Vorrei ricordare una grande persona: Don Giovanni, Arciprete della Collegiata a Castiglion Fiorentino. Don Giovanni se ne andato troppo presto, persone come Lui meriterebbero di vivere molto, molto più a lungo. Il motivo è semplice, Don Giovanni ha fatto parte di quella schiera di uomini che aggiungono qualcosa di buono alla comunità in cui vivono ed operano. E queste persone sono rare e per questo preziose. Personalmente credo di aver appreso da Lui molte cose. Ho avuto la ventura di iniziare il mio impegno di amministratore a Castiglion Fiorentino circa due anni dopo che Don Giovanni da Anghiari era stato trasferito alla parrocchia della Collegiata. Per cui si può dire che il nostro viaggio dentro la comunità castiglionese è iniziato quasi insieme.
Dal 1993 è passato un bel pò di tempo e molta acqua è passata sotto i ponti, tanti accadimenti, tante novità, un mondo intero che è cambiato sotto i nostri occhi. La sua vicinanza mi è servita, i colloqui con Lui mi hanno aperto gli occhi su molte cose e soprattutto mi ha molto aiutato la sua umanità in cui si fondevano una grande cultura ed una altrettanto grande disponibilità all’ascolto. Venivamo da esperienze diverse, da percorsi che partivano da punti differenti. Eppure, io da amministratore e Lui come prete, ci siamo ritrovati a percorrere una bel tratto di strada insieme, quella che strada che, pur tra mille difficoltà e contraddizioni ha, come fine ultimo, quello che ormai in molti definiscono il “bene comune”. Mi ricordo ancora una sua omelia dove, parlando appunto dei rapporti tra società ed istituzioni, indicava una strada che non era solo quella di costruire una armonia tra popolo e istituzioni ma di dare vita ad una melodia, cioè realizzare un accordo pieno che alla fine concretizzasse, nel risultato, gli obbiettivi egli scopi dell’agire. Negli ultimi tempi, pur tra le sofferenze dovute alla sua malattia, un pensiero lo angustiava ed era quello delle difficoltà economiche di molte famiglie e della mancanza di lavoro per tanti giovani. Capiva che questa situazione poteva rapidamente trasformarsi in disagio sociale, un disagio dove rischiavano di prevalere gli egoismi, l’individualismo più deteriore, la frantumazione dei collegamenti sociali, la disperazione. Con un pericolo reale di regresso verso forme “primitive” di rapporti tra uomini e uomini e tra popolo ed istituzioni. Abbiamo parlato a lungo di questo e tutti e due sentivamo forte la necessità di fare qualcosa, pur nella oggettiva difficoltà per un prete ed un Sindaco di poter cambiare il corso di una storia che nasce ben lontano dalle nostre case e dalle nostre comunità. Ma qualcosa si poteva e si doveva fare. Da qui l’idea di un diverso rapporto tra Comune e volontariato, l’idea di costruire un legame più forte che tenesse insieme, a vari livelli, la nostra comunità, un sostegno, discreto ma concreto, a chi effettivamente aveva bisogno di aiuto. Qualche risultato l’abbiamo raggiunto. Don Giovanni non era soltanto teoria era anche pratica. Credo davvero che mi mancheranno le sue discussioni e le lunghe telefonate, però di una cosa sono sicuro, la figura di Don Giovanni rimarrà scolpita non solo nel cuore di coloro che lo hanno conosciuto ma anche nella storia della nostra comunità