Finalmente il pienone. Grazie al carisma di un cantautore leggendario, la serata conclusiva del Mix 2018 è riuscita a vendicare le scarse presenze per gli Statuto e per Little Steven, dimostrando che il recupero di Gino Paoli non era una cattiva idea – almeno sul piano commerciale.
Un concerto splendido, apprezzato da giovani e meno giovani, che ha trasformato Piazza Signorelli in un teatro all’aperto. Non ci saremmo aspettati nulla di diverso, visto che a suonare col mostro sacro della canzone italiana c’erano musicisti incredibili come Rita Marcotulli al piano, Ares Tavolazzi al contrabbasso e Alfredo Golino alla batteria.
Prima dell’arrivo di Paoli, c’era chi temeva nell’età avanzata: lui ha smentito tutti, dimostrando una tenacia invidiabile per un ottantaquattrenne che non ha smesso di bere e fumare. Con i nomi giusti, dunque, il Mix funziona – sembra una banalità, ma lo è solo in apparenza. Nomi giusti significa anche che non è detto che a Cortona si possano/debbano per forza proporre artisti “giovani” – il pubblico è quello che è. Non a caso, l’unico vero festival per giovani che abbiamo avuto negli ultimi anni era Insanamente, che si è svolto perlopiù a Camucia, così da superare le critiche dei commercianti e lo scontro con i turisti. Non siamo vecchi tromboni, eh. Facciamo l’esempio di Perugia. Durante Umbria Jazz 2018 sono passate per Corso Vannucci 400.000 persone. Sapete qual è l’unico concerto che è andato male (con appena duemila paganti, una miseria per il Santa Giuliana)? I Chainsmokers, un duo di dj americani che ha un enorme successo tra i ragazzini, e ha pure fatto un featuring con i Coldplay. Da noi, con l’eccezione di Lorenzo, i sold-out li hanno fatti Jethro Tull e Steve Hackett, per dire. Forse la logica delle vecchie glorie può aver senso (non in senso nazional-popolare, però… mica vogliamo Rita Pavone!).
Poi ci sarebbe la questione etica, perché non sarebbe corretto chiamare un evasore ad esibirsi su un palcoscenico finanziato con soldi pubblici. Crediamo che se ha dei conti in sospeso con lo Stato, sarà la Giustizia a giudicarlo. La sua musica e le sue parole possono portare un valore aggiunto alla crescita spirituale del nostro territorio? Secondo noi sì. L’Inquisizione ha generato la Gerusalemme Conquistata, un poema mediocre. Noi le preferiamo la Gerusalemme Liberata, il capolavoro scritto quando Torquato Tasso non si sentiva sul collo il fiato della Controriforma.
Nel pomeriggio era saltato l’incontro con Giuseppina Torregrossa, ma c’era sempre Paoli, che ha dialogato con la figlia Amanda Sandrelli e Fulvio Paloscia di Repubblica, raccontando la propria concezione dell’arte e delle parole (lo ripetiamo: il tema di questa edizione del Mix Festival è “le parole sono importanti”). L’atto artistico – afferma il cantautore – non è solo estro, ma anche tecnica, precisione, rispetto di un “modulo”: chi non sviluppa il modulo richiesto dalla disciplina artistica in cui lavora, non ottiene nulla. La finzione è sempre positiva, al punto tale che se i suoi figli gli raccontavano balle, Paoli era contento, purché queste fossero creative, perché denotavano intelligenza. Tutti noi dovremmo praticarla!
Sia Gino sia Amanda hanno a che fare con le parole, nei rispettivi lavori: cantautorato e recitazione. Secondo Paoli, bisogna usarle con grande perizia, perché si portano dietro dei connotati culturali. Lui ha studiato linguistica in gioventù, e sa che ogni parola ha almeno tre portanze: etimologica (cioè da dove viene: dal latino, dal greco…), semantica (il significato letterale) ed evocativa (il significato metaforico). La parola è la base dell’essere umano, perché ci distingue da tutte le altre specie.
Amanda Sandrelli racconta di aver letto tanto in gioventù, ma di avere avuto una rivelazione quando ha cominciato a leggere la poesia in pubblico. Per farlo, aveva chiesto consigli al padre, che le aveva risposto solamente “vai piano”. Il suggerimento era azzeccato: se non si dà alla parola poetica il tempo di risuonare – come fossero le note di una composizione – non si può apprezzare il carattere musicale del testo. Una seconda cosa imparata dall’attrice, questa volta da sola, è stata che le poesie si leggono ad alta voce, proprio per quanto spiegato fin qui. Leggere in silenzio non dà lo stesso senso di appagamento.
(E poi c’era Gabriele Del Grande, il giornalista lucchese che racconta i numeri degli sbarchi nel Mediterraneo dal 2006, ben prima che questi divenissero l’unico tema della stampa italiana e condizionassero persino le elezioni politiche. Purtroppo non c’eravamo, ma c’era una rappresentanza di Radio Incontri inBlu, che ha dedicato a Fortress Europe una mostra una decina d’anni fa, sempre con largo anticipo. Chissà se c’erano anche gli innumerevoli esperti locali che sentenziano sul tema migratorio nei social networks con una supponenza pari solo alla propria incapacità di scrivere…).
Il Mix 2018 finisce qui. Domani su queste pagine le nostre riflessioni su questa settima edizione. Grazie per averci seguito!