Nel silenzio spettrale, sullo spoglio palcoscenico, battute secche ed improvvise e colpi di tacco sulle tavole, trasmettono allo spettatore le drammatiche emozioni di una vicenda lontana, ma attualissima e da non dimenticare. La strage di Civitella.
Siamo nella primavera 1944. Nei dintorni di Arezzo opera una banda partigiana, la “Renzino”, nome di battaglia del suo comandante: un ragazzo di 25 anni. Composta prevalentemente da giovani del luogo e da prigionieri di guerra scappati dai vicini campi di prigionia, operano in Val di Chiana nelle zone attorno a Civitella, piccolo centro ma importante crocevia tra nord e sud della penisola. Le azioni della banda consistono nel disarmare i tedeschi e nel cercare di recuperare il maggior numero di armi possibili.
Il 18 giugno 1944 un ragazzo di Civitella vicino alla resistenza comunica al comandante Renzino la presenza di quattro tedeschi all’interno del circolo dopo lavoro del paese. Dopo molte pressioni da parte del giovane, il comandante decide di intervenire. I tedeschi reagiscono. Colluttazione. Sparatoria. Morte di 3 soldati germanici.
Il 29 giugno 1944 c’è una feroce strage da parte dei tedeschi che porta all’uccisione di più di duecento persone: La strage di Civitella Cornia e San Pancrazio.
È da questa storia che parte il testo di narrazione di Matteo Malfetti e Andrea Ferri, affrontandola con la coscienza di chi sa che questi ragazzi stavano facendo “quello che si poteva fare”. Un racconto in cui non ci sono né eroi né vincitori, un racconto in cui è l’errore umano di valutazione, di inesperienza, di presunzione che rende i protagonisti così vicini a chi ascolta, sebbene così lontani nelle situazioni: questi ragazzi vengono infatti messi nella condizione di dover affrontare una battaglia per sé e per gli altri, per noi si direbbe, decidendo di mettere la testa fuori dalla propria tana esponendosi così a pericoli e rischi inimmaginabili per dei ventenni: primo fra tutti quello di sbagliare. Ma senza sbaglio non c’è crisi. E senza crisi non c’è movimento. E senza movimento non c’è Libertà.
Un testo nato dal lavoro attoriale e dal bisogno di raccontare: raccontare per ricordare, raccontare per custodire, raccontare per imparare. Andrea e Matteo, prima ancora di essere autori, interpreti e confezionatori dell’allestimento, sono due spettatori: sanno bene che una tragica vicenda come quella di Renzino ha bisogno di un vestito, ha bisogno di un sorriso, ha bisogno di poesia: è questa la direzione che hanno dato al loro lavoro. Attraverso un narratore grottesco, un ritmo incalzante e una regia ridotta all’essenziale ci portano all’interno del ricordo, delle situazioni e delle dinamiche di quei giorni difficili e bisognosi di qualcuno che potesse prendersi la Responsabilità di agire, di muovere, di sbagliare. Lo spettacolo è andato in scena in anteprima nazionale al teatro Vittorio Gassman di Ripi (FR) nel 2016, successivamente è stato rappresentato in altri luoghi di interesse culturale come il Teatro Dell’Orologio di Roma, al M.O.A Art Museum di Eboli (SA); nel panorama Aretino, invece, ha calcato il palcoscenico del Teatro Comunale di Laterina.
23 GIUGNO ore 21,00, Teatro SIGNORELLI, Cortona (AR)
“El mi cittino”
Di Andrea Ferri e Matteo Malfetti