Visto il riaprirsi (ennesimo) del tema e il rinnovarsi di speculazioni politiche che approfittano della scarsa informazione dell’opinione pubblica offro un veloce riepilogo delle modalità riguardanti la gestione della questione – profughi richiedenti asilo, ribadendo nuovamente ruoli, competenze e passaggi. L’arrivo di persone in Italia da altri stati extra-comunitari, uomini e donne che dopo lo “sbarco” fanno richiesta di poter restare nel nostro paese adducendo motivi legati alla loro sicurezza personale e alle loro libertà civili è purtroppo una costante salita in termine numerici negli ultimi mesi, tanto da essere affrontata con l’ideazione di un particolare ‘modello’ di comportamento.
Un modello che funziona così:
1) I profughi, dopo un periodo iniziale necessario per le prime formalità, vengono trasferiti nei territori e affidati a soggetti privati (cooperative e altro) che poichè hanno vinto appositi bandi si occupano, sotto la propria responsabilità, di alloggiarli e fornire loro assistenza su ogni fronte (sanitario, legale ecc ecc).
2) Tali soggetti (cooperative e altro) recepiscono autonomamente abitazioni e/o altri luoghi in cui poter ospitare i profughi, utilizzando spazi propri o affittandoli da privati. I profughi nel frattempo attendono il responso alla loro richiesta di poter restare in Italia, che arriva non prima di alcuni mesi (anche un anno). In caso di responso negativo è possibile per loro presentare appello. Se il responso negativo è confermato termina il compito dei soggetti che li hanno in affidamento, e devono lasciare il paese.
3) Una volta predisposti i luoghi di accoglienza sono le Prefetture a gestire gli affidamenti. La regola da rispettare è quella dei tetti massimi per le varie aree territoriali, in particolare per i Comuni. I tetti massimi sono commisurati a vari elementi fra cui il più importante è la popolazione del comune.
4) Nel momento dell’affidamento alla Cooperativa viene data comunicazione al Comune, che ovviamente non può eccepire nulla e può solo limitarsi a prenderne atto.
5) Non vi sono obblighi particolari nei rapporti fra soggetti affidatari e Comune e questi vanno quindi costruiti in base alla sensibilità e disponibilità di entrambi.
6) I soggetti affidatari ricevono dallo Stato una cifra quotidiana di circa 30 euro per l’assistenza di ogni migrante (in cui rientra tutto: sostentamento, acquisto di vestiario, cure mediche, spese legali, spese per spostamenti, attività varie ed eventuali ecc. ecc.), di cui una piccola parte (2.50 euro) viene consegnata dagli affidatari ai profughi (il cosiddetto “pocket money”).
N.B. Un modello alternativo, ma poco diffuso, è poi quello della gestione diretta da parte dei Comuni: in quel caso è il Comune che recepisce i luoghi (o utilizza luoghi di proprietà comunale) dove ospitare i profughi.
Dalle nostre parti i profughi sono arrivati alla spicciolata, ma il loro numero è progressivamente aumentato avvicinandosi in molti Comuni ai “tetti massimi”.
I soggetti che li hanno in affidamento (in buona parte cooperative o consorzi di cooperative operanti abitualmente e da molti anni nel nostro territorio, in campi affini) si sono mossi principalmente affittando piccole abitazioni, in alcuni casi in aree isolate, ma più spesso all’interno di centri abitati. Ovviamente a contare è stata la possibilità di trovare abitazioni disponibili e proprietari disposti ad affittarle. Nelle abitazioni i profughi sono solitamente in piccoli gruppetti, da 6 fino a circa 10.
Non si sono segnalati finora problemi particolari sul piano dell’ordine pubblico legati al comportamento dei profughi, nè tantomeno a quello dei cittadini.
Che può fare un Comune? Prima di tutto, come detto sopra, cercare il più possibile di tenere rapporti con Prefetture e soggetti che hanno in affidamento i profughi, così da avere un costante monitoraggio della situazione. Può poi attivarsi, attreverso progetti condivisi con altri enti, per trovare attività di utilità sociale con cui occupare i profughi. Poi c’è il tema dell’integrazione e dell’incontro. Per questo sono auspicabili iniziative e ci permettiamo di suggerire (sapendo che già l’idea circola) momenti solidali in cui i profughi, che in molti casi conoscono bene la lingua inglese e francese e nel loro periodo di permanenza studiano anche l’italiano, possa presentarsi, raccontare le proprie storie, incontrarsi con i loro nuovi “vicini di casa” e con la comunità che li ha accolti.
E’ dalla conoscenza e dal rapporto diretto che si genera la comprensione e la tolleranza. Nell’ignoranza, nel sospetto e nella disinformazione proliferano invece, oltre che le speculazioni politiche, timori e paure che in questo momento davvero non possiamo permetterci.