Voglio dirlo subito, a scanso di equivoci. Il libro di cui vi parlo oggi, Mescolo tutto di Yasmin Incretolli, è per me un enigma. Perciò se vi aspettate un suggerimento critico ben definito e basato su una qualsiasi certezza nel bene o nel male non andate oltre. All’inizio ho pensato che potesse dipendere dal fatto che l’autrice ha solo 22 anni e quindi è troppo lontana dalla mia età (purtroppo) perché io possa immergermi fino in fondo nel brodo di coltura esistenziale da cui nasce il linguaggio e il sentire comune alla sua generazione.
Sì, ci ho pensato, ma poi ho finito per scartare questa motivazione, un po’ perché non mi va di sentirmi vecchio, ma soprattutto perché, se la distanza temporale tra scrittore e lettore fosse una valida discriminante in letteratura, non potremmo continuare a leggere Omero o Virgilio o Dante Alighieri. Anzi mi sono ricordato di avere sempre creduto il contrario e cioè che il vero banco di prova dell’arte sta proprio nel suo valore universale che prescinde, per definizione, dalle categorie di tempo e spazio entro le quali viene concepita e prodotta.
Allora perché, chiudendo le pagine di questo libro, sono rimasto così perplesso e combattuto tra sensazioni contraddittorie?
Cominciamo dalla trama: “Maria è un’autolesionista di diciannove anni, ossessionata dalle parole; Chus un teppistello di venti. Si incontrano fra i banchi di scuola: comincia come infatuazione, continua come gioco a base di parafilie, finisce per diventare dipendenza. Quando lui abbandonerà gli studi, chiudendo la loro relazione, Maria si darà alla fuga verso il nord del paese, incontrando bizzarri personaggi, tra cui una troupe di ragazzini ricchi e viziati che libererà la sua propensione all’estremo”.
Allora, ancora una volta una storia di emarginazione giovanile e di sconfitta, ambientata in una scena di dissoluzione familiare, in cui l’amore non esiste se non in una dimensione plumbea, fatta di dramma e dolore fisico e spirituale. Il tutto condito da una sessualità esplicita e (tanto per cambiare) perversa, tanto da creare un’atmosfera morbosa e asfissiante.
Parrebbe così, ma non è solo così.
Mi spiego meglio: non si può negare che la storia ricalchi alcuni stereotipi cari alla letteratura nostrana che – almeno a partire da Foscolo, passando per Leopardi e poi da Svevo fino ai giorni nostri – si è intestardita nel raccontare le mutevoli angosce del solito anti-eroe fragile e disperato, precipitando alla fine dentro abissi talmente profondi da risultare a volte perfino caricaturali. In questa linea di discendenza, che peraltro continua a riscuotere un certo successo e ammette solo rare quanto notevoli eccezioni, si iscrive certamente, a mio modesto giudizio s’intende, anche il romanzo della Incretolli.
Se fosse tutto qui però non varrebbe neppure la pena di recensire questo libro e sarebbe stato più comodo e meno faticoso consegnarlo direttamente all’oblio (sempre per quel poco che mi compete ovviamente).
La verità invece è che ci sono due aspetti meritori che si respirano costantemente tra le pagine di quest’opera e che hanno finito per riscattarla completamente ai miei occhi, così da convincermi, al di là di ogni altra considerazione, a raccomandarvene caldamente la lettura.
Il primo è la freschezza della voce narrante, che conserva per l’intera lunghezza del testo un evidente accento di veridicità capace di conquistare il lettore anche nei passaggi più controversi e meno realistici. Il secondo, e più importante, è costituito dallo stile rotto e sincopato in cui qualcuno ha creduto addirittura di rinvenire reminiscenze degli scrittori della cosiddetta “beat generation” (Burroughs soprattutto). Sia come sia, una cosa è certa e cioè che attraverso di esso l’autrice porta a compimento un interessante processo di mimesi tra parole e contenuto, in cui il secondo si rispecchia nel primo e viceversa, costruendo una sorta di rapporto incestuoso tra significato e significante capace di comunicare tutta l’angoscia esistenziale che è, almeno a mio parere, il fulcro centrale del racconto.
La somma di questi due aspetti costituisce la cifra del talento della scrittrice che pur essendo ancora in divenire (e data la sua giovane età non potrebbe essere altrimenti) è già evidente e lotta per uscire definitivamente allo scoperto come certe figure classiche del famoso non-finito michelangiolesco.
Insomma un’opera prima, quella di cui abbiamo parlato, che potrebbe non essere solo una meteora nel nostro panorama letterario e una scrittrice sicuramente dotata che però è chiamata a confermarsi e a migliorare. Chi vivrà vedrà, nel frattempo leggetela