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Visto che sono tornato fra le mura amiche questo weekend e non si parlava d’altro che del servizio di Italia 1 sulla “movida” giovanile aretina e ci si sforzava di individuare le 4 ragazzette che hanno guidato la giornalista nel suo reportage, letto anche il bell’articolo di Luca Trippi, penso che sia il caso di fare un commento sul tutto. Per prima cosa non condivido l’idea che Arezzo sia tanto diversa da altre città e che la gioventù aretina sia “la peggio”: i comportamenti dei giovanissimi si assomigliano un po’ ovunque, i valori e l’intelligenza sono ovunque ormai rasi al suolo, l’abuso di alcool e droghe, i pavoneggiamenti al maschile e gli sgallettamenti al femminile sono all’ordine del giorno.
Vista Firenze posso dire che la situazione dei 14-15-16enni è più o meno la stessa di Arezzo, sia sul piano dei comportamenti che dei ragionamenti. Soprattutto a serpeggiare è la violenza, fisica ma soprattutto verbale; una forza inesorabile e un’abitudine sempre più collettiva che fa da sfondo a qualsiasi azione che si compie da soli o in gruppo, crea uno stato di continua pressione e rende la vita impossibile per chi non riesce ad adeguarsi a questo modo di comportarsi. Se è stato a volte difficile per me, verso i 15 anni, essere integrato nel mio gruppo di coetanei, non oso immaginare quanto sia difficile adesso per un ragazzo assolutamente normale che abbia un minimo di sale in zucca, non si droghi, ripudi la violenza fisica e verbale, non ami particolarmente farsi bello e mostrare le proprie presunte ricchezze, apra ogni tanto un libro, sentirsi “dentro” le cose.
Quello che peggiora la situazione aretina, e qui lo dice anche Luca Trippi, è probabilmente il fatto di essere una città sostanzialmente impermeabile anche per l’assenza di scambio culturale con altre realtà che potrebbe arrivare da una dimensione tipo quella universitaria. L’università infatti c’è, ma non crea quelle situazioni di “melting pot” che si vedono a Siena, Firenze, Perugia e permettono, da una certa età in poi, di avere una realtà composita che permette ancora di trovare la propria nicchia di salvezza. In fondo le compagnie sono come i canali televisivi: da piccolo ti ritrovi dentro una di esse e ci stai a forza, il paese è minuscolo e non hai alternative, crescendo puoi avere la possibilità di scegliere fra più opzioni perchè qualcosa si allarga. Ad Arezzo però, anche crescendo, ti senti sempre chiuso nel solito buco senza via d’uscita.
Sui motivi delle sterminate e incolte praterie mentali viste nel servizio di Italia 1, in sè realistico (non condivido chi parla di cialtronata giornalistica, anche se ovviamente è un servizio molto “ad effetto”) per me c’è poco da discutere. Da nipoti di poveri che si sono arricchiti negli ultimi decenni (è la realtà di buona parte del nostro paese, specialmente dell’Italia centrale) tutti questi ragazzetti si sentono chissà per quale motivo superiori agli altri e in diritto di avere qualcosa più degli altri; vogliono per forza essere o diventare qualcuno. Se sicuri non ci si sentono perlomeno vogliono far credere di sentircisi, tutto questo perchè la cultura della finzione stravince e galleggia in un mondo fatto di ignoranza sempre più diffusa. Ecco quindi che contrariamente a quello che può pensare un esterno nel mondo giovanile la mentalità utilitaristica è la regola: nessuna cosa è fatta a caso, non si fa niente per nulla, tutto rientra in uno schema logico e deve produrre un qualche risultato, anche il comportamento apparentemente più idiota è fatto per un fine ben preciso. Perchè anche ubriacarsi o andare di fuori con qualche pasticca può servire a costruirsi un personaggio.
La cosa più triste di tutto il servizio è però rendersi conto di come non ci sia più in nessuno una nemmeno minima speranza di cambiare e che si accetti passivamente anche le cose peggiori, tipo il ricatto sessuale all’adolescente “se non fai quello che diciamo noi andiamo a dire ai tuoi che fumi”. “Che ci vuoi fare, è così”. Io questa frase la odio, e sentirla pronunciare da superbulli che sembra vogliano spaccare il mondo la dice lunga sulla loro reale entità.