Quando fa più scalpore la mancata classificazione italiana ai mondiali 2018 che il gesto fascista di un giocatore con annessa maglietta della Repubblica di Salò durante un‘innocua partita di seconda categoria dilettanti giocata proprio a Marzabotto, teatro della strage del 29 settembre 1944, c’è ben poco da dire sulla natura della nostra coscienza nazionale!
E detto da me che, nutrita a pane e sociologia contemporanea mi definisco una cittadina del mondo, italiana per nascita e cosmopolita per scelta è veramente un paradosso.
Lunedì sera ho assistito basita alle lacrime di Buffon che piangeva ad esclusione italiana oramai decretata, sinceramente dispiaciuto perché riteneva la sconfitta un fallimento e si scusava per la perdita di questa opportunità importante “a livello sociale” per gli italiani.
Aldilà dell’ originale accostamento nella stessa frase delle parole “calcio” e “importanza sociale – ho quasi sputato la cioccolata calda che stavo bevendo – e prendendo per buono il significato puro di “sociale” ossia “ciò che riguarda la società” e non quello di “giustizia sociale” di cui tanto oggi il nostro Bel Paese avrebbe bisogno, i Mondiali sfumati potrebbero essere un duro colpo per la società italiana, la stessa società ancora imbonita da “panem et circenses”.
Dove sono tutti i sostenitori dell’importanza sociale del calcio quando simboli politici tra l’altro vietati dalla nostra Costituzione e lesivi della memoria di quegli 800 morti vengono riproposti a pochi giorni dall’uso dell’immagine di Anna Frank con la maglietta della Roma a scopo offensivo? Dove finiscono tutte le lacrime, le mani al volto, la sofferenza provata durante i 90 minuti di domenica sera nella vita di tutti i giorni? Ce ne sarebbe tanto bisogno fuori e dentro il campo da calcio.