Siete stati colpiti anche voi dall’oratoria fluente e papafrancescana di Enrico Letta, il nuovo Presidente del Consiglio eletto ecumenicamente da destra e da sinistra? Io, per essere onesti, per niente. Non che voglia discutere quel libro dei sogni, e le magnifiche sorti e progressive in esso celebrate. Ma sono convinto che questo ecumenismo sia poco più che un bluff, e vi spiego il perché: conviene a Berlusconi tanto quanto agli apparatčiki del Partito Democratico, dritto per dritto.
L’immarcescibile Berlusconi interpreta il Governo Letta come aveva fatto con quello Monti, ossia un mezzo per:
1) prendere tempo in attesa che la sua percentuale nei sondaggi raggiunga la soglia giusta;
2) evitare che vengano intaccati i propri interessi (quindi scordatevi leggi anti-corruzione, conflitto di interessi ecc.);
3) screditare l’avversario principale (com’è naturale e lecito che faccia. Meno naturale è che ci caschi l’avversario in questione).
La prova? I ministri, tutti di second’ordine – ovvero da scaricare appena conviene -, con la sola eccezione di Alfano. Ma, si sa, Alfano non è nuovo a missioni suicide pur di coprire il capo. Il suo ruolo, in questo caso, è quello della foglia di fico messa lì per far credere:
a) al centrosinistra e a Napolitano che la partecipazione del centrodestra al governo è una cosa seria;
b) al centrodestra e al proprio elettorato che comunque al governo c’è uno dei loro dirigenti più importanti, nonostante le idiosincrasie della sinistra mangiabambini.
Ma forse anche a una certa parte del PD conviene un governo come quello di Letta. Avete notato che, al di là delle belle facce (Kyenge, Bonino, Idem…), di ministri di origine socialista/pidiessina/comunista non c’è quasi nessuno, o comunque nessuno di primo piano?
Nel commentare questo aspetto mi rifiuto di pronunciare la solita massima secondo cui “moriremo democristiani”. L’obiettivo sembra chiaro: una parte del PD ha “concesso” agli ex popolari, ancora scottati per le mancate elezioni di Marini e Prodi al Quirinale, la possibilità di fare un governo proprio, ottenendo così il duplice risultato di a) placare la loro innata aspirazione al potere e b) conservare la golden share sul controllo del partito, in vista di un prossimo congresso. Con un governo di area margheritina, si confida in un PD più spostato a sinistra, capace magari di evitare l’emorragia di voti e militanti in direzione di SEL e del Movimento 5 Stelle.
Si potrebbe scommettere sul fatto che la formazione di questo governo concede anche un risultato utile ad entrambi gli schieramenti, ossia il disinnesco del renzismo. Il sindaco di Firenze era tra i “papabili” per l’ottenimento dell’incarico da parte di Napolitano, e si mormora che a porre il veto su di lui sia stato proprio Berlusconi , intimorito dall’eventuale sovraesposizione mediatica che ne avrebbe ricavato il rottamatore. E ciò è sicuramente vero. Ma è vero anche per gli anti-renziani del PD: nominare un giovane moderato premier permette loro di controbattere con efficacia ai contenuti rottamatòri e liberal del politico fiorentino. Per di più, maggiore sarà la durata di questo governo, maggiori saranno le possibilità che Renzi perda la fiducia popolare, così alta ancora oggi ma destinata a scemare con lui fuori dai giochi.
Che dire, allora? Che le belle parole di Letta alla Camera difficilmente troveranno attuazione, perché anche in questo caso, come in quello del Monti I, il compromesso politico è stato scelto per convenienza più che per spirito di servizio. Speriamo di essere smentiti.