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Antonello Piroso, che io già seguivo ai tempi non sospetti di Omnibus, è obiettivamente uno dei pochi conduttori che si salvano nel panorama televisivo di oggi. Va detto che anche Piroso – forse proprio perché è giornalista? – ha i suoi difettucci: è un po’ pieno di sé, nel discorso accavalla a volte confusamente subordinate su subordinate, va in estasi quando entra nell’autoreferenzialità del settore giornalistico, perde tempo sulla storia privata sua e dell’intervistato facendo spesso annoiare lo spettatore.Ma grazie proprio a questi fattori, e a un grande carisma, gli incontri come quello con Antonio Sallusti sono chicche da non perdere per chi, come me, ha il gravissimo vizio di voler andare per forza alle radici.
Piroso, incalzando di domande il direttore de Il Giornale, ha centrato tutta l’intervista sulla questione: ma è vero che Il Giornale attacca tutti quelli che parlano male di Berlusconi? Al che Sallusti ha risposto candidamente: “Sì, è vero”. Piroso stesso è rimasto spiazzato da cotanta sincerità, tanto che si è dimenticato di fare la domanda ovvia che sarebbe seguita (Perché lo fate?), domanda alla quale però il bravo Antonio ha risposto indirettamente più tardi, con un ragionamento che si potrebbe sintetizzare così: “E’ fuori discussione che l’informazione sia cambiata. La proliferazione dei media e l’avvento della Rete hanno provocato il bombardamento di notizie. Recepire la notizia oggi si può fare dovunque e velocemente. Ecco perché i giornali stanno cambiando: non più notiziari, ma un’istituzione che attraverso opinioni forti difende e fortifica i valori di una certa categoria sociale, nel nostro caso la cultura liberale. Noi abbiamo pubblicato 50 prime pagine su Fini perché lo volevano i nostri lettori, i lettori che si sentivano tranquillizzati nel vedere il loro traditore in difficoltà”.
Certo, Biagi e Montanelli si stanno rivoltando nelle tombe, gli autori dei manuali universitari sicuramente hanno un collasso a sentire queste parole, ma come si può dargli torto? Come ha giustamente sottolineato il buon Piroso, informarsi attraverso i giornali implica che io la mattina vada in edicola e chieda, dietro il pagamento di 1 euro, il giornale che piace a me. Non è che come accendere la tv alle 8 di sera, questa una scelta consapevole.
È assodato che Repubblica stia diventando ormai l’unico ente politico e culturale di sinistra, ebbene: che male c’è? Nell’era di Internet, di Facebook e di Leggo, un buon giornalista non deve più informare, ma deve selezionare le notizie che più ritiene giuste e magari anche giustificarle. Un buon giornalista può anche confondere “giuste” con “che piacciono al pubblico”, perché volere o volare viviamo in una società di mercato. Ma un buon giornalista non può consapevolmente selezionare e/o modificare le informazioni AFFINCHE’ – valore finale – piacciano al pubblico.
Eccoci! Abbiamo trovato l’anello rotto della catena. Le inchieste ad personam costruite dai nostri giornali sono come la morbosità che si crea attorno ai casi di cronaca. Può non essere accettata dalla deontologia classica, ma al pubblico piace, quindi turiamoci il naso e votiamo. Diversa cosa sono le campagne di fango create ad hoc, e pubblicate volutamente in momenti strategici perché acchiappano di più l’attenzione: queste somigliano invece a quei casi di cronaca che, per alcune caratteristiche, si sa che entusiasmano la massa e quindi vengono ingigantite ancor prima che diventino una vera notizia. Le gemelline scomparse, proprio in quanto gemelline e in quanto belline, sono state un terno al lotto per i giornalisti. Delusione invece per Yara, i cui genitori si sono fin dall’inizio chiusi stoicamente in un silenzio di tomba e non hanno dato materiale sul quale Lamberto Sposini avrebbe potuto lavorare.
Ma che c’entra la cronaca con Repubblica? C’entra eccome: apprezzo l’inchiesta sulle orge di Berlusconi, ma il troppo stroppia, non accetto che il ferro si batta anche quando è tiepido, gli stessi articoli ripetuti per più giorni sono una bestemmia alle regole dell’informazione e a lungo andare Ezio Mauro non è certo migliore di Antonio Sallusti.
Firmato: un ragazzo di sinistra e fan di Repubblica