Sabato 23 dicembre ho avuto il piacere di moderare un incontro con Carlo Maria Cavalli, giovane cortonese vincitore di un campionato italiano della Lega Arcieri Medievali. Come promesso durante l’intervista, trascrivo qui le parole che ci siamo scambiati. L’iniziativa, ideata da Stefano Duranti Poccetti, rientrava nelle giornate dedicate allo sport di Natale a Cortona, il bel programma di eventi natalizi organizzato dall’Associazione Culturale Lux di Angela Bucaletti e Federica Billi in collaborazione con i commercianti e l’Amministrazione comunale. Tra sabato 16 e sabato 23 sono stati intervistati nelle due location della Sala del Consiglio Comunale di Cortona e del Caffè La Saletta Efrem Calamati e Riccardo Lorenzetti (da Stefano Duranti Poccetti), Lionel Manzo, Davide Gregianin e Katy Agnelli (da Michele Lupetti); l’incontro con Carlo era quello conclusivo. Michele ha già parlato dell’iniziativa qui, concludendo con parole che condivido in pieno: «l’idea era ottima e spero sia riproposta, magari in modo più strutturato e con un maggiore sostegno promozionale e logistico da parte dell’Amministrazione Comunale, in futuro. Affiancare qualcosa di ulteriore a eventi ben oliati e di successo come il Premio Sportivo dell’Anno e la Notte Bianca dello Sport è sicuramente utile».
Buonasera, Carlo. Ti abbiamo invitato qui a parlare perché tu sei un importante rappresentante della categoria dello sport a Cortona, anzi un rappresentante vincente perché hai conquistato un campionato italiano della Lega Arcieri Medievali nella categoria “foggia storica con finestra”. La prima domanda che ti faccio è ovviamente: cosa vuol dire “con finestra”?
Ve lo mostro, così facciamo prima. La finestra è un incavo sulla parte esterna dell’arco che diventa l’appoggio della freccia. Quindi in sostanza la freccia non è appoggiata sulla mano, bensì su una parte dell’arco. Negli archi senza finestra manca questo “dente” e la freccia trova appoggio sulla mano.
È più difficile senza? Magari c’è il rischio che la freccia si inclini…
No, è sempre una questione di allenamento.
Tu hai vinto a gennaio scorso, giusto?
Io ho vinto ad ottobre 2016, le premiazioni sono state a gennaio 2017. È un insieme di gare che, attraverso un punteggio finale, mi ha permesso di vincere.
Allora spiegaci un po’ come funziona questo campionato. Tu hai detto che ci sono più gare e si arriva a una premiazione finale all’inizio dell’anno successivo.
Calcola che devi comunque fare una classifica di tantissimi arcieri, è un campionato che va da Padova a Caserta passando per le isole, quindi immaginati quanta gente iscritta…
Ogni quanto si svolgono le gare?
Ogni domenica tra marzo e ottobre sei in gara. C’è un mese più libero, luglio, ma si sta riempiendo, perché le gare aumentano e quelle nuove si collocano in questo periodo.
Quindi all’aumentare delle gare, diventa più difficile mantenere un alto piazzamento.
Sì, ovviamente con più gare ci sono anche più arcieri e quindi è più difficile andare a vincere, però è tutto rapportato.
Mi hai raccontato che un aspetto fondamentale è la capacità personale di seguire più gare possibile, perché tutte le spese sono demandate a voi.
Certo. L’iscrizione non è un gran problema, perché costa undici euro a gara, però a questi vanno aggiunti gli spostamenti: nelle gare più distanti bisogna fare una trasferta di due o tre giorni, comunque a carico nostro, e questo va a incidere. Il materiale stesso, gli archi, le frecce, le manutenzioni, hanno un costo.
Insomma è un grande investimento: di tempo, di soldi… in cambio della gloria.
Diciamo che se ne ricava un gran divertimento, perché bene o male andare in gara è sempre un divertimento, sei tra amici. Se proprio non vuoi, non gareggi.
Non c’è, da quel che capisco, una pressione del risultato.
Grazie a Dio no, non c’è. Non la sento, rimane la passione.
In effetti c’è una cosa bellissima che ho constatato anche l’altra volta che mi sono visto con Carlo: l’idea di sport per lo sport. Il riconoscimento è minimo, giusto?
Il premio finale consiste in una medaglia, quello delle singole gare dipende dal budget degli organizzatori. Sono tutti volontari, e negli undici euro ad arciere deve rientrare il pranzo per chi gareggia e gli accompagnatori, i bersagli, le sagome e appunto i premi.
Da come parli si vede la tua doppia funzione, in quanto con la Compagnia degli Arcieri della Civetta organizzate una giornata di campionato qui a Cortona.
Esatto, noi Arcieri della Civetta organizziamo una data ogni anno, in genere a ottobre, quest’anno a fine settembre. Si tratta di una tappa molto importante, perché è una delle gare con più iscritti. Se non sbaglio è la più ampia dopo San Marino.
Buono a sapersi. Sai il motivo?
Sicuramente la posizione aiuta, visto che Cortona è facilmente raggiungibile da Nord e da Sud. Per esempio i colleghi arcieri di Caserta ci hanno confermato che per loro Cortona è una data fissa.
Mi raccontavi che c’è un grandissimo seguito in Sicilia.
Il campionato è lo stesso, ma visto il grande numero di arcieri siciliani aumentano anche le gare nell’isola. Su trenta gare nazionali, un terzo si svolge lì.
Immagino che raggiungerle sia impegnativo.
Tutte è impossibile, ci siamo stati un anno ed è stata una bellissima esperienza, ma l’impegno è gravoso. Il trasporto arco, una settimana in Sicilia… è una bella spesa.
Ci siete andati con la macchina?
No, noi siamo andati in aereo. Ovviamente l’attrezzatura va spedita una settimana prima. Ho contattato un corriere e mi sono fatto spedire tutto al nostro bed & breakfast. Appena arrivati, abbiamo aperto il tubo con archi, frecce, polistirolo… ti confesso che avevo una paura incredibile. Finché non ho aperto il tubo mi sono portato dietro un’ansia enorme che l’attrezzatura si fosse danneggiata.
A questo punto facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa fai nella vita e come ti sei avvicinato a questa specialità.
Ho 27 anni, sono laureato in Belle Arti e ho due diplomi di interior designer…
Questa cosa dell’essere designer ricordiamocela bene, perché è una formazione che è servita a Carlo nella progettazione dei suoi archi. Un chiaro caso di professione che sposa la passione.
Diciamo che ho trovato qualcuno che è stato in grado di “tradurla” in qualcosa di concreto, cioè Massimo Pierini con cui parleremo tra un po’. Comunque mi sono avvicinato all’arco un po’ per gioco. Ho cominciato a giugno 2012, pochi mesi dopo la nascita del gruppo degli Arcieri della Civetta. Appena ho scoperto dell’esistenza del gruppo, mi sono incuriosito e ho voluto subito provare. Puoi immaginarti che il primo giorno sono stato preso in giro bonariamente, perché su dieci frecce non ho colpito neppure il paglione.
Neanche la fortuna del principiante!
Niente proprio! Veramente una magra prestazione… forse sarebbe stato meglio scaricare l’arco, tornare a casa e smettere del tutto. Invece poi, con un po’ di cocciutaggine, tiri tiri tiri e sono migliorato. Essendo un tiro istintivo non hai un mirino, quindi è l’allenamento che ti permette di raggiungere gli obiettivi. Piano piano, a testa bassa, ci sono arrivato.
Sicuramente incidono molto le variabili: vento, distanza, caratteristiche del bersaglio…
Più che altro le caratteristiche del bersaglio. Il vento incide relativamente poco, perché tiriamo su bersagli distanti al massimo diciotto metri. Più che il vento, crea problemi l’acqua: le frecce sono in legno e con penne naturali, e risentono della situazione meteorologica.
Giocate ugualmente se è molto umido?
Certo, raramente sono state annullate delle gare. Abbiamo anche tirato sotto una bomba d’acqua, a Montopoli. Prima della gara successiva, siamo stati costretti ad asciugare le frecce, una per una, con un phon! L’arco, essendo ricoperto di vernici particolari, risente meno dell’acqua.
Ti crei le frecce da solo?
Fino all’anno scorso le compravo già fatte, da quest’anno mi sono impegnato, con la guida del maestro Pierini, a farmele personalizzate.
Allora penso che sia il momento di chiamare qui Massimo Pierini, per conoscere questo fondamentale momento preparatorio. Immagino che la progettazione sia un lavoro collettivo, in cui anche l’arciere, se poi è un designer come Carlo, apporti un rilevante contributo.
Massimo – Diciamo che ho sempre avuto l’idea di costruire un arco, quando ne avessi avuto il tempo. La passione è nata quando mi è passato tra le mani un legno ben stagionato di olmo, che sapevo essere un legno molto adatto alla costruzione di archi, e così ho iniziato con lo sbozzo di un arco che ho in ditta ed è ancora sano. Poi ho conosciuto Carlo e da lì è iniziato un progetto più ampio, più rifinito, come potete vedere nei due archi che abbiamo portato oggi a farvi vedere: quello con cui ha vinto il campionato e quello nuovo con cui Carlo ha appena cominciato a gareggiare. Carlo è un ottimo designer e con i suoi disegni mi dà un modello di come realizzare l’arco.
Quindi lui ti manda il disegno e vi trovate insieme in laboratorio per rifinire i dettagli. Quanto tempo vi richiede?
Massimo – Solo per i dettagli, con il primo arco abbiamo fatto le 4.30 della notte! Faccio notare che faccio l’impugnatura direttamente sulla mano dell’arciere: stai lì a limare piano piano, finché non sente l’arco ben saldo in mano e in modo che non abbia degli spigoli che possano dargli noia.
In genere, gli altri arcieri hanno l’arco fatto in modo artigianale o comprano quelli “di fabbrica”?
Carlo – Molti lo hanno artigianale, ma molti altri lo prendono fatto in serie, con prezzi che partono da cento euro. Però è chiaro che la qualità si abbassa, sia da un punto di vista di costruzione e tecnica sia da un punto di vista della sensazione: ad esempio quelli “commerciali” vibrano di più.
Massimo – L’aspetto più importante è lo stack, cioè il momento in cui l’arco rilascia la freccia, con la botta che ti arriva sulla mano. Un arco industriale ti dà un forte stack, e dopo alcune decine di lanci può farti male a livello fisico. Questo è dovuto ai materiali e alle curvature.
Sono comunque tutti in legno, gli archi storici?
Massimo – Sì, però mentre sugli archi che ho costruito c’è la fibra di carbonio e i riser [la parte centrale dell’arco, ndr] sono fatti in maniera diversa, su quelli industriali c’è la lamina, che non assorbe bene le vibrazioni. Inoltre gli altri hanno una rastrematura, cioè l’affinamento che parte dal riser e arriva alla fine del flettente, molto più grossolana, essendo molto più piatti.
Carlo – Posso aggiungere che non c’è la cura nella selezione delle lamine.
Massimo – Un altro difetto dell’arco industriale è la torsione: quando l’arciere apre, i flettenti potrebbero avere una torsione dovuta a come sono stati tagliati i legni. Il legno va tagliato secondo il verso corretto, dunque la selezione delle lamine va fatta in partenza.
Carlo – È necessaria la conoscenza del legno, non è che uno si può improvvisare costruttore di archi.
E quali sono le tipologie migliori di legno? Abbiamo citato l’olmo, per esempio.
Massimo – Per le lamine interne io uso generalmente l’olmo e il frassino, che sono dei legni con un’ottima elasticità. Poi si può usare benissimo il bambù, che però non è un legno vero e proprio, oppure altri come il rovere (ma tende a spaccare un po’ di più) e il faggio.
L’importante è che sia sufficientemente elastico.
Massimo – Deve avere un’ottima elasticità: il legno non deve perdere la sua memoria. All’esterno, sul riser, le lamine in bella vista possono essere fatte con il ciliegio, l’olivo o legni pregiati come il palissandro, l’ebano, il padouk… oppure si può usare la fibra in carbonio.
E la differenza tra il primo arco artigianale che avete costruito insieme e quello nuovo?
Carlo – Questo nuovo ha già fatto due gare. Non è diverso solo dal punto di vista estetico, ma anche nell’uso. Dentro al vecchio arco c’era l’olmo e la spinta, la robustezza, era data da una lamina più scura alla vista, di legno azobè. Insomma era tutto naturale, sulla parte esterna c’erano anche il ciliegio e il tasso. Sul nuovo abbiamo deciso di testare il frassino e la fibra di carbonio, quest’ultima in luogo dell’azobè.
Massimo – Poi cambia anche la rastrematura, perché sull’arco nuovo ci sono flettenti più affinati, il che dà maggiore velocità. La curvatura è sempre la stessa perché Carlo si è trovato bene, visto che lo stack è basso. Se un cliente lo chiede, posso proporre tre curvature diverse.
Massimo, adesso produci anche altri archi. Quanto costano, indicativamente?
Massimo – Li faccio per passione. Il costo di un arco artigianale va dal modello “standard” con i legni scelti da me e l’impugnatura basata sulla mia mano, che parte dai 500 euro… poi dipende da cosa vuole il cliente. Si sale sui 1000, 1500… dipende ovviamente da cosa ci si vuole fare. Un arco richiede tra le venticinque e le trentacinque ore di lavoro, e poi si va a salire.
Esiste un mercato per questi prodotti?
Massimo – È un prodotto di nicchia, che riguarda gli appassionati. Ne sono venuti dalla Toscana e da fuori, anche da Caserta.
E come ti hanno conosciuto?
Massimo – Tramite i mercatini che ho fatto nei giorni delle gare, qui a Cortona, a Città della Pieve, a Torrita… È una cosa che mi dà grande soddisfazione, in quanto prima non me ne occupavo e sono in un certo qual modo “autodidatta”, nel senso che non ho ricevuto insegnamento da nessuno su come costruire un arco. Con questa premessa, trovare chi ti conferma che l’arco va bene è una gratificazione ancora più grande.
Carlo, quanti archi hai adesso?
Carlo – In casa ne ho undici. Li appendo a una specie di scudo che mi sono costruito da solo, anche se temo che se Massimo lo vedesse, non lo approverebbe. Però l’ho fatto con amore!
Allora possiamo dire a tutti gli interessati che Massimo Pierini della Fossa del Lupo costruisce archi artigianali.
Massimo – Ovviamente li faccio con il tempo che ho a disposizione, quindi come per tutte le cose artigianali i tempi possono dilatarsi.
Torniamo a parlare della Compagnia degli Arcieri della Civetta…
Carlo – Il gruppo è nato nel 2011, da autodidatti, e autodidatti siamo rimasti. Ogni volta che arrivano ragazzi nuovi, diamo le basi per il tiro, ma visto che il tiro è istintivo e personale, ognuno prende da solo la sua strada sul tiro. Abbiamo fatto anche dei bei risultati, c’è stato un secondo storico nazionale, un terzo storico, una terza foggia storica con finestra due anni fa, un primo posto in foggia storica con finestra… non voglio essere gradasso, ma quando esce la Compagnia, facciamo sempre la nostra bella figura e qualcosa riportiamo a casa. Ricorderò sempre Casperia [provincia di Rieti, ndr] l’anno scorso: partimmo in quattro e tornammo a casa con quattro podi!
E quanti sono gli iscritti?
Più o meno una dozzina.
E vi trovate…
Ogni martedì, giovedì e venerdì dopo cena, alla palestra del Mercato.
Età?
Dai tredici anni in su, finché hai la forza di tenere l’arco in mano. In altre compagnie ci sono anche arcieri ottuagenari! Uno dei nostri ragazzi, Andrea Cottini, ha vinto quest’anno il campionato italiano under 17: ha cominciato l’anno scorso e in un anno è riuscito a vincere il campionato, lavorando molto bene. Sono contento del risultato che ha ottenuto, è stato un vero fuoriclasse.
In provincia di Arezzo siete l’unico gruppo di arcieri storici?
No, assolutamente. Nella città di Arezzo ce ne sono due, poi Chiusi della Verna, Castiglion Fiorentino (anche se fa un altro tipo di campionato), poi, per rimanere nei dintorni anche se fuori regione, c’è anche Perugia. In generale la Toscana e l’Umbria hanno il maggior numero di gruppi di rievocazione storica.
Cosa deve fare chi vuole entrare a far parte della Compagnia degli Arcieri della Civetta?
È sufficiente che venga il giorno delle prove e si metta alla prova. I primi tempi mettiamo a disposizione arco e frecce, poi l’arciere si procurerà l’arco che gli è più congeniale. Ci piacerebbe accogliere anche i bambini, ma è difficile, per questioni come la sicurezza, gli spazi, i tempi… del resto i bambini avrebbero difficoltà a venire dopo cena. Ancora non ci possiamo assumere questo impegno.
Cosa puoi dirci della tappa di campionato che si svolge a Cortona?
Nel 2018 si svolgerà domenica 30 settembre; in genere è la terz’ultima gara. Si tratterà della quinta edizione, perché abbiamo iniziato nel 2013, anche se di fatto quell’anno si trattò di una prova generale: alla fine il presidente nazionale annunciò in cima alle scale del Comune che avevamo passato il test a pieni voti, e Cortona sarebbe divenuta sede di una gara ufficiale.
Se siete diventati la seconda gara con più iscritti solo dopo quattro anni…
In realtà già nel 2014 avevamo quel numero di iscritti, circa 300 arcieri, e un grande timore di non farcela. Disponiamo 18 bersagli, in vari luoghi del centro storico, dall’Ospedale vecchio fino a Sant’Agostino, passando per lo spiazzo delle Carceri sul retro del Comune e di Palazzo Casali. Ogni anno, procediamo alla pulizia degli spazi che ci sono stati assegnati prima e dopo la gara.
E in così pochi riuscite ad organizzare un evento con 300 persone e 18 bersagli?
In effetti ce la facciamo, e alla fine arriviamo alla gara decisamente provati. Be’, ad essere onesti, otteniamo comunque grandi risultati: per esempio quest’anno Massimo è arrivato secondo.
Il campionato di quest’anno è ormai finito.
Con il bel risultato di Andrea campione under 17. Il calendario del prossimo campionato non è ancora pronto, ma la prima gara sarà verso aprile. In genere si svolge il giorno di Pasquetta.
Tu parteciperai?
Sì.
Fino a quando continuerai a tirare con l’arco?
Fino a quando rimarrà un divertimento. Ora lo è: anche quando non è giornata, la prendi sul ridere e rimani. Magari in quella situazione, più che al punteggio, cerchi le prodezze e ti diverti ugualmente.
Così torniamo al discorso iniziale: lo sport come divertimento. In questi giorni abbiamo parlato anche di altri sport e contesti, constatando che spesso lo sport contemporaneo è molto esigente e assorbe completamente la vita dell’atleta, fino a provocargli effetti negativi sul piano fisico e/o mentale. Quindi vedere una passione così forte per uno sport che rende molto in termini emozionali, ma non molto sul piano economico o nella fama, è una cosa che fa un grande piacere.
Ricordo che comunque abbiamo affrontato anche gente esperta, come ad esempio Paola Sacchetti, terza al mondo quest’anno. Più che la tenacia e l’allenamento continuo, ci tengo a ribadire, conta il divertimento. Il giorno in cui il gioco diventerà un impegno o un lavoro, non so come lo vivrò, ma ora me la godo molto di più e sono convinto che lo rimarrà.