Tutti i grandi romanzi (o quasi) narrano di storie avvincenti e surreali; hanno come protagonisti personalità grandiose e fuori dal comune, temerarie e riflessive. Basta pensare al Capitano Acab di Melville, a Winston Smith di Orwell, o a Gregor Samsa di Kafka, tanto per citare i più famosi. Stoner di John Williams è l’esatto opposto.
Si tratta di un libro pubblicato per la prima volta in America nel 1965, approdato in Italia per Fazi Editore solo nel 2012 e nella libreria della sottoscritta solo pochi giorni fa. Ora, è vero che l’Italia è generalmente sempre in ritardo (e io non sono da meno), ma cinquant’anni più tardi mi sembrano eccessivi: metà di un secolo per conoscere e apprezzare uno dei libri più belli del Novecento.
Capitolo uno, primo paragrafo: William Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell’università un manoscritto medievale, in segno di ricordo. Il manoscritto si trova ancora oggi nella sezione dei “Libri rari”, con la dedica: «Donato alla Biblioteca dell’Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di Inglese. I suoi colleghi».
Ecco il riassunto. Solo un’introduzione chiara ed efficace a delineare la trama del libro. Di origini umili e iscrittosi inizialmente alla facoltà di agraria per volere del padre, il protagonista sceglie una strada diversa da quella prestabilita, cambiando le materie di studio (non sono solo i giovani d’oggi a non avere le idee chiare): questa è la vita di Stoner e così inizia la sua storia.
Si tratta di un personaggio apatico e indifferente, adeguabile e limitato, eppure controverso e interessante. Stoner sembra affrontare la sua vita senza tanti se e tanti ma, prendendola così come viene, guadagnandosi immediatamente l’affetto più bonario del lettore. Seguendo la sua vita passo dopo passo viene a galla la straordinaria semplicità di questo libro, accompagnata dalla genuità del linguaggio e della scrittura dettagliata.
Capitolo sette, primo paragrafo: Una sera, durante la primavera del 1927, Stoner tornò a casa tardi. Il profumo dei fiori appena sbocciati si diffondeva nell’aria umida e calda e i grilli cantavano nel buio. In lontananza, un’automobile solitaria alzava un nugolo di polvere sfidando la quiete con un fracasso sfacciato. Stoner camminava lentamente, in preda alla sonnolenza della nuova stagione, incantato dai piccoli boccioli verdi che luccicavano all’ombra dei cespugli e degli alberi.
Straordinario. Sta tutto in un quadro: l’automobile, il nugolo di polvere, la notte, l’uomo, i boccioli. E non basta: servono gli altri quattro sensi; per annusare il profumo dei fiori, assaggiare il sapore dell’aria umida, udire i grilli e l’automobile rumorosa, toccare i boccioli per percepirne la poderosa fragilità. Straordinario.
Stoner sembra un concept album in versione letteraria, una mostra d’arte a tema, un complesso di dettagli mai ridodante, che rimane fedele in maniera disarmante a quel primo paragrafo riassuntivo. Va immediatamente nella lista dei libri migliori che abbia mai letto, e in quella dei libri da leggere e rileggere; è davvero straordinario, e non ho più le parole.
Un giorno dopo l’altro
la vita se ne va
e la speranza ormai è un’abitudine