“Sostituisce il figlio, il padre picchia l’allenatore”; “Capitano di squadra dilettantistica aggredito dopo aver difeso un compagno da insulti razzisti”; “Insulti razzisti all’avversario: l’allenatore ritira la squadra, i tifosi inferociti lo assaltano”… sono notizie che purtroppo non vengono dalla fantasia, ma da brutti episodi che sempre più circondano il mondo del calcio.
L’ultimo rapporto dell’Associazione Calciatori segnala che gli episodi di violenza (minacce, intimidazioni e aggressioni fisiche contro giocatori e squadre) sono aumentati negli ultimi cinque anni del 125%. Uno scenario desolante diffuso a tutti i livelli, col problema ulteriore che la vigilanza delle forze dell’ordine è inevitabilmente meno intensa nelle categorie più basse e gli episodi, se accadono, fanno meno notizia non costringendo ad affrontare una volta per tutte la questione. E pensare che alla fine si tratterebbe solo di un gioco.
Tra i dilettanti la maggior parte di questi deplorevoli eventi passano spesso nell’indifferenza, a meno che non si sconfini nella violenza vera e propria, quella che diventa cronaca giornalistica. Come ad esempio nel Marzo 2017, quando i giocatori della Per San Marzano (Prima Categoria) sono stati aggrediti e presi a sprangate in un “raid” perpetrato addirittura nel terreno di gioco.
Ma nel mondo dilettantistico aldilà della violenza c’è anche altro, una miriade di piccoli comportamenti fra il cafone e il disonesto, più o meno gravi, che rischia di diventare la regola.
Ciò accade anche nei settori giovanili, dove il problema principale pare che siano I GENITORI.
Ci capita spesso di parlare con allenatori di squadre giovanili della nostra vallata: alcuni di loro, di fronte a una serie di episodi e comportamenti fastidiosi che si ripetevano con regolarità trasformandosi in un’abitudine, hanno persino deciso di interrompere l’attività.
Un “classico” dei genitori è infiltrarsi nei gruppi dirigenti delle società. Da lì è semplice esercitare delle pressioni, più o meno esplicite, affinchè gli allenatori mettano in campo il loro figlio anche se è un brocco.
Ci sono poi i Presidenti delle società che “raccomandano” il figlio di Tizio perchè è un dirigente, oppure ha dato un bel finanziamento alla società.
E poi ci sono i genitori-modello, uomini (e donne) dall’immagine rispettabile che sugli spalti si tramutano in veri cafoni. Quelli che incitano i figli con frasi tipo “Spaccagli una gamba” o si mettono a far rissa con altri genitori avversari.
Con esempi di questo genere potrei andare avanti a lungo. Mi fermo qui, limitandomi a sollevare una questione che spero si affronti… e se nessuno ci pensa in alto si provi a farlo dal basso.
Togliamo la voce a chi non lo merita, alziamo il volume a chi propone un altro modello di sport.