(Scrivere un pensiero su Expo – che non per forza debba avere la pretesa di definirsi recensione – significa scrivere un poema. Forse, per non dimenticarsi di nessuno, sarebbe meglio scrivere un commento per ogni padiglione. Ma per sua stessa natura l’Expo è uno, l’Expo è totalità, quindi “spacchettizzare” il sito è ingiusto. Ammiro i giornalisti e i commentatori che riescono a dare un giudizio completo su questo immenso carrozzone nello spazio di un editoriale, io me ne tiro fuori. Tento e spero di farmi furbo: bypasso il problema con la formuletta del “diario”)
Day 1
Viaggio misto macchina+treno Rogoredo/Rho: una combinazione nata quasi per caso e cervellotica che però forse è la più efficace e comoda (si evita il costo del parcheggio e allo stesso tempo si evita il costo esorbitante dei Frecciarossa: grazie Enrico). Ingresso alle 12 da Triulza, già non c’è più fila. Nell’isola Expo (tutta l’area è circondata e attraversata da un canale e dei laghetti, pare che sia fatto apposta, il flusso d’acqua rilassa) il sole appena filtrato dalla foschia illumina delle strane statue di materiale sintetico e il Padiglione Zero. Non c’è un albero, non ci sono coperture. Dopo appena 3 minuti abbiamo già comprato il finto passaporto.
Lo Zero, essendo quasi per tutti il primo, è subito mitragliato di foto. Il gigantesco maxischermo che incessante proietta l’andamento della borsa del cibo, come fossimo a Wall Street, è lungimirante e profetico: qui tutti parlano di alimentazione ma lo fanno in una lingua che è arabo per i nostri nonni agricoltori. La ricorderemo a lungo, questa considerazione.
Si esce e via di fretta nel decumano, dove iniziamo a fare quello che faremo per altre 24 ore: camminare. Il decumano sembra il campo di calcio di Holly e Benji, non si vede mai la fine. Però è pulito, incredibilmente pulito da cicche (vietato fumare) e cartacce, ben riparato (benché la tettoia sia discretamente oscena) e purtroppo costellato da blasfemi banchini pieni di cibo finto. Uno dietro all’altro Angola e Brasile, poi di corsa nei cluster esotici. Piano piano si intuisce che esternamente quasi tutte le strutture fanno colpo e, chi più chi meno, già nella forma comunicano qualcosa. Che cosa, difficile saperlo. Ma certo è che, ad esempio, il cluster del riso specchiato sulle risaie è idea banale ma maledettamente accattivante. Bambini estasiati dall’esplosione di colori e immagini, per loro è un mondo fiabesco formato da tanti giocattoli enormi.
Beviamo un caffè veloce in qualche paese latino, un mojito da 8€ a Cuba, riempiamo le bottiglie d’acqua alle fontane ed arriva la prima grossa scottatura (letterale e traslata): gli Emirati Arabi.
Quasi 2 ore di fila per un cortometraggio in HD girato bene, con un finale shock sulle note di una canzoncina di Fedez, ma dal messaggio ambiguo.
Dopo la Coop futuristica, all’ora di cena o quasi, si incrocia il cardo. Lo oltrepassiamo senza patemi d’animo. Diamo un’occhiata esterna a Svizzera, Germania, Giappone e Austria, ma alla fine ci fermiamo nel Regno Unito. Un alveare. Il Regno Unito è un alveare.
Boh, forse per fruire di certe attrazioni sarebbe necessario essere un po’ più soli al mondo, e godere del ronzio reale (!!!) delle api, ma io questa non l’ho capita.
Cena in Svizzera, 10€ per una salsiccia e una raclette take-away.
Dopo-cena in Italia, all’immancabile show dell’Albero della Vita.
Ottimo esempio di tecnologia applicata all’arte, ma i fuochi d’artificio di Ferragosto a Porto Recanati mi erano piaciuti di più (avrei voluto darvene dimostrazione-video ma l’Albero non l’ho potuto filmare, le annunciate postazioni caricabatteria io non le ho viste e il telefono si è scaricato alle 8).
Da notare che la sera gli ingressi in Expo si raddoppiano, gli fa un baffo viale Ceccarini al decumano. Aggrotto la fronte: da quando un’esposizione universale è diventata un incrocio fra Mirabilandia e il Papeete?
Day 2
Non potevamo dire di essere stati in Expo se non avessimo provato l’ebbrezza della fila ai tornelli. Detto fatto. Entrati, e subito via verso la Svizzera. Prenotiamo la visita alle torri per le 2 e questo ci tarpa le ali perché dalle 11 alle 2 non c’è tempo per mettersi in fila per il Giappone (addio Giappone, ti guarderemo in cartolina). Un salto nella sopravvalutata Austria e poi proviamo con la Germania, contando uno ad uno i visitatori in fila. Entriamo a pelo, non prima di essere rimasti ammaliati dal prestigiatore ammazza-tempo e dall’ormai leggendario seedboard. La Germania resta monca, lo show non possiamo vederlo.
Ci tuffiamo quindi in Svizzera alle cui hostess diamo senza dubbio il premio come miglior personale addetto: lo scopo svizzero è quello di far riflettere sulla razionalizzazione e conservazione delle materie prime attraverso la formula nota delle torri che scendono, e le guide sono bravissime nel ruolo. Inutile girarci attorno, tutti noi siamo avvolti da un impronunciabile senso di colpa per aver messo in borsa anche solo 2 rondelle di mela essiccata.
Quindi pranzo al Padiglione Basmati – 800 metri abbondanti a piedi per un ottimo basmati con pollo a soli 7€. Infine, tentiamo con l’Italia ma ci accorgiamo (dopo più di un giorno…) che la fila per l’Italia è lunga metà cardo, cioè più di 3 ore. Ci rinuncio fieramente, chiedendomi per quale strano senso del gusto il nostro padiglione sia interamente bianco. Il bianco non ci appartiene come colore: ok i messaggi etici, ok l’architettura ma quasi tutti i paesi si “mostrano” con una struttura che richiama la loro identità (dagli USA tamarri e alle dune degli Emirati, dai campi gialli della Cina ai mulini dell’Olanda), noi ci siamo presentati con un monolite bianco. Siamo il paese della neve?
Un buon 70% di Expo è comunque completato. Trascinando le gambe ci incamminiamo verso Triulza. Di corsa (ancora!), per non perdere il treno, ci fermiamo al gift shop che è disadorno, con pochi gadget e poca fantasia nel realizzarli. Altro che Riccione, anche a Marina di Grosseto farebbero di meglio. Va bè, dormo lo stesso stanotte.
Di una teoria sono però convinto, se mi è permesso: sarà ipocrita, sarà uno spreco, sarà semplicemente un carrozzone vacuo più simile a Mirabilandia che non a un momento di riflessione internazionale sul futuro del mondo, ma credo senza la benché minima ombra di dubbio che l’Expo meriti di esser visitato. Uno sforzo collettivo di intelligenza, tecnica, tecnologia; uno sforzo così devastante ed enorme; uno sforzo che per quanto possibile tiene conto pure della sostenibilità. Una cosa così ci fa partecipi e talvolta pure gratificati di noi stessi: dell’Uomo e dell’Umanità.
PADIGLIONI VISITATI:
ANGOLA 8,5: Bell’ambientino, piccolo ma curato nei dettagli, tecnologico ma anche naturalistico, che esprime alla lettera il concetto di Expo. Primo nelle recensioni, forse a ragione. AZZECCATO
BRASILE 7 (media matematica fra il 9 della rete e il 5 di tutto il resto): La rete di ingresso è già un must: vietato non salirci per un selfie. Poi si entra e… non c’è nient’altro. SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE
AUSTRIA 6: L’idea in sé è apprezzabile, nel suo piccolo è anche realizzata bene, una vera foresta in miniatura con tanto di odori, umidità e suoni. Ma finisce presto. TANTO RUMORE PER NULLA
REGNO UNITO 6,5: Idem come sopra. Con la differenza però che, in altro contesto (cioè senza decine di persone per volta nell’alveare), avremmo potuto restarne piacevolmente sconvolti. Non si ambienta, diciamo. PESCE FUOR D’ACQUA
FRANCIA 4,5: Praticamente una piccola fiera di prodotti tipici, alcuni dei quali finti. POCHE IDEE
SPAGNA 5: Mezzo voto in più per la struttura esterna: una doppia navata (una ricca e una povera) che ricorda una chiesa. Lo spunto ci sarebbe stato, ma dentro si fanno spallucce. OCCASIONE MANCATA
POLONIA 7,5: Sottovalutato, ha dentro di tutto: dal giardino alla sala per concerti di piano, da installazioni iper-tecnologiche (il robot che interagisce nel maxischermo) a un piccolo negozio per souvenir. E fuori c’è un piacevole spazio arioso e molto social: il padiglione si intitola #poland. SIMPATICO
RUSSIA 7: Il gusto kitsch russo è assai noto, la struttura ne è dimostrazione. Detto del tetto che in realtà è una terrazza agibile con tanto di chioschetto-vodka bar, dentro si sceglie il tema della chimica, celebrando i fasti dei soft drink dell’est, come fossero dei vini pregiati. RUSSIAN PRIDE
EMIRATI ARABI 6,5: Si attende 2 ore in fila per un cortometraggio dal messaggio poco chiaro. Non sapendo che forse la parte migliore è proprio la struttura esterna alla quale i visitatori si appoggiano annoiati, perché le pareti riproducono fedelmente le dune del deserto, sia nel colore che nella forma delle onde (provate a fare una foto in alto appoggiando la fotocamera alla parete…). AMBIGUO
SVIZZERA 9: Le torri, pur nella loro semplicità e brevità di visita, esprimono meglio di tutti il messaggio più autentico di Expo. APPLAUSI
CITTA’ DEL VATICANO 6: Semplice sala, con tavolo centrale al led hi-tech, che fa riflettere sulla povertà del mondo. NELLA NORMA
AZERBAIJAN 7: Lo stato dal nome impronunciabile si sta facendo conoscere per un padiglione che a detta di tanti ha una delle più belle forme architettoniche. Devo ancora capire il senso di quei fiori di plastica. PROMOSSO SULLA FIDUCIA
CINA 7: 20mila pali-led (tutto è led, ormai si è capito), che stanno lì a simboleggiare i campi di grano, riproducono in eterno la storia della Cina. La guida ti avverte: “guardate attraverso lo schermo del cellulare, dal vivo non rende”. Occhi troppo umani per capire. TROPPO AVANTI (?)
GERMANIA rimandato: L’appuntamento in Svizzera ci ha impedito di vedere lo show centrale della visita, e questo nonostante la lunga fila. Peccato. Le premesse c’erano tutte. Il seedboard – tavoletta di cartone che viene utilizzata come tablet! – è una di quelle invenzioni che ti aspetteresti in Giappone, invece ce l’hanno i tedeschi.