L’Agenzia Regionale Recupero Risorse (ARRR) è diventata una società in house della Regione Toscana. Con Legge regionale 59/2014 approvata dal Consiglio il 2 Dicembre scorso, infatti, l’Agenzia nata nel 2009 (LR 87/2009) è stata ridisegnata nella compagine societaria, trasformandola in una SPA di cui la Regione è azionaria al 100%, e nei ruoli che è chiamata a svolgere.
In particolare saranno di nuovo di competenza regionale il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione, l’esercizio e la chiusura degli impianti di gestione dei rifiuti e lo svolgimento delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti stessi, anche pericolosi. Sarà dunque l’Agenzia Regionale Recupero e Risorse ad adiuvare la Regione nell’esercizio delle funzioni amministrative e a dare assistenza e supporto tecnico e amministrativo agli uffici regionali per le procedure di autorizzazione per le discariche per rifiuti pericolosi e non pericolosi, per gli impianti di termovalorizzazione con risparmio energetico, per gli impianti di compostaggio e di digestione anaerobica. La società nel suo nuovo assetto è amministrata da un consiglio di amministrazione, di cui fanno parte Laura Etri e David Tei, dipendenti della Regione e nominati dal Consiglio regionale, e Marco Meacci, con funzioni di presidente e amministratore delegato nominato dal Presidente della Giunta regionale. ARRR oltre alla compagine societaria ed alle competenze, ha rinnovato anche la struttura e la veste grafica del sito che comunque risponde ancora a www.arrr.it.
Si fa presto a dire Rifiuti…quando le norme sono in continuo divenire se ne parla a Siena il 6 Febbraio
Nel collegato ambientale alla legge di stabilità 2015 approvato alla Camera a novembre 2014, sono molte le novità che riguardano il settore dei rifiuti. Le principali novità riguardano l’introduzione di incentivi e meccanismi di sostegno al “mercato dei materiali e dei prodotti riciclati”, tramite la stipula di accordi e contratti di programma tra soggetti pubblici e privati, comprese le associazioni di volontariato, le associazioni di categoria, le aziende che si occupano di riciclo e riuso, e le imprese che producono beni derivanti da materiali post consumo riciclati, con priorità per i beni provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti. Cambiano anche le percentuali di raccolta differenziata e sono previste misure incentivanti per raggiungerli: la percentuale del 35% al 31 dicembre 2014 (obiettivo che nel Testo Unico Ambientale era previsto entro il 31 dicembre 2006); il 45% slitta dal 31 dicembre 2008 al 31 dicembre 2016 ed il 65% , che doveva essere raggiunto entro il 31 dicembre 2012, diventa l’obiettivo al 2020. Per i Comuni che raggiungono gli obiettivi prefissati sono previste riduzioni sul tributo regionale per i rifiuti conferiti in discarica, mentre vi saranno delle misure addizionali al tributo per quelli che non li raggiungono. Tutto il gettito, tributo e addizionali, andrà in un fondo che le regioni devono utilizzare per incentivare il mercato del riciclo. Altra novità riguarda l’attribuzione al Ministero dell’ambiente del compito di individuare la “rete nazionale ed integrata ed adeguata di impianti di incenerimento dei rifiuti”, in modo da disporre in pochi mesi di un quadro chiaro a livello nazionale degli impianti esistenti, di quelli in fase di realizzazione e del fabbisogno residuo. Tutti temi che saranno affrontati e discussi nell’ambito del convegno “Si fa presto a dire rifiuti” organizzato il 6 febbraio prossimo a Siena, da SEI Toscana, Cispel Confservi Toscana e Federambiente. Un’occasione importante per discutere delle tante novità che riguardano il settore. Qui sotto il programma del convegno.Programma convegno
Prevenire è meglio…che smaltire.
Ci sono fondi per nuovi progetti I dati della produzione dei rifiuti nell’anno appena concluso, seppure ancora non ufficiali, indicano un trend di crescita in maniera più o meno marcata in alcune città, a differenza di altre dove invece il dato di produzione sembra tendenzialmente stabile rispetto al 2013. A Firenze ad esempio nell’anno appena trascorso sono state raccolte complessivamente 238.878 ton di rifiuti solidi urbani (+2,72% rispetto al 2013), dei quali 109.338 ton raccolti in maniera differenziata (pari al 51,73%, + 8,76% rispetto al 2013). Sarebbe un dato in controtendenza rispetto agli ultimi tre anni in cui le tonnellate di rifiuti prodotte in Italia sono scese costantemente, a partire dalle 31,4 milioni del 2011 alle 29,6 milioni del 2013. Un dato che può essere letto positivamente come segno di ripresa economica, ma l’obiettivo di decoupling, ossia il disaccoppiamento della produzione di rifiuti dalla crescita del Pil, posto dall’Unione Europea non è ancora stato raggiunto. Che significa disaccoppiare la produzione dei rifiuti dall’andamento del PIL? Innanzitutto mettere in atto politiche economiche volte alla prevenzione della produzione dei rifiuti nelle fasi dei processi industriali o della fabbricazione delle merci. Ma azioni di prevenzione possono esse messe in atto anche dagli Enti, dalle catene di distribuzione ad esempio e qualcosa possono fare anche i cittadini con i loro comportamenti, ad esempio al momento degli acquisti privilegiando prodotti con minori imballaggi. Il ministero dell’Ambiente nel 2013 ha anche adottato un Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti (Pnpr), da integrarsi nei piani regionali di gestione dei rifiuti che dovranno identificare specifiche misure di prevenzione, e fissa specifici obiettivi di prevenzione al 2020, che per i rifiuti urbani prevedono la riduzione del 5% della produzione rispetto ai valori registrati nel 2010, per unità di Pil. Il ministero ha recentemente pubblicato sul sito anche un avviso relativo ad un bando pubblico in cui sono previsti contributi economici a soggetti pubblici e privati per azioni aggiuntive e funzionali a progetti e programmi in materia di riduzione e prevenzione della produzione di rifiuti, già finanziati in quota parte dall’Unione Europea, mettendo a disposizione oltre 500mila Euro. Per partecipare è necessario compilare un modulo scaricabile dal sito del ministero ed inviarlo entro il 15 febbraio 2015.
L’invasione della plastica, non riciclata
Negli anni ’40 scoppia il boom della plastica, cui contribuì non poco il premio Nobel per la chimica Giulio Natta scienziato di csa nostra. Iniziò allora una corsa frenetica. Dal 1950 al 2012 la produzione di plastica è aumentata in media dell’8,7% l’anno, passando da 1,7 milioni di tonnellate l’anno alle circa 300 dei nostri giorni, sostituendo man mano sempre più materiali: vetro, metallo, carta. Oggi ogni cittadino nordamericano o europeo consuma in media 100 kg di plastica ogni anno (in Asia i kg sono 20, ma in turbolenta ascesa), e domina molti settori industriali. In primis quello del packaging, che da solo assorbe in Europa il 40% della domanda di plastica, ma anche molti altri: dall’automotive al settore medicale. È come se ognuno di noi ogni giorno consumasse circa 3 etti di plastica. Purtroppo, raramente ci si domanda da dove questa arrivi – e dove vada a finire. Agli sbadati consumatori viene in soccorso l’ultimo rapporto del prestigioso Worldwatch Institute, “Global Global Plastic Production Rises, Recycling Lags”, che porta molti numeri e qualche brutta notizia. L’Europa (Germania in testa) esporta circa la metà della plastica che raccoglie, ed è il più grande esportatore del genere al mondo (senza considerare che ben il 38% della plastica europea finisce in discarica). La Cina, da parte sua, raccoglie generosa questi rifiuti: nel suo immenso territorio finisce il 56%, in termini di peso, dei rifiuti di plastica importati al mondo (l’87% di quelli europei). Per fare quale fine ? Osiamo immaginare non sia la più sostenibile possibile. Anche per i rifiuti plastici vige dunque da una parte la legge del mercato, dall’altra quella del menefreghismo, lontano dagli occhi. Non importa dunque dove finiscano, l’importante è che non vengano diretti in un impianto di termovalorizzazione (ma addirittura talvolta anche in un impianto di riciclo!) dietro casa. Così come a nessuno importa – agli amministratori che dovrebbero farlo per legge, ai comitatisti che potrebbero pretenderlo dai loro interlocutori di acquistare prodotti realizzati con materiale riciclato.Tutto male, dunque? Certo che no. La plastica migliora la conservazione dei cibi, l’efficienza nei trasporti, riduce la massa degli imballaggi rispetto ad altri tipi di packaging, è indispensabile in molte tecnologie rinnovabili. Ma ha i suoi contro, come tutto, che vanno affrontati e magari volti a proprio vantaggio, per quanto possibile. In primis, la plastica inutile va ovviamente eliminata. E ne produciamo molta, oggi, soprattutto nel packaging. Una volta divenuta rifiuto, la plastica dovrebbe invece essere riciclata o in subordine essere termovalorizzata, certo non finire in discarica (esiste anche un divieto di legge in tal senso, che però anno dopo anno viene sempre derogato). Rimane dunque il riciclo. Le aziende dovrebbero passare a un maggior utilizzo di plastica riciclata, e i governi dovrebbero regolamentare la filiera della plastica per monitorarne e incoraggiarne il riciclo, magari ipotizzando situazioni incentivanti come l’Iva agevolata sui riprodotti da materiali riciclati. L’Italia e l’Europa prendano nota. È una questione ambientale, certo, ma anche industriale. Al momento la realtà è che dipendiamo in toto dalla Cina in fatto di plastica. E forse non è la scelta strategica più lungimirante, o sostenibile che dir si voglia.
Mal’aria in Toscana: polveri, biossido e ozono
I volontari di Legambiente Toscana, guidati dal presidente regionale del Cigno Verde, Fausto Ferruzza, dotati di mascherina e con in mano cartelloni e striscioni oggi hanno dato vita ad un blitz antismog al grido “Vendesi aria pulita!”. Legambiente ha effettuato il suo blitz stamani in occasione della giornata nazionale di Mal’aria. I dati del dossier mostrano un lieve miglioramento in Toscana rispetto allo scorso anno, quando, dalla stessa classifica di Legambiente, diversi capoluoghi erano largamente sopra il limite consentito dalla legge sia per il PM10 che per il PM2,55 oltre che per l’Ozono troposferico (O3) e il Biossido di Azoto (NO2). In quest’ultimo Firenze vantava nel 2013 addirittura il primato nazionale. Ci viene da pensare che questo miglioramento è da attribuirsi con tutta probabilità alle particolarissime condizioni climatiche del 2014. Il Cigno Verde della Toscana spiega che a far scattare l’emergenza smog durante i mesi invernali sono sempre le polveri fini, ovvero il PM10 e il PM2,5. Il particolato atmosferico è da molti anni ormai considerato tra gli inquinanti di maggior impatto sulla salute delle persone, per via delle sue “capacità” di essere facilmente inalato dall’apparato respiratorio e per le alte concentrazioni che si registrano specialmente in ambiente urbano. Nonostante il complessivo miglioramento e i valori sotto la norma anche il 2015 si è comunque aperto con diverse città toscane all’insegna dello smog. Secondo la classifica di Legambiente “PM10 ti tengo d’occhio” che si basa sui dati disponibili e diffusi sui siti delle Arpa Regionali, tra i capoluoghi di provincia monitorati prendendo come riferimento la centralina peggiore (ovvero che ha registrato il maggior numero di superamenti nel corso dell’anno) nessuna città toscana ha superato il bonus di 35 giorni previsto dalla legge (cit. DL 155/2010: limite giornaliero di protezione per la salute umana del PM10 di 50 µg/m3) ma restano comunque alti i livelli di PM10 nell’aria. Il quadro della situazione mostra dati preoccupanti in città come Lucca (centralina Micheletto) con 34 giorni e Arezzo (centralina Repubblica) con 31 giorni di sforamento. Appena sotto la soglia ma comunque non meno allarmanti i numeri di Prato nelle due centraline di via Roma con 30 e di via Ferrucci con 28 giorni di superamento. Miglioramenti anche per le centraline di Firenze Gramsci (19) e Ponte alle Mosse (11) che, nella classifica nazionale di Mal’Aria dello scorso anno era la località toscana che aveva registrato la quantità di giorni più alta per il superamento del limite consentito dalla legge. Pisa Borghetto invece chiude l’anno varcando la soglia dei 18 giorni sforati. Ma il 2015 iizia malissimo la centralina di Lucca Micheletto ha varcato la soglia dei 10 giorni di superamento prima della fine del mese di gennaio mentre nella piana lucchese la centralina di Lucca Capannori ha sforato 14 volte. Dal sito ARPAT emerge che nei primi giorni del 2015 e precisamente aggiornati al 28 gennaio sono già numerose le giornate di superamento in quasi tutte le centraline delle città capoluogo toscane. Nella centralina di Firenze (Gramsci) si sono già registrati 6 giorni di superamento, a Prato (via Roma) 9 giorni di sforamento e 7 nella centralina di Prato (Ferrucci), 7 a Pisa (Borghetto), 5 a Pisa (Passi), e ben 11 giorni di sforamento nella centralina di Pistoia Montale. Per quanto riguarda i dati PM2,5 se prendessimo il valore dell’OMS come valore di riferimento, la classifica dei capoluoghi toscani vede Prato (via Roma) con una media di 20 μg/m3 e Firenze con 19 μg/m3. La concentrazione nell’aria di biossido di azoto, irritante per gli occhi e l’apparato respiratorio, costituisce, insieme al particolato fine e all’ozono, uno tra i maggiori problemi rilevati: Le emissioni di biossido di azoto derivanti dai processi di combustione e, specialmente nei centri urbani, dal traffico automobilistico e dal riscaldamento domestico, nel corso degli ultimi anni, non hanno subito la riduzione che ha invece caratterizzato altre emissioni inquinanti. La media dei valori medi annuali, registrati dalle centraline urbane sul territorio comunale dimostrano come ci sia stata un notevole miglioramento in positivo per Firenze che negli anni passati vantava il primato nazionale in negativo invece quest’anno scende nella classica al 14° posto con 41,8 µg/m3 (nel 2012 era al 1°nella classifica con 59,7 µg/m3 ), superando di poco il limite indicato dalla legge con un valore medio di 40 μg/m3. Le altre città toscane, per la maggior parte, si trovano a metà classifica. Nei mesi estivi la maggiore preoccupazione è l’ozono: il rapporto rivela infatti che in Toscana i limiti sono stati superati da città come Lucca (23°nella classifica nazionale) con 50 giorni di superamento, Livorno (43°) con 35, Pisa (45°) e Firenze (46°) con rispettivamente 32 e 31 giorni di sforamento. Grosseto (49°) con 29 giorni. Migliora nella classifica, rispetto allo scorso anno, Arezzo che non supera i giorni consentiti per legge.
Economia circolare: sprecando meno risorse si crea più lavoro
L’economia circolare, cioè di quelle attività basate su riuso, riciclo e, in generale, sull’uso efficiente delle risorse, non solo creerebbe molta occupazione, ma, come spiega un nuovo studio, riuscirebbe a ridurre il mismatch tra domanda e offerta, creando lavoro nelle aree geografiche e nelle categorie professionali dove la disoccupazione è più alta.Meno spreco di risorse vuol dire più occupazione. Ma non solo: uno sviluppo basato sul riuso, il riciclo, la riduzione del consumo di materie prime e della produzione di rifiuti potrebbe intaccare anche quello che è considerato il tasso di disoccupazione fisiologico di un’economia perché, oltre a creare lavoro, riduce il disallineamento tra domanda e offerta. È quanto emerge da un nuovo report che parla della realtà del Regno Unito ma che arriva a conclusioni che sono interessanti anche per altre situazioni, quella italiana in primis.Lo studio indaga sui possibili effetti sul mercato del lavoro britannico dell’economia circolare. Stiamo parlando di tutte quelle attività che migliorano l’efficienza nell’uso delle risorse: dal riuso, al riciclo, al ricondizionamento dei prodotti, fino alla fornitura di servizi che consentono ai consumatori di godere dei beni senza la necessità di possederli, come il noleggio o il car-sharing.La ricerca – condotta da Green Alliance assieme al think-thank “circolarista” Wrap – ipotizza tre scenari per il 2030, uno molto conservativo, che assume che non ci siano nuove iniziative per promuovere l’economia circolare, uno “mezzano” che prevede che la crescita di queste attività continui con i trend attuali e uno “trasformativo” nel quale si spinge veramente l’acceleratore sull’efficienza nell’uso delle risorse. Negli ultimi due scenari si potrebbero creare tra i 200mila e il mezzo milione di nuovi posto di lavoro (valore lordo, senza tenere conto delle possibili perdite in altri settori) e ridurre la disoccupazione di 54-102mila unità.Ma più che i risultati quantitativi – di studi che raccontano quanto questo o quel settore aumenterebbe l’occupazione ormai abbiamo fatto indigestione – la conclusione interessante del report è che l’economia circolare potrebbe migliorare l’efficienza anche del mercato del lavoro.Le attività in questione infatti ridurrebbero il mismatch (lo scostamento) geografico e di competenze tra domanda e offerta. Un problema che è molto sentito nel Regno Unito dove la disoccupazione è (come in Italia) molto più grave in alcune aree e più alta per i lavori meno qualificati: il mismatch lì pesa per 3 punti percentuali di occupazione. In questo modo, sostengono gli autori, si potrebbe addirittura abbassare quello che gli economisti neoclassici pensano sia il tasso di disoccupazione minimo fisiologico di un’economia, il NAIRU (non-accelerating inflation rate of unemployment), per il Regno Unito stimato al 5%.Senza nemmeno considerare i logici benefici ambientali e l’aspetto occupazionale, d’altra parte, spremere al massimo il valore delle risorse, mantenendo le materie prime in circolo il più a lungo possibile potrebbe diventare un’ottima strategia per la competitività di economie e aziende.
C’è il segno meno nei consumi energetici nazionali del 2014
Non abbiamo ancora i dati definitivi del 2014 sui consumi di energia del nostro paese, ma possiamo anticipare che il segno ‘meno’ è presente in tutti i settori. La causa è da ricercarsi ovviamente nella crisi produttiva nazionale legata ad una domanda aggregata in forte calo da almeno 5 anni. Partiamo con i dati dei consumi petroliferi: sono stati pari a circa 57,6 milioni di tonnellate, con un calo del 4,4% (‐2.623.000 tonnellate) rispetto al 2013. In pratica si è ritornati sui livelli di metà degli anni ’60 (fonte UP). Nell’ambito di questo dato, i consumi di benzina nel 2014 hanno avuto un calo dell’1,8% (‐145.000 tonnellate) e quelli di gasolio un rialzo dell’1,8 % (+394.000 tonnellate). Nel 2014 la somma dei soli carburanti (benzina + gasolio), pari a circa 30,7 milioni di tonnellate, evidenzia tuttavia un aumento dello 0,8% (+ 249.000 tonnellate). Dei consumi elettrici abbiamo già detto: secondo Terna nel 2014 sono risultati del 3% inferiori a quelli del 2013, oltre 9 TWh in meno. Mai il consumo elettrico era stato così basso dal 2001 (305 TWh). Sul gas il tracollo dei consumi è ancora più evidente. Non sono stati ancora pubblicati i dati ufficiali del Ministero dello Sviluppo Economico per il mese di dicembre, ma secondo le statistiche provvisorie fornite da SNAM possiamo desumere che nel 2014 siano stati consumati poco meno di 62 Gmc (miliardi di metri cubi di gas a 38,1 MJ/mc), 8 miliardi di m3 in meno del 2013 e una riduzione percentuale pari all’11,5%. I consumi tornano così al 1998, cioè a 16 anni fa, quando furono pari a 62,6 Gmc. I consumi di gas naturale sono in calo costante dal 2010, anno in cui la domanda fu di circa 83 Gmc, cioè 21 miliardi di m3 in più rispetto a oggi.