Ieri il Parlamento ha bocciato tre emendamenti alla legge elettorale in tema pari opportunità: almeno il 40% delle posizioni di capolista per le candidate (e il 60% ai candidati), parità di rappresentanza (al 50%) e alternanza di genere nella composizione delle liste. Questi tre No hanno subito riaperto il dibattito su quote rosa Si, quote rosa No, senza però che si vada ad approfondire bene la questione. Spesso, invece, basterebbe guardare chi ci è vicino per capire meglio.
La Francia, ad esempio, è il primo Stato ad aver adottato, già negli anni ’90, una legge che garantisce un numero uguale di candidati uomini e donne, un’alternanza maschi/femmine pena l’esclusione della lista per le elezioni del Parlamento Europeo, Senato, Consigli Regionali e Municipali sopra i 3500 abitanti. La legge è stata applicata anche alle elezioni politiche con alcune modifiche. I partiti che non ottemperano alla legge vengono penalizzati con una decurtazione massima del 50% sul contributo elettorale ricevuto dallo Stato.
In Svezia, invece, le quote rosa non sono mai state imposte nelle leggi elettorali, ma solo all’interno degli statuti dei partiti alla fine degli anni Ottanta, riservando alle donne il 40/50% dei posti nelle liste elettorali.
Più recente la questione spagnola: Zapatero nel 2004 costituì il primo governo in completa parità tra ministri donne e uomini. Nel 2007 Madrid ha approvato una legge sulle quote rosa: si prevede che nessun sesso possa avere una rappresentanza superiore al 60% e inferiore al 40%.
In Italia, grandi passi in avanti furono fatti con un precedente decreto legge (2012): nelle liste dei candidati alle comunali nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore a due terzi e fu introdotta anche la possibilità di esprimere due preferenze, anziché una, secondo la normativa vigente, per i candidati a consigliere comunale. Se si sceglie questa opzione, però, una preferenza deve riguardare un candidato uomo e l’altra una candidata donna della stessa lista.
Io sono contraria alle quote rosa, ma le reputo un male necessario. Conoscendo la politica italiana immagino che senza si ritornerebbe a una mascolinizzazione della politica. Credo anche, però, che i partiti debbano aprirsi di più alla partecipazione politica femminile, e non ricordarsi di loro solo nel momento della compilazione della lista, perché poi si rischia di candidare donne incompetenti, messe lì solo per il gusto estetico dei vari leader.
Allo stesso tempo non dobbiamo però cadere nella trappola di riassumere tutto con l’equazione donna = amante di, perché questo genere di interpretazione delegittima la politica femminile, e troppo spesso per attaccare le donne ci dimentichiamo che anche gli uomini possono essere candidati perché amici di (e perché no amanti di) e non per specifici meriti.
Resto poi interdetta riflettendo sulle modalità di votazione usate ieri: scrutinio segreto. Così per anni sentiremo dire da tutti che erano favorevoli, e non sapremo mai chi ha votato contro (un po’ come il ‘mito’ Berlusconi: nessuno lo votava, ma lui vinceva o la ‘carica dei 101’ del PD che affossò Prodi Presidente della Repubblica). Non capiremo se sono state le stesse donne ad affossare la loro rappresentanza, oppure solo gli uomini, timorosi di perdere le poltrone faticosamente acquisite. Mi stupisco inoltre del sostanziale ‘silenzio – assenso’ al No messo in atto da alcune Ministre che di solito fanno un gran parlare di pari opportunità e non mancano certo di protagonismo mediatico, ma stavolta hanno preferito ‘eclissarsi’.