E’ ormai prassi consolidata, e devo dire interessante, quella di proporre nei cinema eventi unici (in data unica) legati alla storia della musica. Stavolta dopo Queen, Hendrix, Beatles e molti altri è toccato al grande Paul McCartney e al suo “Rockshow”, concerto integrale tratto dal tour dei Wings (la sua band post-Beatles) del 1975/76 e filmato a Seattle. L’ho visto a Castiglione del Lago (a proposito: il “Caporali” è una vera chicchina e propone un cartellone molto interessante, merita una riscoperta anche da parte dei chianini), ovviamente nello spettacolo pomeridiano perchè da superfan di Paul non potevo certo aspettare le 9 e mezzo di sera.
Vero che in sala eravamo in 5 (io, altri due tizi credo autoctoni e una simpatica coppietta di americani lì di passaggio che mi hanno raccontato di aver visto proprio quel concerto in gioventù!!!), ma il live era veramente monumentale
Due cose mi hanno colpito particolarmente, aldilà del fatto che McCartney (o il suo sosia?) era un fenomeno nel 1975 quanto nel 1965, nell’85, nel ’95, nello ’05 e forse lo sarà anche nel ’15…
– probabilmente McCartney è l’unico artista nella storia (o quasi) che dopo soli 5 anni da solista poteva permettersi di tenere quasi totalmente fuori il periodo più importante della sua carriera (i Beatles, di cui nel concerto eseguiva solo 5 pezzi) e avere comunque una scaletta di livello altissimo e buona per fare un concertone pazzesco da assoluto visibilio per i fans
– nel 1975 presentando un pezzo del 1968 (Lady Madonna) era assolutamente sensato dire “un pezzo di tantissimo tempo fa”, ma nessuno lo farebbe oggi presentando un proprio brano del 2006. Sono irrimediabilmente cambiati i tempi della produzione e della fruizione della musica, in questo caso in controtendenza rispetto all’evoleversi della società che da lenta è sempre più divenuta frenetica tant’è che tutto diventa subito vecchio: prima si facevano 4 singoli e 2 album all’anno, gli artisti lavoravano a getto continuo (in molti casi a scapito della loro salute mentale e fisica…) e tutto nella musica invecchiava alla svelta perchè si progrediva in modo continuo e velocissimo. Ora, invece, si fa un disco ogni 3 anni e nulla invecchia, perchè la paura di innovarsi è galoppante e il riprodurre sè stessi è diventata la soluzione migliore per restare a galla. La musica del 1975 era clamorosamente diversa da quella del 1968, così come da quella del 1971 o pure del 1973; quella del 2013 differisce ben di poco (almeno nel mainstream) da quella del 2003, nelle sonorità come nei volti.
Insomma: uno come Ligabue, che fa un disco uguale all’altro da 20 anni, non avrebbe avuto spazio negli anni 60/70 perchè avrebbe annoiato, sarebbe rimasto troppo indietro rispetto agli altri e dopo un po’ nessuno se lo sarebbe più filato. Pensate un po’: il povero Brian Wilson dei Beach Boys si chiuse in casa, in totale depressione, perchè i Beatles avevano superato il suo (straordinario) Pet Sounds e lui non credeva possibile raggiungerli e superarli di nuovo avendo udito le note di Sgt. Pepper’s.
Il Liga, e tutta la gente che fa musica adesso, non ha certo di queste angosce…