Chianciano Terme: positivo il primo bilancio sull’attivazione del porta a porta
Il primo bilancio dell’attivazione della raccolta porta a porta a Chianciano Terme è molto positivo. A pochi mesi dall’avvio del servizio, avvenuto nel giugno 2017, si registrano incrementi progressivi delle percentuali di raccolta differenziata. Che da parte delle utenze (cittadini e attività) di Chianciano Terme ci potesse essere un buon riscontro in termini di risultati a seguito dell’attivazione del nuovo servizio lo si era già intuito dalle partecipate assemblee pubbliche svolte poche settimane prima dell’attivazione in cui cittadini e attività si erano confrontati con gli amministratori comunali e i tecnici del gestore per conoscere tutte le novità. Oggi, a pochi mesi dall’avvio, non si può che constatare la buona risposta e osservare, dati alla mano, l’attenzione e lo sforzo che i cittadini stanno impiegando per abituarsi agli orari ed ai giorni previsti dal calendario e dalle nuove modalità di conferimento dei rifiuti. Anche se i dati non sono ancora ufficiali, dai primi monitoraggi elaborati da Sei Toscana si osserva ad oggi un incremento rilevante per tutte le tipologie di raccolta differenziata. Dal confronto con lo stesso periodo del 2016, si rileva un incremento del 20% per la frazione organica e del 15% per il multimateriale, mentre le quantità di cartone da imballaggi addirittura raddoppiano. Allo stesso tempo si assiste, comprensibilmente, ad una visibile contrazione delle quantità di rifiuto indifferenziato. Se le proiezioni verranno confermate dai dati ufficiali, il comune senese potrebbe raggiungere già nel 2017 una quota di raccolta differenziata sempre più vicina all’obiettivo prefissato dalla legge vigente. A fronte tuttavia dei risultati incoraggianti, si riscontrano ancora delle piccole criticità per le quali è utile chiedere ancora qualche sforzo ai cittadini. Criticità legate in particolare al non rispetto degli orari di conferimento indicati nel calendario di raccolta e previsti dall’ordinanza sindacale n. 33 del 09/05/17 (dalle 6 alle 9 nel centro storico e entro le 7 del mattino nel resto del territorio comunale). Purtroppo si osservano ancora alcuni casi di esposizione dei sacchi a partire dalla tarda mattinata o, ancor peggio, dal primo pomeriggio: un atteggiamento questo che incide sul lavoro del gestore e che comporta conseguenze dannose anche per il decoro urbano. Attraverso una continua attività di informazione l’amministrazione ha intenzione di correggere questi comportamenti, ricorrendo anche ad un controllo più capillare del territorio grazie al servizio di polizia municipale e se necessario mediante l’introduzione della figura dell’ispettore ambientale. Per tutte le informazioni sulle attività di raccolta e i servizi a Chianciano Terme e in tutti i comuni dell’Ato Toscana sud: www.seitoscana.it e numero verde 800127484.
Ecco come vengono gestiti i rifiuti urbani prodotti in Toscana
Tocca quota 47% l’avvio a riciclo, 12% la termovalorizzazione e il 31% in discarica. E ora si apre una fase di cambiamenti: «I prossimi anni, da qui al 2020/21, saranno decisivi»
Nella gestione dei rifiuti urbani i toscani si dimostrano virtuosi. La certificazione giunge dall’ultimo rapporto sui rifiuti urbani di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del ministero dell’Ambiente, pubblicato nei giorni scorsi. La produzione di rifiuti urbani – che aveva già interrotto la discesa nel 2014 – sale di poco anche nel 2016. Siamo tornati sopra quota 2,3 milioni di tonnellate e un valore medio ad abitante di 616 kg/ab/anno, secondi in classifica subito dopo l’Emilia Romagna, che produce 653 kg ad abitante all’anno. Un dato spiegabile dal mix di sistemi di raccolta, turismo e attività produttive con rifiuti assimilati, non certo da un’attitudine toscana allo spreco.
Anzi, il peso elevato di rifiuti pro-capite rende il dato della raccolta differenziata in termini assoluti ancora più interessante e rilevante. I toscani, con 315 kg/ab/anno di differenziata sono in termini di peso allo stesso livello di lombardi, friulani e trentini, che hanno percentuali di RD più alte. Nel caso di carta e cartone per esempio la Toscana raccoglie 76,7 kg/ab/anno, contro i 59 del Veneto e i 56 della Lombardia, regioni leader.
Ispra certifica poi il sorpasso in Toscana dei rifiuti raccolti in modo separato rispetto a quelli gettati nell’indifferenziato. Un risultato che non è solo simbolico, ma che ha anche portata storica. La raccolta differenziata è arrivata come media regionale oltre al 50% (51,1%, 5 punti percentuali in più rispetto al 2015), e il flusso di rifiuti avviati a riciclaggio e recupero di materia è adesso il principale flusso di gestione dei rifiuti urbani: 1,178 milioni di tonnellate. Un risultato fatto di tanti Comuni medio piccoli con tassi di raccolta differenziata oltre l’80% ma anche di città grandi con tassi eccellenti, come Firenze, ormai oltre il 55% e uno dei capoluoghi italiani più performanti.
Anche il tasso di riciclaggio effettivo dei rifiuti raccolti in forma differenziata sta andando nella giusta direzione. Facendo una proporzione con il dato nazionale, la Toscana dovrebbe aver raggiunto nel 2016 circa il 47% di tasso di riciclaggio, vicina quindi all’obiettivo della direttiva europea del 50% al 2020. Un dato che non sorprende, considerato cha la Toscana ospita uno dei più importanti distretti industriali del riciclo d’Europa.
Il sistema di trattamento e smaltimento in Toscana appare ancora “in transizione”, in attesa di approdare ad una configurazione industriale ambientale efficiente e stabile. Quasi la totalità dei rifiuti indifferenziati viene avviata alla rete di impianti di selezione meccanica/biologica (TMB); in Toscana ce ne sono 16 e trattano più di un milione di tonnellate. Ma si tratta di una “lavorazione” intermedia, che ha consentito alla Toscana di rispettare il decreto Orlando, che impedisce da anni di portare rifiuti tal quali in discarica. Ma i rifiuti “trattati” in discarica sono ancora troppi, 710.000 tonnellate, pari al 31% del totale.
L’incenerimento vale 276mila tonnellate, il 12% del totale dei rifiuti urbani prodotti, grazie ai cinque impianti attivi (erano otto nel 2012). Un valore ancora basso, che sconta il mancato adeguamento impiantistico previsto dal Piano regionale e dal Piano nazionale basato sugli impianti di Firenze e di Scarlino, oggi non ancora esistenti o non funzionanti.
Insomma un risultato buono e promettente e una transizione ancora da completare, magari da accelerare nei prossimi anni, aumentando il tasso di riciclaggio oltre il 50%, aumentando il recupero di energia al 25/30% e riducendo l’uso della discarica al 10%, come dice il Piano regionale di gestione dei rifiuti.
Con l’aumentare delle raccolte differenziate aumentano gli scarti di queste lavorazioni (in Italia sono 2,5 milioni di tonnellate su 15 milioni di tonnellate di raccolte differenziate). Questi scarti e il residuo indifferenziato non riciclabile devono essere avviati a recupero di energia, non esiste la strategia “rifiuti zero” nella realtà dei fatti. Per questo contiamo nello sblocco del cantiere di Case Passerini, dopo la sentenza del Consiglio di Stato attesa per dicembre e la riattivazione di Scarlino, per mettere in sicurezza la Toscana ed evitare rischi di crisi rifiuti.
I prossimi anni, da qui al 2020/21, saranno decisivi: l’avvio completo delle gestioni di ambito e degli obiettivi contenuti in quei contratti, l’approvazione della nuova direttiva rifiuti e del pacchetto economia circolare, il nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti e l’avvio dei nuovi impianti di termovalorizzazione. La “transizione” potrebbe concludersi rapidamente, e consentire una gestione sicura, affidabile, efficiente ed ambientalmente sostenibile in questa Regione, accettando la sfida dell’economia circolare e della bioeconomia. Serve una Regione che decide e programma le autorizzazioni rapidamente, una sola ATO regionale (e un’Autorità nazionale) e gestori che vincono la sfida dell’integrazione, dell’efficienza e della qualità.
Auto elettriche e ibride plug-in, le vendite crescono del 60% trainate dalla Cina
Per la prima volta, nel 2017 si dovrebbero vendere più di un milione di unità nel mondo. Quelle delle auto “con la spina” sono percentuali di crescita che fanno ben sperare gli ambientalisti: nel mondo, nel terzo trimestre del 2017 le vetture elettriche a batteria e le ibride plug-in – ibride che si possono ricaricare alla presa di corrente domestica – hanno superato le 287 mila unità vendute, circa il 63% in più rispetto allo stesso trimestre 2016 e +23% a confronto col secondo trimestre 2017. Dati riportati da Bloomberg e che sono determinati dalla crescente domanda di automobili elettrificate in Cina, dove se ne vendono di più in assoluto (seguono Europa – che conta per il 24% del mercato – e Nordamerica): più della metà delle vetture green finiscono nella Repubblica Popolare, dove il loro mercato è raddoppiato. Merito degli incentivi dell’amministrazione pubblica per promuovere la mobilità a basso impatto ambientale: grazie alle agevolazioni economiche, una EV può arrivare a costare fino al 40% in meno rispetto a un veicolo omologo con motore endotermico. L’obiettivo della Cina è combattere l’elevato inquinamento delle sue metropoli e promuovere l’industria automotive locale, con la prospettiva di esportare auto elettrificate nel giro di qualche anno. Secondo le stime di Bloomberg, nel 2017 le vendite di elettriche e ibride plug-in supereranno per la prima volta il milione di unità: un record che beneficia di una crescente rete di infrastrutture di ricarica, dedicate a un numero di modelli via via sempre maggiore e con autonomia più vicina a quella delle vetture endotermiche. Certo è che lo scandalo emissioni diesel ha dato una decisa accelerata al processo di elettrificazione della mobilità e molti governi, come Francia e Regno Unito, hanno già dichiarato che vieteranno la vendita di macchine alimentate a benzina e diesel entro il 2040. Un obiettivo che in Olanda potrebbe essere raggiunto addirittura nel 2030 e presto la lista degli Stati pro-EV potrebbe estendersi: Cina e California (Usa) sono le prime nazioni candidate a farne parte
A 50 anni dalla “Populorum progressio” Nel 1967 papa Paolo VI nella Enciclica “Populorum progressio” denunciava il “malaugurato” sistema che mette al centro il profitto come motore essenziale del progresso economico. Le sue analisi dei grandi problemi mondiali sono rimaste attualissime. Sembrano passati secoli, eppure sono passati solo cinquant’anni dal 1967, quando è stata pubblicata l’enciclica “Populorum progressio”, scritta da Paolo VI. I paesi coloniali stavano lentamente e faticosamente procedendo sulla via dell’indipendenza, sempre sotto l’ombra delle multinazionali straniere attente a non mollare i loro privilegi di sfruttamento delle preziose materie prime; la miseria della crescente popolazione dei paesi del terzo mondo chiedeva giustizia davanti alla sfacciata. Siamo ancora oggi nelle stesse condizioni il grido di allarme del pontefice è andato a vuoto, tutti insieme possiamo riaccendere la speranza di quello scritto perchè il messaggio oggi più che è attuale.
Ricercatori italiani ottengono bio-cemento usando lievito di birra e acqua ossigenato
Il brevetto è nato nei laboratori Enea: consente di ridurre i costi di produzione e di ottenere un prodotto a maggiore sostenibilità. Nei laboratori Enea di Trisaia (Basilicata) e di Casaccia (alle porte di Roma) è nato un innovativo processo – naturalmente brevettato – basato sull’uso di lievito di birra e acqua ossigenata, che consente di ottenere una tipologia di bio-cemento con elevate proprietà di isolamento termico e acustico e di resistenza al fuoco.
«Questa innovazione di processo è ancora di nicchia, ma presenta grandi potenzialità; infatti, le nostre attività di sperimentazione hanno suscitato l’interesse dei soggetti coinvolti nella filiera produttiva del cemento cellulare che hanno voluto contribuire fornendoci gratuitamente le materie prime», spiega il ricercatore Piero De Fazio da Trisaia, con il collega Giorgio Leter – da Casaccia – che aggiunge: «La formulazione di questa innovativa versione del cemento aerato autoclavato è stata possibile anche grazie alla collaborazione tra le competenze di chimica verde dei ricercatori di Trisaia e quelle dei sistemi in vitro ed in vivo dei ricercatori di Casaccia»
Come spiegano dall’Enea, le innovazioni contenute nel brevetto consente di ridurre i costi di produzione e di ottenere un prodotto a maggiore sostenibilità rispetto ai tradizionali cementi “cellulari” aerati attualmente in commercio. Nel processo elaborato dall’Enea, infatti, la polvere di alluminio – un agente aerante molto infiammabile che richiede stringenti misure di sicurezza degli impianti – viene sostituita da lievito di birra miscelato con acqua ossigenata che consente di ottenere un prodotto tecnicamente molto leggero per la grande quantità di bolle d’aria al suo interno, lasciando però inalterate le caratteristiche meccaniche e fisiche del materiale cementizio. I vantaggi economici e di sostenibilità ambientale derivano dall’abbattimento delle spese energetiche e dei costi indiretti connessi alla gestione dell’impianto ai fini della sicurezza e dalla riduzione del numero dei componenti “addizionali” come la calce e il gesso.
10 invenzioni ecologiche, semplicemente incredibili!
Al mondo c’è chi tiene così tanto al nostro pianeta che si è impegnato per inventare cose che possano davvero aiutarci a non distruggerlo. Le loro invenzioni forse non ci miglioreranno notevolmente la vita nell’utilizzarle, ma miglioreranno notevolmente la nostra qualità di vita globale perché sono tutte invenzioni che difendono l’ambiente. Scopriamole insieme!
1) Auto in LEGO ad aria compressa
Ed ecco che un ventenne rumeno costruisce con i famosi mattoncini Lego un’auto totalmente ecologica, che funziona ad aria compressa. La monoposto Hot Rod e` realmente funzionante, può raggiungere una velocità massima tra i 19 e i 27 km/h grazie a un sistema di propulsione di cui è dotata composto da 4 motori orbitali a loro volta formati da 256 pistoncini. Son stati necessari 20 mesi di lavoro e l’impiego di oltre 500.000 pezzi di Lego. Al progetto hanno collaborato 40 persone finanziando il costo totale di 60.000 dollari. Sicuramente questa macchina in Lego non sfocerà in un progetto commerciale, ma realizza il sogno di molti, piccoli e grandi, che giocando con i famosi mattoncini hanno immaginato di costruire un’auto che funzionasse, senza inquinare e senza far rumore.
2) Ombrello ecologico
Un modo nuovo per risparmiare sulla bolletta dell’acqua e` dato sicuramente da questo ombrello ecologico, che permette di raccogliere acqua piovana mentre si cammina per strada.
Un ombrello capovolto inventato in Giappone che raccoglie l’acqua e tramite un tubino di plastica la fa defluire in un serbatoio da portare sotto braccio….certo non è molto pratico camminare con un serbatoio sottobraccio, ma l’idea non è male!!!!
3) Cucina ad energia solare
Cucinare senza inquinare si può! Con l’invenzione del fornello solare che, anziché utilizzare le pericolosissime e dispendiose bombole del gas o l’elettricità, permette di cucinare, riscaldare l’acqua e renderla potabile grazie a dei pannelli solari. Il costo di fabbricazione è di 5 €, bastano un ombrello (o una scatola) e dei fogli di latta per riflettere i raggi solari. Certo non potremo usarlo in una giornata nuvolosa, e purtroppo non è indicato per tutti i tipi di cottura non riuscendo a raggiungere alte temperature, ma è un ottimo modo di cucinare “green” all’aperto, in tutte le giornate di sole!
4 ) Tessuti che producono energia
I vestiti che ricaricano i nostri cellulari…?! Non è solo fantasia, ma un’invenzione che arriva dall’ingegno dei fisici della Wake Forest University (North Carolina-US). I vestiti sfruttano il calore umanoe la differenza di calore che si crea sull’indumento stesso, trasformandola in energia, tanto da poter caricare un MP3 o un 15 % della batteria di un cellulare. Il futuro è veramente alle porte, un futuro più verde!
5) Stampante al… caffè!
Il designer coreano Jeon Hwan Ju ha inventato una stampante che utilizza i residui di caffè e di tè al posto dell’inchiostro, risparmiando così petrolio ed emissioni inquinanti delle stampanti a getto. Anche le stampanti potrebbero esser green ed utili al riciclaggio di residui!
6 ) Acqua potabile dal mare
Maria Telkes, nel 1920, quando all’epoca aveva solamente vent’anni, inventò un sistema di distillazione solare in grado di rendere potabile l’acqua di mare. Il sistema prevedeva di versare dell’acqua salina in uno speciale recipiente ricoperto da una lastra in vetro trasparente, che doveva essere esposto al sole, affinché i raggi solari potessero svolgere la propria azione di depurazione dell’acqua.
Anche uno studente italiano, Gabriele Diamanti, ha brevettato un sistema simile detto dissalatore solare. Questo congegno può generare circa 5 litri di acqua dolce al giorno. Il sistema è chiamatoEliodomestico ed è simile ad una macchina da caffè moka capovolta, dove la parte superiore è riempita con acqua salata, che con l’energia solare evapora e viene spinta verso il basso del forno attraverso un condensatore per essere poi raccolta con una piastra che si estrae dal basso. Diverse famiglie, soprattutto di paesi in difficoltà, potranno dunque avere accesso ad acqua dolce la` dove prima non era possibile.
Infine l’Università di Delft, in Olanda, è riuscita in un intento simile. Tutto si basa sulla tecnologia dei mulini a vento. In pratica raccolgono l’acqua di mare ed esercitando una pressione di 60 bar rilasciano il sale, rendendo potabile l’acqua.
Forse un giorno, nel mondo, non ci saranno più problemi di acqua potabile!
7 ) Batteria al nero di seppia
La batteria ecologica del futuro sarà anche commestibile grazie al nero di seppia. La svolta, nel campo dell’energia sostenibile, è arrivata grazie alle ricerche dello scienziato statunitense Christopher Bettinger alla Carnegie Mellon University (Pittsburgh), attraverso cui è stato possibile realizzare una nuova batteria a base di pigmenti che si trovano, appunto, nel nero di seppia.
La nuova batteria ecologica sarà in grado di offrire una serie di soluzioni interessanti nel campo della sostenibilità ambientale ed energetica. Da un lato, l’assorbimento biologico della batteria commestibile permetterà infatti di diminuire l’impatto derivato dallo smaltimento degli accumulatori convenzionali. L’altro aspetto, riguarda invece la possibilità di applicare la nuova batteria aidispositivi medici riassorbibili di ultima generazione, come quelli per il rilascio dei farmaci o quelli per la stimolazione cardiovascolare.
La nuova batteria commestibile al nero di seppia, per adesso, è ancora un prototipo e non possiede le stesse prestazioni delle batterie agli ioni di litio, ma la ricerca è ancora solo all’inizio.
8) Bottiglie che illuminano
Alfredo Moser, brasiliano, ha inventato una lampadina che funziona senza energia elettrica. Basta una bottiglia di plastica da due litri piena d’acqua e candeggina e ognuno può avere la sua luce, gratis.
La Bulb Solar Bottle sfrutta la rifrazione della luce solare attraverso l’acqua. La candeggina serve a mantenere pulita e trasparente la bottiglia. Bucato il tetto con un trapano, bisogna spingere la bottiglia nel foro e fissare con resina poliestere.
L’energia prodotta dipende dall’intensità dei raggi solari e varia “da 40 a 60 watt” per lampada. È un’invenzione totalmente ecologica che – dice la Bbc – sta illuminando il mondo. Si usa già in quasi un milione di case, per lo più baracche e abitazioni di periferia di persone povere.
9) Riscaldamento a… candele!
Riscaldare una stanza senza consumare gas o energia elettrica: è l’invenzione del giornalista inglese Dylan Winter, che ha ideato un sistema fai-da-te che funziona con quattro candeline, due vasi di terracotta, un vassoio di metallo. Posizionare le candeline accese sul vassoio di metallo. Coprire le candeline con il primo vaso di terracotta, quello più piccolo, da posizionare capovolto. Coprire, usando qualunque oggetto possa servire da tappo, il buco sopra il vaso più piccolo. Sistemare il secondo vaso di terracotta, quello più grande, sopra quello più piccolo. Questo sistema, oltre ad essere super ecologico, ci fa risparmiare notevolmente sulla bolletta del riscaldamento….provare per credere!!!
10) Plastica dalle bucce di banana
Elif Belgin, 16enne di Istanbul, ha vinto il 2013 Science in Action Award con la sua bellissima idea: la giovane ha sviluppato un processo chimico per trasformare le bucce di banana in una bioplastica resistente, sperando di poter contribuire a ridurre la dipendenza dal petrolio.
Ancora una volta le idee per migliorare il pianeta rivolgendo lo sguardo a soluzioni sostenibili vengono proposte dai più giovani.
Elif si è soffermata a riflettere sul fatto che la frutta è Elif Bilgin ha spiegato sul sito ufficiale del concorso: “Il mio progetto è sull’utilizzo di bucce di banana per la produzione di bioplastica in sostituzione della tradizionale plastica a base di petrolio.” La plastica contiene derivati dal petrolio e questi causano inquinamento ambientale. Sostituendo questo materiale con uno eco-compatibile prodotto dalle bucce di banana, non potremo far altro che del bene al nostro pianeta.
Ammettiamo che queste invenzioni, se utilizzate quotidianamente da tutti, aiuterebbero tanto la riduzione di consumi e di inquinamento. Certo non è facile cambiare le proprie abitudini, ma noi crediamo che possiamo provare a prenderci cura del nostro pianeta cosi come lui si prende cura di noi.
Rimaniamo in attesa di scoprire le prossime invenzioni ecologiche, e, perché no, le vostre nuove invenzioni green.
Gusci d’uovo per fare bioplastica: un materiale più flessibile e resistente. La mistura alla quale si aggiunge l’uovo prevede comunque l’utilizzo di un polimero del petrolio
Con i gusci delle uova si possono creare bioplastiche più flessibili e resistenti
Bioplastiche più resistenti e flessibili grazie ai gusci d’uovo: questa la scoperta di un team di ricercatori della Tuskegee University (Alabama) presentata al recente meeting annuale dell’American Chemical Society. Per migliorare la composizione, il team ha creato nanoparticelle composte da gusci d’uovo. Piccoli frammenti di guscio vengono lavati, macinati assieme al glicole di polipropilene e quindi esposti a un processo di lavorazione. Grazie a questa operazione i frammenti si trasformano in minuscole particelle che, aggiunte ai polimeri utilizzati per l’imballaggio, conferiscono caratteristiche interessanti, perché il nuovo materiale è in grado di piegarsi senza rompersi.
La ricerca sui materiali lavora sempre di più per ottenere imballaggi ecosostenibili
«Crediamo che queste caratteristiche, insieme alla biodegradabilità nel terreno, possano rendere le bioplastiche con gusci d’uovo un materiale di imballaggio davvero alternativo», spiega Vijaya K. Rangari, della Tuskegee University.
Il segreto risiede in alcune sostanze presenti nei gusci (carbonato di calcio, carbonato di magnesio, fosfato di calcio) che rendono la plastica fino a 7 volte più flessibile rispetto alle tradizionali bioplastiche. Il gruppo di scienziati ha sperimentato diversi polimeri, trovando alla fine la formula vincente con una mistura al 70% di un polimero del petrolio, il PBAT, e al 30% di acido polilattico (PLA), un polimero derivato dall’amido di mais. Pur essendo basato sul petrolio, il PBAT ha infatti la caratteristica di iniziare a biodegradarsi già tre mesi dopo essere stato inserito nel suolo.
I ricercatori hanno trovato la miscela perfetta alla quale aggiungere i gusci delle uova trattati
La ricerca sulle plastiche biodegradabili è in continua evoluzione come dimostrano le recenti scoperte effettuate da ricercatori della National University of Singapore (NUS) relative a nuovi film biodegradabili a base di chitosano (derivato da gusci di crostacei) e estratto di semi di pompelmo: nuovi materiali in grado di raddoppiare la shelf-life degli alimenti deperibili e contribuire a ridurre l’inquinamento dovuto a rifiuti di plastica. Ecco il video di presentazione.
Lente solare
Una lente d’ingrandimento, un po’ di carta e il sole d’estate: tanto basta perché abbia inizio, senza nessuna fonte energetica, la magia del fuoco.
Dietro si cela un meccanismo fisico abbastanza semplice che però non smette di affascinare generazioni di bambini. Ed è forse a partire da questa fascinazione infantile che ad un geniale inventore australiano è venuta l’idea di sfruttare proprio lenti e sole, per trovare un’alternativa all’illuminazione elettrica durante le ore diurne.
Così è nata la tecnologia di Solatube: “Tunnel solari” – cosi vengono definiti dall’azienda basata in California – che altro non sono che dei cilindri in grado di catturare all’esterno la luce solare, per trasferirla e proiettarla all’interno di abitazioni o capannoni industriali.
Questa “filiera della magia” parte da un qualsiasi tetto: una casa, un hangar, un capannone o un aeroporto poco cambia. Un raffinato sistema di lenti, istallate in una calotta semisferica, cattura la luce solare durante tutta la giornata. Il sistema filtra poi la luce eccessiva d’estate e a mezzogiorno, espelle il calore, e “manda” la luce all’interno di un tubo rivestito con un materiale con la più alta riflettività al mondo. Nel “viaggio” soltanto lo 0.3% della luce viene dispersa mentre il restante 99.7% è pronta per passare attraverso l’ultimo step, che fa si che la luce sia diffusa uniformemente all’interno degli ambienti. La diffusione può infine essere, attraverso un dedicato sistema di filtri, anche ridotta o aumentata a seconda delle esigenze. L’effetto è del tutto simile a quello di una normale lampada elettrica con un interruttore. Ad eccezione di un piccolo, si fa per dire, dettaglio: l’ambiente è pienamente illuminato senza nessun consumo energetico.
Oggi i tunnel solari sono un concentrato di tecnologie brevettate e all’avanguardia, dalla raccolta alla diffusione della luce. Ma dall’idea al prodotto, oggi presente in moltissimi mercati del mondo, il passo non è stato per niente breve. Dal primo brevetto (datato 1986) ad oggi, infatti, ci sono 3 decenni di migliorie.
“All’apparenza – spiega Lorenzo Gallo, CTO di Solatube Italia – la nostra sembra una tecnologia piuttosto semplice, ma in realtà il portato tecnologico è notevole. Sulla calotta montata esternamente c’è un’ottica molto complessa che riesce a catturare la luce anche radente in tutte le stagioni e che blocca la componente nociva della luce naturale, infrarossi e ultravioletti. Quando il sole supera i 55 gradi poi, cerchiamo di mantenere la quantità sufficiente di luce, evitando al tempo stesso l’abbagliamento”.
Le soluzioni tecnologiche diverse sono anche adattabili a diversi tipi di ambienti. Si parte da un tubo di 250 millimetri, adatto a piccole stanze di abitazioni o ad ambienti piccoli fino ad arrivare alle istallazioni industriali, che con un diametro di 750 millimetri riescono a illuminare vaste superfici come stabilimenti, fabbriche o aeroporti.
“Numerosi studi – conclude Gallo – dimostrano come la luce naturale migliori non solo la qualità visiva degli ambienti, ma influisca sulla produttività di chi li vive. Le persone che lavorano con la luce naturale hanno un rendimento maggiore”.
Italia sempre piu’ green
Bianca, rossa e green. L’economia tricolore cresce e si rinnova nel segno della sostenibilità. Negli ultimi anni, le imprese italiane hanno deciso di ridurre il loro impatto ambientale, ripensando alle proprie attività e ai propri processi produttivi in un’ottica verde. Per le aziende, ormai, l’attenzione all’ambiente non è più soltanto una questione d’immagine ma uno strumento utile ed efficace per contrastare la crisi e distinguersi sui mercati di tutto il mondo. Il valore di questo radicale cambiamento è confermato dai dati.
La green economy è a pieno titolo uno dei pilastri della nostra economia, un campo in cui l’Italia dimostra la sua eccellenza nel mondo.
Questo è quanto emerge da Greenitaly 2017, il rapporto di Fondazione Symbolae Unioncamere. Efficienza energetica, materiali di riciclo, sostenibilità dell’intero ciclo produttivo. A partire dal 2011, 355mila imprese del nostro Paese hanno investito in tecnologie verdi per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di Co2, oppure lo faranno nel corso di quest’anno.
La green economy è ormai entrata nel DNA delle nostre aziende che primeggiano per economia circolare su molte altre nazioni europee distinguendosi in diversi ambiti: per esempio, siamo secondi in Europa nella produzione di energia dalla materia prima e ci distinguiamo nella riduzione della produzione di rifiuti. I risultati, dunque, sono più che soddisfacenti. Tuttavia, si può sempre migliorare! Ecco alcune proposte per una transizione ancor più completa dell’Italia verso la green economy.
L’Italia è fra i Paesi europei con il numero più alto di decessi prematuri annuali causati dall’inquinamento atmosferico. Sono migliorate le tecnologie, ma il traffico è rimasto elevato e le emissioni reali delle autovetture diesel e benzina sono risultate maggiori di quelle dichiarate. Questa situazione potrebbe essere risolta grazie a un numero di investimenti per la mobilità urbana. Ci sono molti progetti già attivi che vanno in questa direzione: dalla mobilità condivisa al car sharing, fino alla sempre più crescente diffusione delle e-bike.
Altrettanto utile potrebbe essere puntare sull’economia circolare, incentivando ulteriormente la riduzione della produzione di rifiuti e migliorando la riciclabilità dei prodotti. Infine, bisognerebbe fare della sfida climatica l’occasione per rinnovare il sistema energetico, rilanciando le rinnovabili e l’efficienza. La sfida, a livello europeo, è piuttosto ambiziosa e prevede di passare, entro il 2030, dall’attuale modello di economia lineare basato sulla produzione di scarti, a un nuovo modello fondato sul riuso e sul riciclo delle cose.
L’energia di una maratona
Allenamento, grinta, tenacia. Cosa serve per affrontare una maratona e togliersi la soddisfazione di arrivare fino all’ultimo chilometro? Quello che abbiamo capito, girando per gli stand del Marathon Expo di Firenze, è che ci vuole soprattutto tanta energia. Per questo il nostro racconto parte da un punto strategico: l’Estra Café. È qui che nei giorni immediatamente precedenti alla grande partenza ci siamo ricaricati, dedicandoci alla nostra passione per lo sport all’aria aperta e mettendo alla prova la nostra attitudine atletica.
Procediamo con ordine. Quando pensiamo alla maratona, la prima immagine che si affaccia alla nostra mente ritrae atleti sfiniti ed esausti che oltrepassano soddisfatti la linea del traguardo. Ci sembra che tutta l’energia si sprigioni lì: nella forza e nell’entusiasmo che si provano nel correre quegli ultimi istanti. E invece non è così.
L’energia, tutta quella che un grande evento come la maratona porta con sé, aleggia nell’aria e permea l’atmosfera della città molte ore prima che la gara vera e propria abbia inizio. Sta nell’incontro tra atleti provenienti da tutte le parti del mondo, nella passione che accomuna e avvicina i runner professionisti ai corridori amatoriali.
Noi, tutta questa energia abbiamo cominciato a respirarla al Marathon Expo: da qui sono passati tutti i 10042 iscritti alla maratona per ritirare pettorali e pacchi di gara. A questi, si sono aggiunti tutti i visitatori che hanno approfittato dell’occasione per visitare gli stand e incontrare campioni del mondo dello sport e personaggi dello spettacolo. Abbiamo osservato il loro via vai seduti sulle poltroncine colorate dell’Estra Café. Si sono scambiati dei consigli, si sono confrontati sui tempi di percorrenza, hanno rievocato i ricordi delle maratone passate e parlato degli obiettivi per quelle che verranno.
In tanti si sono divertiti sfidando il batak: un gioco luminoso che mette alla prova i riflessi e tempi di reazione. I piloti di Formula Uno lo utilizzano per allenarsi e trovare la giusta concentrazione alla vigilia di una sfida importante. Estra lo ha portato al Marathon Expo, per offrire ad atleti e agli appassionati di sport la possibilità di testare la propria energia nelle ore immediatamente precedenti alla gara.
Ora, lo abbiamo capito. La grande energia della maratona non sta negli ultimi minuti della corsa ma nelle ore che la precedono: nel bilico tra la voglia di farcela e la paura che sia la fatica a prendere il sopravvento, nella speranza di superare i propri limiti e la volontà di mettercela tutta.
Smart city, facciamo il punto
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Recita così uno dei proverbi più conosciuti e citati che, quando si parla di smart city, sembra trovare conferma nella realtà delle cose. Concept innovativi, tecnologie rivoluzionarie e convegni: nonostante l’interesse e i dibattiti intorno al tema delle città intelligenti siano da anni in fermento, i casi di successo che si registrano in Italia sono ancora pochi.
Questo non significa che la sperimentazione e gli investimenti siano in una fase di stallo. Al contrario, ci sono singoli episodi che lasciano ben sperare. Tuttavia, continua ad avvertirsi la mancanza di una visione urbanistica d’insieme che porti alla realizzazione di progetti rigenerativi su aree urbane dotate di una certa estensione. I quartieri, per esempio, rappresentano la dimensione minima per l’attuazione di interventi che conducano verso risultati tangibili. La strada, insomma, è ancora lunga.
A guidare il nostro Paese lungo questo cammino è Milano che per il quarto anno consecutivo è stata eletta come città più smart d’Italia. Un successo sancito da ICity Rate: la classifica che mette a confronto 106 capoluoghi per valutare quanto siano vicini ai bisogni dei cittadini, sostenibili, inclusive e vivibili.
L ‘assessore alle politiche del lavoro Cristina Tajani si è detta soddisfatta per un riconoscimento «che rappresenta un incentivo in più a porre al centro dell’azione amministrativa l’attenzione all’ambiente, moltiplicando le iniziative di riqualificazione energetica degli edifici e di mobilità elettrica come stiamo facendo anche nell’area pilota di Porta Romana con il progetto sharing cities, in un momento in cui la questione ambientale non è più derogabile».
Nel capoluogo lombardo sono al lavoro anche i privati e, qualche settimana fa, è partito un nuovo cantiere nell’area di Cascina Merlata dove la società Euromilano sta costruendo un comparto di edilizia residenziale: il cosiddetto UpTown. «Sarà un distretto smart – ha spiegato Attilio Di Cunto, ad di Euromilano – lo stiamo progettando mettendo al centro le persone. L’infrastruttura sarà un parco di 25 ettari, il nuovo quartiere sarà alimentato dalla Fibra 1000 e a marzo arriverà il 5G». Gli edifici di questa nuova area urbana, inoltre, saranno caratterizzati dalla completa efficienza energetica, con teleriscaldamento e raffrescamento garantito con sonde geotermiche.
Altre città grandi e piccole sono al lavoro. Poco tempo fa, via abbiamo parlato del caso di Prato e Ancona, capisaldi della presenza di Estra sul territorio nazionale, che sono state individuate da Legambiente come esempi virtuosi da seguire secondo il rapporto 2017 sui Comuni rinnovabili.