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“Paganini non ripete”, chi è che non conosce questa frase popolare? Questo detto ebbe origine nel 1818 quando il violinista, in concerto al Teatro Carignano di Torino, rifiutò a Carlo Felice, re di Sardegna, il bis di un brano rispondendo proprio: “Paganini non ripete”. Il governatore s’infuriò e gli vietò di eseguire il terzo concerto in programma. Il famoso musicista nacque a Genova il 27 ottobre 1782 e morì a Nizza il 27 maggio 1840.
Va detto che era logico che egli non potesse ripetere i suoi brani, poiché era un improvvisatore e amava improvvisare. Ebbe una preparazione musicale quasi da autodidatta, sia per quanto riguarda l’esecuzione che la composizione, ma quando cominciò ad andare in giro per l’Europa a dare concerti molti si accorsero delle sue grandi abilità virtuosistiche, della sua capacità di usare in un modo tutto nuovo e onomatopeico lo staccato e il vibrato. Ai più grandi musicisti romantici, da Liszt, a Schumann, a Brahms, il violinista italiano non passò inosservato e ciascuno di loro dedicò uno spazio del loro repertorio a Paganini. Da Liszt, che trascrive per pianoforte “La campanella”, a Schumann e Brahms, che inventano sui temi dei “capricci” del maestro suggestivi studi e variazioni. Niccolò Paganini, insomma, che ha vissuto proprio tra le due epoche: 700’ e 800’; illuminismo e romanticismo, è stato uno degli araldi di quest’ultimo e, nonostante tutte le critiche odierne, che ne fanno un mero virtuoso ed esteta dello strumento, non si può non riconoscere nella sua musica una profonda vena sentimentale e spesso malinconica. Paganini va saputo ascoltare, bisogna andare oltre il suo strumento e scoprire l’anima e il cuore del musicista, che sembrano tutt’altro che freddi, ma anzi pieni di sbalzi emozionali. Tante voci e leggende girarono sul suo conto. Era un giovane malato di sifilide e la sua faccia si diceva fosse deformata, la sua musica era considerata anche per questo diabolica; si diceva che fosse stato in prigione e che in cella avesse rotto tutte le corde del violino, meno una: quella di SOL, e lui avrebbe continuato imperterrito a creare melodie solo su quella; a sei anni aveva rischiato di essere sepolto, perché lo pensarono morto a causa di un malanno, ma si risvegliò poco prima che fosse gettato nella fossa; un giorno entrando in una locanda non lo vollero lasciar passare, perché credevano fosse un suonatore ambulante. Tanti allora gli aneddoti su di lui, la cui concatenazione dà vita alla leggenda su un suo faustiano patto con il diavolo. Tutto questo è Paganini, questo è il mito di Paganini, uno di quei miti che non saranno più, per il semplice fatto che i media, la elevata possibilità di reperire informazioni su di una persona non lasceranno più quel mistero e quella libertà di creare un mito. Paganini è un mito e mai più tornerà; è proprio vero: Paganini non ripete.Consiglio per l’ascolto, a parte i famosi “24 capricci”, i “6 concerti per violino e orchestra”.
Stefano Duranti Poccetti