“Un giorno o l’altro, quando si faranno le torte al posto delle bombe, ce ne sarà un pezzetto per tutti”.
Da un esperimento mal riuscito, anziché un fungo atomico che eviti gli “sprechi” di radiazioni mortali, si forma una torta gigantesca che, simile ad un’astronave aliena, plana su una borgata di Roma.
Si adagia sul Monte Cucco, piccola altura limitrofa al Trullo (e alla Magliana, ndr), dove pastori e pecore stazionano abitualmente. Questo negli Anni ’60… ma anche adesso, perché la periferia di Roma è sostanzialmente immutata da allora.
Dopo la “Pioggia di confetti su Piombino”, pubblicata in “Favole al telefono” nel 1962, ecco ancora il sogno di una manna dal cielo dolce e colorata. Delicato e profondo, leggero e commovente, l’autore disegna una trama fantastica che acquista logica a mano a mano che i bambini protagonisti la disvelano.
Come in tutta la produzione di Gianni Rodari, anche questa storia si presta a varie chiavi di lettura ed interpretazione: diretto e semplice per i bimbi, che rimangono affascinati dalla vicenda e la seguono con l’attenzione dovuta ad un affabulatore del suo calibro. Ricco di sfumature per gli adulti, che si divertiranno e sorrideranno forse un po’ commossi in un seppur temporaneo ritorno all’infanzia. L’autore ironizza sui luoghi comuni e sul qualunquismo, invitando implicitamente il lettore all’autonomia, al pensiero libero da pregiudizi. Così quando il cane del vigile Meletti detto l’astuto Ulisse, padre dei due bambini protagonisti, ruba le salsicce al macellaio l’ovvio commento riguarda proprio la professione del suo padrone: dove andremo a finire, se il primo a rubare è il cane di chi dovrebbe far rispettare la legge?
Il messaggio è chiaro: non è con le bombe che si risolvono i problemi, ma con la condivisione, il dialogo e la scoperta di quello che c’è “oltre”. Semplice, no? Lo capirebbe anche un bambino.
Rodari testava le sue idee e le perfezionava con gli studenti e proprio questo breve romanzo è stato scritto in collaborazione con i bambini delle Scuole Elementari “Collodi”, nel 1964.
Ho percorso ieri via del Trullo ed ho sorriso tra me immaginando che alcuni abitanti “storici” dovevano aver concorso a scrivere il libro; ho sbirciato il Monte Cucco, sognando la megatorta dolcemente (è il caso di dirlo) poggiata sulla sua sommità. In un quartiere dove la toponomastica ancora ricorda le recenti attività rurali, come Via Vigna Consorti o via Monte delle Capre, e da cui la borgata, nel senso lato del termine, non è mai andata via, non è difficile riascoltare il vociare di quarantacinque anni fa ed immaginare lo stupore delle massaie che commentavano dalle finestre o vedere ancora i bambini Paolo e Rita che giocano sul balcone.
L’edizione in mio possesso, Einaudi 1978, è corredata dai disegni di Bruno Munari, pochi tratti per rappresentare questo o quel personaggio, in un formato A4 che fa pensare ai disegni di un bambino, uno di quelli che hanno scritto la storia, o chissà, che quella storia l’ha proprio vissuta e ancora si delizia al ricordo di quella multicolore, multistrato, multigusto, torta volante.
L’afflato della poesia ritorna e staziona più volte in questa periferia: il Poeta Pasolini, trovandosi casualmente al Monte Cucco, giocò una memorabile “partitella” a pallone con i ragazzi del posto e poi vi tornò nel 1966, a girare “Uccellacci e uccellini”. L’eco di questi incontri ha ispirato un movimento artistico sui generis: i “Poeti der Trullo” compongono versi che pubblicano sui muri, labili ma fruibili a tutti. Confortante presenza di bellezza in un luogo che a volte si vorrebbe dimenticare.