non sarebbe sorto il PCI, forza travolgente e primo partito cortonese nell’ immediato dopoguerra. Ma cotanto merito non servì a impedirgli l’espulsione! Morì a 79 anni. La salma fu esposta nella Sala consiliare comunale, quale ex sindaco. E – col senno di poi – anche per meriti politici: essendo stato tra i più generosi liberi pensatori del suo tempo, filantropo ribelle a ogni sorta di autoritarismo prevaricante.
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