Atai Walimohammad è nato in Afghanistan il 5 gennaio 1996. Dopo aver frequentato la scuola superiore di Nangarhar, si è specializzato in grammatica inglese presso il Kabul English Language Centre. Si è occupato attivamente di diritti umani sin da piccolo ed era ancora un bambino quando suo padre, il medico Atta Mohammad, fu ucciso dalla gente del posto con l’aiuto dei Talebani. Insegnante e Artista di sculture per Atai English Language Centre (2011-2012), ha sviluppato presto un interesse particolare per i diritti delle donne e i bambini del suo villaggio. Fin dai primi anni della sua infanzia si è abituato a vivere a contatto con la guerra, anche attraverso i successi e le sconfitte di suo padre. Nell’anno 2012 è stato accusato dai talebani di essere un infedele e una spia contro l’emirato islamico dell’Afghanistan e subisce un attentato da parte di un comando di talebani. Sopravvissuto miracolosamente all’attacco, inizia una riflessione sulla propria vita, che lo conduce a un radicale cambiamento: depone le armi, chiede e ottiene asilo in Italia, dove inizia un capillare lavoro di informazione e dialogo interreligioso e interculturale. Si è laureato nel nostro Paese presso l’università di ICOTEA in scienza della mediazione linguistica, fa l’interprete e mediatore interculturale con le commissioni territoriali, tribunali, questure e ospedali. Dal 2015 è direttore del centro accoglienza per i richiedenti asilo e rifugiati di Zavattarello, vuole diventare medico come suo padre e si sta preparando per cominciare il corso di laurea in Medicina.
Con Atai abbiamo parlato da vicino della sua vita e del tema dell’immigrazione.
Quali sono le motivazioni che spingono ad andarsene dal proprio Paese? Secondo te tutti coloro che vengono via hanno realmente bisogno di andarsene oppure alcuni se ne vanno per altri motivi?
Come ogni fenomeno, anche l’immigrazione è caratterizzata da motivazioni molteplici e varie. Una delle maggiori spinte ad abbandonare i luoghi natii è senz’altro la povertà: emigrare in un altro Paese rappresenta spesso l’unica via d’uscita a una vita passata nell’indigenza, un modo per migliorare le proprie condizioni cercando un lavoro da svolgere all’interno del Paese ospitante. Altre volte, invece, il motivo alla base dello spostamento è eminentemente politico: dittature, persecuzioni, guerre e genocidi spingono intere famiglie a cercare la libertà al di fuori del proprio Paese, oppresso dai sopracitati fenomeni. Se ci fosse chiunque di noi al loro posto, chi non proverebbe ad andarsene dalla guerra e a chiedere un aiuto ad altre nazioni? Per questo motivo secondo me gli immigranti devono essere accolti ed aiutati non dalla sola Italia, ma da tutti. Questo fenomeno è quasi impossibile da gestire per un unico Paese, ed è un problema che riguarda non l’Italia, non l’Europa, ma l’umanità stessa.
Puoi raccontare come si svolge il cosiddetto “viaggio della speranza”? Quali sono i pericoli?
Le popolazioni straniere che emigrano in Italia comunemente vengono da Paesi arretrati, dove ci sono guerre e persecuzioni religiose, dove regnano povertà e miseria, dove la vita è difficile. Vengono qui coi loro figli compiendo in cosiddetto ‘’viaggio della speranza’’, rischiando tutto, con la consapevolezza che potrebbero anche non farcela, per cercare di dare a se stessi e ai loro figli una vita dignitosa. Durante il viaggio verso la Libia attraverso vari Paesi africani i migranti rischiano di essere rapiti e costretti alla schiavitù. Ci sono molte storie di trafficanti che hanno abbandonato i loro “clienti” tra le dune del deserto, lasciandoli morire di sete.
Una volta in Italia, qual è il trattamento riservato ai migranti? Le cooperative utilizzano i soldi in modo equo oppure qualcuno ci mangia sopra?
In Italia l’accoglienza è un investimento a perdere, le cooperative private non fanno altro che intascare i soldi dallo stato, i richiedenti asilo vengono messi nei centri accoglienza gestiti dalle cooperative private come oggetti e non fanno niente altro che mangiare e dormire. Non ci sono i controlli da parte delle prefetture per vedere se i soldi dati dallo stato alle cooperative vengono spesi davvero per i richiedenti asilo o meno, non vengono spiegati la legge e i regolamenti ai richiedenti asilo e così finisce che ciascun immigrato si comporta come si comportava nel Paese di origine. In Italia gli immigrati non vengono integrati come negli altri Paesi europei.
Come può essere richiesto lo status di rifugiato e da chi?
Chi ha timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche può presentare la domanda alla questura per la protezione internazionale, le commissioni territoriali ci mettono tanto tempo e non danno subito l’appuntamento ai richiedenti asilo. Normalmente ci vuole un anno e mezzo per essere convocato alla audizione presso la commissione. Ogni commissione territoriale è formata da quattro componenti: due rappresentano il Viminale, uno gli enti locali e uno l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite. Ciascuno è in grado di studiare tre o quattro richieste di asilo al giorno. Il procedimento non è semplice: i migranti vengono convocati e sottoposti a un’audizione di almeno un paio di ore. Si cerca di valutare la veridicità delle testimonianze e l’esistenza dei requisiti per ottenere l’asilo. Con l’aiuto di un mediatore culturale si entra nei dettagli, si chiedono particolari che solo chi ha vissuto può conoscere. A fine giornata la commissione si riunisce e le decisioni vengono prese collegialmente. A conti fatti, ogni giorno si riescono ad esaminare circa sedici richieste d’asilo.
E secondo te questa procedura funziona?
La procedura per i richiedenti asilo in Italia deve essere snellita e non dovrebbero metterci così tanto tempo come si sta facendo adesso, l’Italia potrebbe fare come si fa negli altri Paesi europei, dove il tutto avviene più velocemente.
E in generale come vedi l’emigrazione in Italia?
Il sistema dell’immigrazione non funziona e quindi lo stato spende un sacco di soldi, che poi tra l’altro non si sa dove finiscono. Secondo me è lo stato che rende gli immigrati cattivi persone, gli immigrati potrebbero essere utili se gli venissero fatti corsi di formazione e se gli venissero date concrete possibilità per riuscire a integrarsi, altrimenti è un investimento a perdere!
Passando a te, hai una storia molto difficile e nel tuo Paese hai scontato il fatto di essere un “infedele”…
Sono stato accusato di essere convertito al buddhismo, perché nel mio Paese facevo le sculture con la cartapesta e un giorno io e mio fratello Atai Dostmohammad abbiamo deciso di rifare e costruire la statua/scultura di Buddha nel nostro villaggio, quella che era stata distrutta con le bombe dai talebani a Bamyan-Afghanistan. Io sin da piccolo non frequentavo la moschea e sono stato sempre contro i fondamentalisti, come mio papa. nell’anno 2012 abbiamo fatto una grande scultura, che assomigliava tantissimo al Buddha di Bamyan, e quando le persone del mio villaggio l’hanno vista, subito si sono arrabbiate e hanno cominciato a romperla e mentre i ragazzi della nostra scuola la rompevano è arrivato l’Imam della moschea, dicendo all’altoparlante che io non ero più musulmano, perché convertito al Buddhismo, e per questo dovevo essere ucciso con il suo decreto. Da quel giorno in poi fui considerato infedele e non mi sono stato trattato bene sia da mia mamma che dalla gente del posto. Insegnavo la lingua inglese e l’informatica ai bambini del mio villaggio e dicevo spesso all’esercito afghano e a quello degli Stati Uniti, quando venivano a pattugliare, che la gente del mio villaggio non mi mandava più i loro figli ed era stata messa in giro la voce che insegnassi la bibbia e il cristianesimo ai bambini ed ero una spia e una persona speciale per il governo americano. Hanno smesso di mandarmi i loro figli e un giorno hanno bruciato il centro in cui insegnavo con tutto il materiale a me dato dall’esercito americano e afgano. Vennero sia i talebani che le persone del posto per lapidarmi/impiccarmi davanti al pubblico ma per fortuna non ero presente quella notte a casa e purtroppo hanno picchiato mia mamma e il mio piccolo fratello, così tanto che hanno dovuto operarlo ai testicoli. È proprio quella notte che mi sono allontanato da casa e che ho lasciato definitivamente l’AFGHANISTAN.
Chi sono i talebani?
Per me i talebani sono persone addestrate da Paesi stranieri, che li usano per i loro vantaggi, per esempio una volta si chiamava i talebani con un altro nome, “Mujahiddin”, quando i russi invasero l’Afghanistan. gli americani chiamavano i Mujahiddin (talebani) eroi, perché eroi? Perché erano stati creati dagli americani per far sconfiggere i russi e, come scrive Giuletto nel suo libro “Afghanistan anno zero”, gli americani mandavano tramite l’ambasciata pakistana tutti coloro che volevano fare la guerra santa contro i russi in Afghanistan. i mujahiddin erano equipaggiati e sostenuti direttamente dalla Casa Bianca! Hanno creato i talebani per trovare una scusa e per rimanere lì in Afghanistan per sempre, la comunità internazionale è da 17 anni e 9 mesi in Afghanistan e non c’è pace in nessun distretto del mio Paese, quindi non sono venuti lì per portarci la pace, ma per loro motivi, se volessero davvero portare la pace in Afghanistan già ce l’avrebbero portata, ma non vogliono farlo, perché altrimenti gli afghani gli direbbero subito di andare via dall’Afghanistan.
E i media in tutto questo?
I media non danno mai ascolto alle persone che dicono la verità, forse alcuni, ma non sempre! Io non ci credo molto a quello che si sente oggi alla radio e alla televisione, perché quello che sta succedendo nel mio Paese nessuno lo dice, oppure viene raccontato in modo totalmente diverso.
Che cosa fai adesso? Sei riuscito a integrarti bene nel nostro Paese?
Sono un mediatore linguistico/culturale adesso, lavoro presso i centri di accoglienza dell’associazione di promozione sociale Lia. Lavoro coi tribunali, camere di commercio, commissioni territoriali, questure e studi legali. Sto facendo la laurea triennale in Scienze della mediazione linguistica e appena finirò questa laurea comincerò a studiare Medicina, che è sempre stato il mio sogno sin da quando è morto mio papa. Mi sento pienamente integrato e posso dire ormai di sentirmi italiano, adesso l’Italia è la mia patria e non sento la nostalgia per l’Afghanistan come prima. Quando vado all’estero mi manca tanto l’Italia. l’Italia è un bel Paese, solo che dobbiamo lavorare di più per non rimanere indietro.
Stefano Duranti Poccetti